Sulla metodologia e il regime della verità II
Il metodo scientifico, qui presentato come antitetico rispetto al metodo mitologico, è stato dimostrato essere fautore dei suoi propri miti.
Metodi principali di ricerca della verità nella storia
1 – Il metodo mitologico
Quando cerchiamo di comprendere la profondità della storia, ci rendiamo conto che il primo metodo utilizzato per la comprensione delle mentalità e dei fenomeni naturali è l’approccio mitologico. La mitologia, in senso stretto, è un metodo per decodificare la realtà. Dietro di essa vi è la spinta verso la comprensione dell’universo. La tendenza della mitologia di concepire la natura come organismo vitale, ricco spiritualmente, è considerata oggi in qualche modo infantile. Tuttavia, se si considera la condizione attuale delle scienze moderne, è bene tener presenti anche tali tendenze e metodi d’analisi di approccio mitologico, senza necessariamente escluderli perché catalogati come “erronei”. Al contrario, sono proprio i metodi che considerano la natura un’entità senza vita, inanimata e priva di dinamismo a dover essere ritenuti privi di significato.
Direttamente legato alla vita stessa, l’approccio mitologico è senz’ombra di dubbio ecologico, rigetta il fatalismo e il determinismo ed è di conseguenza aperto alla libertà. Questa comprensione apparentemente naturalista della vita aveva, a suo tempo, accompagnato con fervore le comunità nell’era delle grandi religioni. Le mitologie che racchiudevano aspetti di sacralità, leggende e poemi epici erano alla base della concezione della vita nel Neolitico. L’apparente contraddizione tra miti e mondo oggettivo non implicava, infatti, che da essa non potessero scaturire interpretazioni e analisi significative. In ogni caso, è certamente possibile continuare a fare riflessioni importanti sui miti, intesi come racconti portatori di significato profondo. Senza di questi, infatti, si può arrivare ad ottenere soltanto una concezione limitata della storia. La mitologia, intesa come un approccio metodologico essenziale, costituisce l’apparato vitale del concepimento dei raggruppamenti umani che si sono avvalsi, per il periodo storico più lungo, di spiegazioni di carattere fondamentalmente mitologico. È stato dimostrato che il metodo scientifico – presentato in tale sede attentamente come l’antitesi del metodo mitologico – si sia lui stesso occupato della fabbricazione dei suoi propri miti.
Le religioni prima, avvolte dai veli del dogma, e le scienze poi, caratterizzate dalla convinzione di basarsi su leggi universalmente assolute, hanno tentato senza sosta di screditare il metodo mitologico. È il momento di invertire tale tendenza e restaurare così l’importanza del metodo mitologico. Le mitologie, strettamente correlate al pensiero utopico, sono una manifestazione essenziale dello spettro dei significati e delle mentalità che caratterizzano il genere umano. Escludere l’utopia e la mitologia dalla mente umana è come privare il corpo dell’acqua. È importante comprendere che, le ricchezze della mente umana – da intendere come il risultato dell’aggregazione di tutte le menti animate – non possono essere ridotte ad un semplice organismo analitico, matematicamente alfabetizzato. Tale concezione risulta incongruente con la vita stessa. Proprio come milioni di menti animate sono imperscrutabili per la matematica, la loro aggregazione – la mente umana – non può essere condannata ad essere concepita come mero valore numerico. L’invenzione stessa della matematica da parte dei Sumeri aveva come obbiettivo primario quello del calcolo delle eccedenze di produzione. Ai nostri giorni, la logica umana è stata quasi completamente ridotta alla funzione, come una calcolatrice. Come facciamo, quindi, ad arrivare ad una comprensione profonda delle menti di milioni di organismi viventi, dei movimenti delle particelle subatomiche o dei fenomeni astronomici più imprevedibili? È evidente come la matematica non sia dotata della capacità di dare un senso ai macro e ai microdomini dell’universo. È dunque nostro dovere rimanere sensibili ai nuovi metodi di ricerca del significato, in modo da non cadere noi stessi nella trappola dei dogmi.
Le intuizioni provenienti da organismi viventi non possono essere sottovalutate. Tutte le cose animate sono codificate in queste intuizioni. Non è possibile affermare che tali intuizioni siano indipendenti dai micro e dai macrodomini dell’universo. Invece, quello che sembra più vicino alla verità, è che queste intuizioni siano una caratteristica fondamentale dell’universo. È per questo motivo che il metodo mitologico non deve essere considerato inutile nel tentativo di giungere a tale comprensione superiore. Il metodo mitologico può essere prezioso tanto quanto il metodo scientifico, se non di più, nel contribuire alla comprensione del tutto.
Tramite il riutilizzo di storie tramandate in epoca antica, la mitologia diventa l’arte per eccellenza dell’espressione idealistica dei fenomeni naturali che sarebbero stati, altrimenti, inspiegabili. Ciò che viene presentato in contesto mitologico è da intendersi come un’espressione nascosta della verità.
Non possiamo rinunciare al discorso mitologico. In primo luogo, il discorso intorno alla preistoria, al Neolitico, all’epoca antica e alla civiltà democratica è per la sua maggior parte di carattere mitologico. Le leggende e le spiegazioni scolastiche sono anch’esse espressioni del loro tempo. Riuscire a presentarne efficaci raffigurazioni sociologiche vorrebbe dire, senza dubbio, arricchire gli strumenti narrativi della nostra storia.
2 – Il metodo religioso
La mitologia dogmatica crea la religione. La religione necessita di dogmi e forme di culto. Esattamente qui è da intendersi, dunque, la distinzione tra mitologia e religione. La religione è completamente speculativa e credere nella speculazione è un carattere propriamente attribuibile alla religione. Un aspetto particolarmente positivo della religione è il suo ruolo nella promozione del pensiero astratto nella società e, indipendente dalle sue intenzioni, la creazione di un ambiente per lo sviluppo del pensiero scientifico e filosofico. Lo sviluppo del pensiero scientifico e filosofico si situa in rapporto dialettico con il pensiero religioso: entrambi recano in essi tracce profonde della religione.
La transizione dall’approccio mitologico all’approccio religioso dogmatico è una fase significativa. Questa transizione è da ritenersi co-responsabile della transizione gerarchica della società. Lo sfruttamento e le gerarchiche delle relazioni sociali necessitano dogmi indiscutibili. L’accertamento dei dogmi intrisi di valori tabù, quali la sacralità, la parola di dio o l’immunità, hanno l’intento di nascondere e/o giustificare l’organizzazione gerarchica e sfruttatrice della società e gli interessi di classe delle fasce elitarie. Là, dove vi è la dominazione di una rigida serie di giudizi assoluti, vi è senza dubbio anche sfruttamento e tirannia su vasta scala.
Dopo l’epoca mitologica, l’epoca religiosa costituisce il secondo intervallo di tempo più lungo della storia dell’umanità. Questo potrebbe andare a coincidere con la storia scritta, o collocarsi appena prima o subito dopo. Ciò che, in questa sede, necessita contestualizzazione è il “perché” il dogma religioso sia diventato un requisito indispensabile. Che tale approccio sia rientrato a far parte di in un metodo volutamente adottato risulta evidente. Lo scopo della vita e il percorso verso la realtà, così come sono stati promossi dalla metodologia religiosa, possono essere soddisfatti solo attraverso l’appropriazione e, conseguentemente, l’accettazione della parola sacra di una santità esterna, esistente oltre i regni mondani e sociali. Allontanarsi dalla parola sacra avrebbe significato vivere un’esistenza di stenti e schiavitù, per poi bruciare all’inferno nell’aldilà. Nel corso di quest’epoca furono create le prime divinità mascherate. Appare ovvio quanto la creazione di una divinità sia anche sinonimo dell’influenza del despota del tempo, che esercitava il comando e praticava lo sfruttamento implacabile sulla società. Il mascheramento stravagante di queste divinità era infatti strettamente legato agli sforzi di distorsione applicati alla mente umana. Il fatto stesso che i primi despoti rivendicassero la loro autorità in quanto eletti direttamente dal divino è prova indubitabile della giustezza di tali nostre supposizioni. La successiva applicazione della parola del despota come legislazione ufficiale e la presentazione di queste sue parole come verità assolute furono caratteri diffusi e largamente utilizzati nel corso della storia. Con l’inasprimento delle politiche di soppressione e di sfruttamento, il metodo dogmatico religioso divenne il modello dominante su cui plasmare la mente umana e da cui determinare la costruzione della realtà sociale. L’osservanza del popolo nei confronti della legge asfissiante e tiranna dei despoti delle divinità mascherate era garantita attraverso l’applicazione di questo metodo.
L’aspetto più importante del metodo religioso, inteso come abitudine mentale, era la sua capacità di giustificare l’accettazione della schiavitù da parte delle masse e di instaurare una rigida predisposizione al fatalismo nella loro psiche. Molte guerre sanguinose, motivate da una volontà di sfruttamento intenso, furono appunto rese possibili in nome di un metodo che imponeva di vivere secondo la parola sacra, in attesa del comando divino. Senza ombra di dubbio, questo metodo fu volto a soddisfare l’interesse dell’élite amministrativa. In parole povere, nell’ambito della nostra analisi, assistiamo qui alla formulazione della dialettica gregge-pastore. La schiavitù doveva essere presentata come una tappa necessaria dello sviluppo sociale. La comprensione statica e inanimata della natura doveva invece permettere il congelamento della realtà sociale al fine di mantenere lo status quo. Una comprensione profondamente passiva e oggettivata della natura e della società, insieme ad un gruppo ristretto di individui al potere, presentati come creatori divini di tutte le cose, si trasformarono prepotentemente nella dialettica della vita. Non è un’esagerazione ritrovare in tale approccio la stessa mentalità e il metodo utilizzati nel governare i popoli del Medioevo e nell’antichità.
L’aspetto più erroneo del metodo dogmatico, piuttosto che l’adozione di una visione animata e autonoma della natura, è che esso abbia insistito con forza su di una visione passiva e oggettivata della natura, bisognoso di un termine imperativo per determinare il suo futuro. L’impatto più importante di tale aspetto sulla società è una naturale accettazione della sua stessa pacificazione e un’internalizzazione di un’amministrazione da “gregge”. Questo antico metodo dal carattere fortemente soggettivo era al sul apice nel Medioevo. Il mondo oggettivo fu considerato incomprensibile, quindi ritenuto inesistente. Il mondo fu ridotto ad una mera stazione temporanea, dove gli ideali eterni e perpetui prescrivevano l’unico modo retto di vivere. Chi aveva una buona conoscenza dei dogmi e dei luoghi comuni esistenti veniva riconosciuto come studioso e ricompensato con i titoli più alti. Questa modalità di pensiero antimitologica plasmò successivamente il corso della storia, divenendo il principale responsabile del modo di vivere attuale, in cattività e imbrigliato.
Uno degli aspetti positivi del metodo religioso è tuttavia il suo impatto sullo sviluppo dell’etica nella società. Nella sua fase d’influenza storica, le nozioni di bene e male furono sottoposte ad esame attento e classificate rigidamente conformemente ai giudizi assoluti. La percezione fondante, celata dietro questo metodo, era la realizzazione della flessibilità della mente umana e, quindi, l’apertura alla rigenerazione. Questa caratteristica della mente, al contrario di altri organismi viventi, fu considerata alla base dello sviluppo etico.
Senza un’applicazione etica, non è possibile alcuna forma di socializzazione o di amministrazione. Una predisposizione di carattere etico è infatti indispensabile per la crescita e l’amministrazione della società. Senza soffermarsi sui pro e sui contro dell’etica, è tuttavia opportuno in questa sede chiarire l’importanza di questo tipo di sviluppo per una comprensione approfondita della storia della società. L’etica è da intendersi qui come fenomeno metafisico. Tale aspetto non fa tuttavia dell’etica qualcosa di inesistente o in alcun modo meno significativo. Non esageriamo quando affermiamo che l’etica metafisica ha davvero preso il sopravvento sull’etica del periodo mitologico. Il solo pensare alla società umana senza etica sarebbe sufficiente a determinarne l’estinzione e la fine del suo ambiente ecologico, proprio come successe ai dinosauri a cui non rimase un solo filo d’erba da masticare. Infatti, è a causa della distruzione dell’etica che i problemi ambientali sono giunti ad un tale punto di non ritorno.
Il metodo dogmatico non si è palesato unicamente nelle religioni maggiormente professate. Esso ha influito fortemente anche sul pensiero greco classico. Il metodo dialettico, per non parlare poi dell’approccio puramente oggettivo, risultò estremamente carente nel pensiero classico greco. La supremazia dell’idealismo di Platone e di Aristotele divennero fondamento del dogmatismo religioso medievale. Il riconoscimento di Platone come maggior filosofo dell’idealismo, o addirittura come suo creatore, fece di lui uno dei favoriti della tradizione profetica.
Le tradizioni profetiche delle tre religioni principali divennero versioni stabilizzate e costitutive del metodo dogmatico, in concomitanza ai momenti apice del pensiero etico di Buddha, Zarathustra, Confucio e Socrate. Fu soprattutto con la filosofia di Zarathustra che la dualità di bene e male si rispecchiò nella dualità di luce e buio. A nome di tutta l’umanità, questi saggi introdussero i livelli più elevati di moralità.
3 – Il metodo filosofico
Sebbene rispetto alla filosofia religiosa, abbia costituito una componente minore della storia civile, il metodo filosofico fu comunque di grande importanza. La sapienza, intesa come principio della filosofia, è antica quanto la religione. Il saggio (dove il testo originale turco di Öcalan impiega una parola di genere neutro, per la traduzione italiana si è obbligati a generalizzare usando la forma al maschile), un rappresentante dell’uomo pensante, forniva una fonte separata di significato, distinta da quella della teologia. I pensieri dei saggi erano tanto preziosi quanto quelli dei portavoce degli dei. In generale, gli uomini saggi tendevano ad estraniarsi dallo Stato e dalla civiltà. Erano piuttosto in relazione con società esterne alla società ufficiale e svolgevano un ruolo significativo nello sviluppo dell’etica e della scienza. Anche se non è riportato nei documenti scritti, la cultura delle dee dell’era neolitica e i frammenti intatti dell’antica struttura gerarchica sono legati alla saggezza accademica. Possiamo rilevarne segnali ben marcati nella società sumera. Gli slanci profetici erano pieni di saggezza. La tradizione della saggezza e della filosofia nel Medio Oriente necessita ancora di un’analisi approfondita. Basti pensare che l’esistenza di una filosofia precedente alla civiltà greca non è nemmeno contemplata. Il grande successo riscontrato dai filosofi greci è conseguenza diretta della combinazione fortunata della loro posizione geografica e dalla loro disposizione ad uniformarsi al progresso civile.
Proprio come i sacerdoti sumeri avevano combinato la struttura religiosa e divina con la costruzione di una società e di uno Stato nuovi, così anche i filosofi greci, nella costruzione e nella manutenzione di una civiltà superiore, avevano svolto un ruolo significativo nell’incorporare un atteggiamento mentale a metà strada tra religione e filosofia. Lo scopo era il medesimo: l’impiego dell’arte concettuale. Ciò avvenne, in primo luogo, attraverso la costruzione della religione, in secondo luogo tramite l’utilizzo di concetti filosofici. Da questo momento in poi, gli dei mascherati verranno lentamente sostituiti da divinità scoperte e da re nudi. Tra questo sviluppo e lo sviluppo della filosofia e dell’astrazione umana esiste una stretta correlazione.
L’efficacia relativamente limitata della filosofia nelle società greche e romane sarebbe poi stata sottoposta a una grande rivoluzione nelle società capitaliste europee, dove l’instabilità religiosa lasciò il posto ad un’instabilità filosofica. In questa nuova fase della civiltà, tale instabilità era direttamente legata al dominio degli interessi nazionali e di classe. Una volta compreso che i conflitti religiosi non avrebbero risolto nulla, la filosofia si fece carico delle sue responsabilità. Le guerre religiose, svoltesi tra il 1618 e il 1649, erano destinate ad essere anche le ultime. Fu proprio questo secolo a essere testimone dell’ascesa della rivoluzione filosofica. Dopo aver svolto un ruolo responsabile nelle società greche e romane, la filosofia divenne la forma ideologica della nuova civiltà. Nacquero le principali scuole filosofiche. Da un lato si annunciò la “morte di dio”, dall’altro i re furono decapitati. Si preparava il palcoscenico per l’avvento dello stato nazione e l’arrivo del grande sovrano “nudo”, vale a dire, dello stato capitalista.
La caratteristica principale della filosofia rispetto alle religioni pagane consisteva nella sua volontà di appropriazione ideologica. La filosofia portò all’intensificarsi della ricerca del significato primo. I semi di tutte le tendenze filosofiche furono piantati in tale epoca: idealismo, materialismo, metafisica e forme dialettiche di pensiero trovarono tutte occasioni di nascita e di riflessione. Prima di Socrate, era la “filosofia della natura” ad essere considerata in primo piano. Eppure, fu la “filosofia della società”, sulla quale fu proprio Socrate a porre enfasi, a portare ad un riordinamento successivo delle priorità. I crescenti “problemi sociali” (sfruttamento e oppressione) ne divennero un catalizzatore significativo. A tale proposito, devo ribadire che parlare in questa sede di “problema sociale” significa parlare della creazione della catena città-commercio-stato-amministratore. La città divenne motore della trasformazione del pensiero filosofico in sviluppo imperativo. La città fu così causa dell’allontanamento dalla società organica. Pertanto, mentalità non accomodanti di natura poterono essere facilmente plasmate nel contesto cittadino. La città, intesa come quella fase della civiltà formatasi sulla base del tradimento nei confronti dell’ambiente naturale, divenne culla del concepimento di tutte le mentalità metafisiche e materialistiche più astratte ed estreme.
Constatiamo che la filosofia da una parte fu una svolta del pensiero, ma che dall’altra parte costituì una mentalità estranea all’ambiente naturale. I sofisti, impegnati nella diffusione della conoscenza filosofica, erano gli intellettuali dell’epoca. Venivano pagati per insegnare ai figli delle famiglie più abbienti. Proprio come i sacerdoti avevano costruito le religioni e avevano sostenuto di essere i custodi dei luoghi di culto, così anche i filosofi formarono le proprie scuole. In un certo senso, istituirono propri templi personali. Proprio come esistevano religioni politeiste, così vi erano anche diverse scuole di filosofia. Ogni scuola era come una religione o una setta. Le religioni, in ultima analisi, possono essere considerate come filosofie istituzionalizzate e tradizionali che hanno assunto forma di culto. Le differenze tra religione e filosofia non dovrebbero essere intese come opposti autoescludenti. Mentre la religione è piuttosto il nutrimento ideologico dei popoli, la filosofia è il nutrimento dei giovani e degli intellettuali dell’élite. In un certo senso, Platone e Aristotele intrapresero, con un approccio filosofico, la medesima missione dei sacerdoti nella costruzione e nella protezione della città. La preoccupazione principale del filosofo era in merito a come meglio amministrare e proteggere la città stato e, soprattutto, come questa dovesse essere costruita.
Sebbene la filosofia sia un sistema di pensiero fortemente astratto, essa è sempre stata legata ad un’osservazione attenta della situazione concreta. Non si separa completamente dal pensiero intuitivo ed è da intendersi come il sistema di pensiero astratto più profondo. Rispetto alla religione, il suo contributo alla scienza è ancora più vitale.
4 – Il metodo scientifico
La scienza non differisce drasticamente dalla filosofia. Essa può essere intesa come filosofia ma con una base sperimentale maggiormente sviluppata. Il suo più grande inconveniente, tuttavia, contrariamente alla religione, è la sua mancanza di approfondimento sulla questione del “perché”. Rispondere al “come” della natura non è sufficiente per definire la vita. L’ipotesi che l’universo sia senza causa e finalità non è una lettura di pensiero attraente. Una scienza che è in grado di rispondere al “perché” della vita può essere solo uno strumento delle élite al potere. Devo sottolineare che la distinzione tra scienza, filosofia e religione (o almeno in merito alle questioni che si occupano di causa e finalità) è direttamente legata alla mentalità capitalistica.
La religione, la filosofia e, in realtà, anche la mitologia sono la memoria, l’identità e la forza di difesa mentale della società. Pur presentandosi come profondamente falsate, sono anch’esse realtà sociologiche. Una scienza sociale allontanatasi dalla sua storia e dalla sua memoria può servire solo il potere delle élite. Chiamiamo tutto ciò capitalismo. Nella mitologia del capitalismo, religione e filosofia sono ridotte ad inutile metafisica. Perché? La risposta è semplice. Per migliaia di anni, religione, filosofia e mitologia hanno ostracizzato gli elementi del capitalismo e li hanno spogliati di ogni sorta di giustificazione della loro esistenza. Pertanto, dove religione, filosofia e mitologia avevano costituito una parte fondamentale della psiche sociale, il capitalismo non era riuscito nel medesimo intento. Nessuna élite al potere avrebbe potuto giustificare il capitalismo in questo tipo di atmosfera mentale ed etica e, soprattutto, non avrebbe potuto adottarlo come sua propria organizzazione socio-economica.
Il “metodo scientifico” ha giocato un ruolo significativo con l’avvento del capitalismo, diventando un sistema metodologico su scala mondiale. Con tale approccio, portato avanti da Descartes, Roger Bacon e Francis Bacon, fu proposta una netta distinzione tra soggetto e oggetto. Nel metodo dogmatico del Medioevo non vi era spazio per l’approfondimento di una tale distinzione.
Il Rinascimento comportò l’ascesa dell’Europa occidentale che, attraverso la riforma del cristianesimo e l’illuminismo in filosofia, inaugurò una nuova era nell’immaginario della soggettività e dell’oggettività. La soggettività dell’umanità e l’oggettività del mondo divennero due fattori principali della vita. Il metodo dogmatico, la parola di dio e l’etica persero fortemente di significato. Per essere più precisi, i sovrani nascosti e le divinità mascherate dell’antichità vennero sostituiti da nuovi re nudi e da dei smascherati. La modalità di sfruttamento capitalista fu la motivazione principale di tale transizione. Il crescente sfruttamento alimentato dalla spinta al profitto richiese la trasformazione della percezione della società attraverso una ristrutturazione delle dimensioni del pensiero. Tale requisito e tale necessità furono la forza trainante celata dietro il nuovo “metodo scientifico”. L’umanità e la natura si trovarono ad affrontare una nuova era di sfruttamento e abuso intensificati. La coscienza sociale, contraria ad accettare tale abuso, in parallelo con la nuova dimensione del pensiero, avrebbe subito un rimodellamento radicale. È per tale motivo che il “metodo”, concepito come la retta via da imboccare per perseguire la giustizia, avrebbe presto guadagnato una funzione significativa. È ampiamente documentato come Descartes, sulla via di una profonda trasformazione, abbia a lungo sofferto dei gravi sintomi dello scetticismo, trovando infine asilo nella formula del “penso, dunque sono”. Sono conosciuti anche gli studi sull’“oggettivismo” di Roger e Francis Bacon. Mentre Descartes aprì le porte alla capacità dell’individuo di pensare in modo indipendente, i Bacon spianarono la strada affinché l’individuo potesse disporre dell’“oggetto” come meglio ritenuto.
La distinzione soggetto-oggetto è il fulcro dell’egemonia mentale. Nonostante il principio di obiettività sembri indispensabile per il metodo scientifico, in realtà esso costituisce un prerequisito per l’egemonia del soggettivismo. Per essere un sovrano è necessario innanzi tutto essere un soggetto. Conseguentemente, per natura, i dominati devono trasformarsi in oggetti. Un oggetto, in tal senso, diventa un qualcosa amministrabile come una merce. Tale è l’espressione metodologica del soggetto che amministra l’oggetto (natura / prodotto) a suo piacimento. Tutto ciò è da intendersi conformemente ad un atteggiamento di fiducia nei confronti della scienza. La distinzione oggetto-soggetto può essere fatta risalire a Platone. La rinomata dualità di Platone del mondo dell’“idea” e del mondo della “riflessione” è la radice di tali distinzioni. La base mitologica di queste può essere osservata nella società sumerica e in quella dell’antico Egitto. La nascita di tale distinzione proviene dall’elevazione divina, dalla sublimazione dell’ordine gerarchico e dalla riduzione in schiavitù degli strati più bassi della società. Dualità come quelle del creatore-creato, governante-governato, dio-servitore e grandi idee-semplici riflessioni gradualmente evolvono nella distinzione soggetto-oggetto. La distinzione tra corpo e mente può essere collocata nella stessa fascia. Il significato politico di tutto questo risiede nelle mancanze insite nella democrazia e nello sviluppo della monarchia e dell’oligarchia.
Il concetto di “oggettivismo” all’interno del metodo scientifico ha bisogno di essere sottoposto ad una profonda rianalisi. La decisione di escludere il pensiero analitico, l’oggettivazione del mondo animato ed inanimato e di includere il corpo umano, gioca un ruolo significativo nello sfruttamento e nella dominazione capitalista della società e della natura. Senza l’approfondimento e la giustificazione della segregazione fra soggetto e oggetto, la trasformazione mentale richiesta come base del pensiero moderno non sarebbe potuta essere realizzata.
Mentre il pensiero analitico è giustificato in quanto soggetto, l’elemento materiale su cui ogni sorta di sforzo speculativo può essere compiuto è invece oggetto; ciò rappresenta, in altre parole, l’“obiettività”. Molte battaglie sono state combattute a causa di questa distinzione, tra queste si ricordi anche la lotta fra Chiesa e scienza. Tutto ciò che è corrente sottostante si manifesta come lotta sociale importante. In un certo senso, da un lato siamo confrontati con l’antica società moralmente sensibile, dall’altro con il nuovo capitalismo “nudo” che desidera liberarsi del pesante fardello etico. A ben vedere, la Chiesa e la scienza non sono le uniche a prender parte a questa lite. Più in generale, si tratta infatti di una lite tra i valori sociali storicamente uniformi che ostacolano lo sfruttamento ritenendolo peccaminoso, e il nuovo progetto capitalistico che desidera rimuovere i legami etici della società al fine di renderla suscettibile allo sfruttamento e alla tirannia. L’“approccio oggettivo” è il concetto chiave di questo progetto.
Secondo la concettualizzazione “oggettiva” del “pensiero analitico” non vi è valore esente dal rischio di andare sotto i ferri chirurgici del sistema. Non solo il lavoro umano, ma tutti gli organismi animati e inanimati possono essere proprietari, e pertanto, completamente a disposizione della struttura dominante. Possono essere sottoposti a tutti i tipi di ricerca e di esame e, di conseguenza, sfruttati. Oltre a soggetti distinti, tutto può essere meccanizzato e sfruttato a piacimento, senza misericordia alcuna. La soggettivazione dell’individuo e le sue manifestazioni contrarie ritrovabili nella comunità oggettivata, nella cittadinanza e nello stato nazione – in altre parole negli dei smascherati – sono tutte “nuove invenzioni” in grado di creare caos e rendere la vita insopportabile attraverso la pianificazione di genocidi e la distruzione dell’ambiente. Il vecchio “Leviatano” è in collera: sembra non ci sia un singolo oggetto che non sia disposto a distruggere o fare a pezzi. Percepire l’approccio oggettivo come un concetto innocente del metodo scientifico non solo porta a ingenue digressioni, ma anche a grandi disastri e a massacri ancora più gravi di quelli causati dall’inquisizione nel Medioevo. È dunque importante affermare con chiarezza che l’approccio obbiettivo non è in alcun modo da considerarsi scientificamente innocuo.
Fino a quando lo stesso “metodo scientifico” non sarà percepito come uno strumento al servizio della divisione classista della società, non sarà possibile spiegare lo stato disfunzionale e fallimentare della sociologia. Mi preme dichiarare a chiare lettere che il “metodo scientifico obbiettivo” è inoltre il motivo di fondo dietro il fallimento del “socialismo scientifico”.
Dall’approvazione sistematica del “metodo scientifico” e della nozione di “oggettivazione” deriva sia il fatto che sistemi sociali di lunga durata costruiti in seno al socialismo scientifico – e a tutti i suoi derivati – siano stati tutti aboliti dall’interno, sia che il capitalismo statale si sia così rapidamente trasformato in capitalismo privato. Nessuno potrebbe altrimenti dubitare per un singolo istante dell’integrità di tutti coloro che hanno lottato per il socialismo con grande impegno e dedizione.
Le strutture scientifiche che attribuiscono un ruolo centrale alla distinzione tra soggetto e oggetto attribuiscono grande importanza alla propria indipendenza. Tali strutture affermano di volersi posizionare al di là dei valori della società. E forse la deviazione più grande in nome della scienza è nascosta proprio in questa affermazione. Sembra ragionevole affermare che l’integrazione e l’unificazione della scienza nel sistema governante dell’era del capitalismo siano incomparabili a quelli di una qualunque altra era precedente. Dalla sua metodologia ai suoi contenuti, il mondo della scienza è il potere costruttivo più grande del sistema, la sua forza protettrice e il suo motivo giustificatore. Il metodo scientifico dell’era capitalista – e tutte le scienze che ne derivano – è vero fornitore e pioniere della macchina produttrice, insieme alle grandi guerre, alle crisi, alle sofferenze, alla fame, alla disoccupazione, alle catastrofi ambientali e alle instabilità all’interno della popolazione. Il detto “la conoscenza è potere” non è altro che una confessione orgogliosa di tali verità.
Forse qualcuno si chiederà cosa ci sia di sbagliato in tutto ciò. Questi tipi di giudizi, avvolti dal velo dell’innocenza, non sono altro che un evidente meccanismo naturale di difesa del sistema.
Se ai nostri giorni la modernità capitalista rivela a gran voce i segnali dell’insostenibilità di ogni parametro del sistema, la parte maggiormente responsabile di questo è il “metodo scientifico”’ su cui essa si basa. Pertanto, è di vitale importanza per una critica al sistema che essa si sviluppi attaccando il metodo stesso su cui tale sistema si fonda e le “discipline scientifiche” da esso derivanti.
La grande debolezza di tutte le critiche al sistema, tra cui la critica socialista, è che tutte hanno adottato il medesimo metodo utilizzato nella creazione e nel sostentamento del sistema stesso. Un movimento contrario al sistema, creato con l’obbiettivo di criticare una realtà sociale fondata su un metodo specifico, non importa quanto duramente criticata, dovrà alla fine affrontare la stessa sorte. È risaputo che una strada conosciuta passerà sempre attraverso villaggi e città conosciuti; che la storia rischia di ripetersi. Questo è stato il destino di tutti i movimenti contrari al sistema, incluso il socialismo scientifico.
È mia intenzione prestare un’attenzione particolare qui all’utilizzo del carattere sociale della distinzione soggetto-oggetto come concetto centrale delle mie valutazioni. Questo perché questi concetti apparentemente innocenti sono le ragioni ontologiche celate dietro l’insostenibilità della modernità. Contrariamente alla credenza popolare, questi non sono concetti meramente simbolici, tanto meno hanno a che fare con lo sviluppo scientifico. Racchiudono invece malintesi sulla concezione della natura e sulla soggettività, non meno di quelli contenuti nel metodo dogmatico del Medioevo. La banalizzazione della distinzione tra soggettività e oggettività ha soffocato la capacità di comprendere il senso della vita e ha condotto la vita umana ad uno stato più arretrato rispetto a quello del Medioevo. Gli sforzi del metodo dogmatico di soffocare e privare la vita umana della libertà, ritrovano attuazione negli sforzi della modernità capitalista di fare a pezzi la vita sociale sulla base intellettuale della distinzione tra soggettività e obiettività. Una segregazione profonda è stata costruita in tutte le aree della vita. Come risultato della cristallizzazione del tutto, messa in pratica dalle cosiddette “discipline scientifiche”, il valore più grande perduto è la totalità integrale e indivisibile del tempo e dello spazio della società. Non c’è tragedia più grande dell’esclusione del tempo e dello spazio dalla vita sociale. Ne consegue dunque il grande “malessere” vissuto ai giorni nostri. Siamo confrontati col peggiore dei destini. Parlare di cancro sociale non vuol dire fare dell’allegoria: è l’analisi più veritiera del sistema attuale. Continua…… III
da Abdullah Ocalan
Sulla metodologia e il regime della verità