ll risultato di venti anni di sforzi per trovare una soluzione
Nel conflitto turco-kurdo che dura da oltre quaranta anni, furono per la prima volta, nel 1993, intrapresi dei passi per trasformare un conflitto militare in una lotta politica. Ocalan proclamò, nel 1993, per la prima volta un armistizio. E, da quel momento in poi, la sua ricerca per una soluzione politica e pacifica alla questione è stata sempre più intensa. Oggi, ci troviamo in un’epoca nella quale si svolgono colloqui diretti tra il leader turco detenuto ed emissari del governo. Dal primo armistizio ad oggi sono passati venti anni.
Gli sforzi per una soluzione politica pacifica, dapprima unilaterali si sono rivelati di grande importanza.
La ripresa delle trattative che si erano interrotte, sono da ricondurre alla perseveranza e all’ iniziativa di Ocalan. Negli ultimi 20 anni i diversi governi in Turchia hanno sistematicamente spento ogni bagliore per una soluzione e solamente dopo lotte sanguinose si sono riaccesi dei segnali di speranza che hanno fatto capire che la soluzione va ricercata non per via militare e, grazie al leader kurdo, a partire dagli anni ‘ 90, si è capito che bisognava ricercare una soluzione politica. Negli ultimi venti anni da parte kurda le forme e i metodi hanno visto passi in avanti sempre più concreti. Innumerevoli e concreti passi sono stati fatti, segni di una buona volontà unilaterale, e sono state elaborate concrete basi per una soluzione della questione kurda e sono state pubblicate sotto forma di una roadmap.
Quando Abdullah Öcalan nel 1999 fu trasportato sull’isola prigione di Imrali, contrariamente a tutti i calcoli, egli approfittò di questa sua drammatica condizione per impegnarsi per una soluzione pacifica e per preparare il terreno per ambo le parti.
I primi colloqui diretti con il rappresentante del popolo kurdo risalgono al 2009. Dopo due anni, questo processo, conosciuto come processo di Oslo s’interruppe. Seguì un’epoca carica di violenza e repressiva nella quale il movimento kurdo riuscì a dimostrare che la soluzione non di poteva trovare nell’opzione militare. Dopo che Abdullah Öcalan con il suo appello fece porre fine ad uno sciopero della fame dei detenuti politici kurdi che durava da 68 giorni, fu nuovamente riconosciuto il suo ruolo nella soluzione della questione.
Il 28 dicembre il primo ministro turco Erdogan dichiarò che i colloqui sarebbero di nuovo ripresi. Da quel momento ci troviamo nella nuova fase democratica di pace. E, fino al momento della stesura di questo articolo si va avanti in questo processo di pace senza grossi impedimenti.
La nuova fase di pace va avanti. La prima delle tre tappe previste, nonostante qualcosa di deficitario, è quasi conclusa. In che cosa consisteva la prima fase? Si trattava più o meno di riconoscere da ambo le parti la volontà di pace, di usare un linguaggio adeguato, di trovare un certo consenso per questo processo e su questa base, oltre allo stop alle armi, di completare il ritiro delle unità guerrigliere kurde che si trovavano fuori dai confini dello Stato turco. Si trattava anche di creare un atmosfera nella quale fossero inseparabili le questioni della democratizzazione della Turchia e la questione kurda.
Il KCK, alcuni giorni dopo la storica dichiarazione del rappresentante del popolo kurdo Abdullah Öcalan in occasione della festa del Newroz, ha proclamato lo stop alle armi.
Murat Karayilan a nome del KCK ,in una conferenza stampa tenutasi il 25 aprile, ha dichiarato che le unità di guerriglia a partire dall’8 maggio iniziano a ritirarsi. Il primo gruppo è arrivato nel Kurdistan del Sud il 14 maggio, avendo come osservatori diversi rappresentanti degli organi di stampa. Da quel momento il ritiro continua.
Parallelamente a questi sviluppi in questo periodo sono state convocate 63 persone (9 per ogni territorio dei sette della Turchia), la cosiddetta commissione dei saggi, che in tutto il paese discute con la popolazione e con i rappresentanti delle organizzazioni della società civile di questo processo. Oltre a grandi assemblee, la commissione dei saggi incontra anche persone che direttamente sono state colpite dalla guerra. Come risultato di questi incontri si scrivono dei rapporti che vengono presentati al governo e ad Öcalan. È stata messa in piedi anche una commissione parlamentare per monitorare le trattative e il ritiro. Era stata prevista una commissione nella quale fossero rappresentati tutti i gruppi parlamentari. Il MHP e il CHP che sono contro questo processo non hanno nominato i loro rappresentanti. In seguito alla rinuncia di questi due partiti sono stati convocati 9 membri dell’AKP e un deputato del BDP. Queste commissioni parlamentari sono importanti per coinvolgere in questo processo il parlamento, affinché il processo abbia una legittimazione parlamentare.
Un ulteriore passo era ed è tuttora, la fine delle cosiddette operazioni del KCK e la liberazione di tutti i detenuti politici. Su questa questione si vede un certo sviluppo, laddove non si hanno quasi più nuove operazioni del KCK, alcuni procedimenti giudiziari si sono chiusi e alcune centinaia di persone, principalmente militanti del BDP sono stati rilasciati, tuttavia nei processi principali, come quelli di Istanbul e di Diyarbakir, come pure nei processi contro avvocati, giornalisti e deputati non si vedono grandi sviluppi positivi.
Senza dei cambiamenti legislativi la messa in libertà di alcuni detenuti politici avviene con lo stesso schema dell’arresto, ossia politicamente motivata, ma senza una base giuridica.
Nonostante le assicurazioni verbali del Primo Ministro Erdogan, le forze di guerriglia hanno dei salvacondotti ma in singoli casi continuano dei combattimenti. Abbiamo informazioni che ci dicono che l’esercito turco cerca di abbattere le posizioni della guerriglia, di prenderle sotto controllo, come pure la costruzione di nuove caserme militari al confine. La popolazione cerca di impedirlo facendo da scudo di protezione per evitare scontri militari e la costruzione di nuove caserme. Si cerca di impedire l’escalation di nuove operazioni militari.
Mentre il ritiro continuo, inizia la seconda fase; possiamo dire di trovarci alla fine della prima tappa e all’inizio della seconda. Che cosa comprende questa seconda fase e quali sono le aspettative?
Nella prima fase toccava al movimento di liberazione, che ha proclamato lo stop alle armi e il ritiro e ha preparato la seconda fase. Adesso tocca al governo. La possiamo chiamare la fase della democratizzazione, nella quale devono essere elaborate ed emanate delle riforme di legge e una nuova Costituzione democratica. Ci sono diverse leggi attualmente in vigore che sono antidemocratiche e danneggiano gravemente la vita democratica; solo per citarne alcune: Le leggi anti-terrorismo, la legge elettorale e sui partiti, la legge sull’uso della lingua, la legge sullo sbarramento elettorale e le leggi che limitano la libertà di opinione e di stampa.
Ricordiamoci che il 12 settembre del 2010 furono accolti alcuni cambiamenti nella Costituzione con un referendum popolare. Il 57,88/% si pronunciò per il SI e il 42% contro i cambiamenti. IL movimento kurdo proclamò il boicottaggio mentre i democratici e i liberali si pronunciarono per i cambiamenti. Questi si pronunciarono per il SI, ma senza andare troppo in avanti. Questo referendum ha sancito che i popoli di Turchia vogliono una nuova Costituzione. L’AKP ha fatto campagna elettorale nel giugno del 2011 con la promessa che dopo le elezioni ci sarebbe stata una nuova Costituzione. A questo scopo fu creata una commissione parlamentare composta da tre deputati dell’AKP, 3 del CHP, 3 del MHP e 3 del BDP.
La commissione avrebbe dovuto completare i lavori il 31 dicembre del 2012 e nell’aprile del 2013 la Turchia avrebbe dovuto avere una nuova Costituzione. Attualmente, il lavoro di questa commissione è stato prolungato sino alla fine di giugno. Veri progressi non si sono visti. Non si sa in che misura e quando vi sarà una nuova Costituzione. È possibile che venga fatta prima delle prossime elezioni una Costituzione provvisoria che poi dopo verrà estesa e migliorata, oppure che venga riformata con nuovi pacchetti legge.
Per le prime due tappe, ossia ritiro delle unità guerrigliere ed elaborazione di una nuova Costituzione erano previsti dei tempi che si sarebbero chiusi alla fine di quest’anno. Bisogna vedere se questa previsione si rivelerà come vera. Non appare essere un’ipotesi irrealistica, se si pensa a tutto quello che si è fatto negli ultimi mesi. L’unica cosa necessaria è la volontà del governo.
In questo contesto va ricordato che il 2014 è l’anno delle elezioni in Turchia. Elezioni comunali, presidenziali e possibilmente un referendum per la Costituzione. Prima delle elezioni la seconda fase deve chiudersi o completamente oppure almeno in gran parte. Se per la fine di quest’anno non sarà stata spianata la strada e non si sarà fatto qualcosa di concreto, il processo di pace potrebbe subire un grave arresto.
Dopo che la strada per le riforme, ossia per un nuovo contratto sociale-la Costituzione- sarà stata spianata e pulita e poi scritta una nuova Costituzione si procederà alla terza fase.
La chiamiamo fase della normalizzazione. Una fase nella quale debba essere garantita una pace durevole che conduca a una nuova normalità di vita. La democratizzazione deve essere istituzionalizzata e parallelamente deve essere garantita l’esistenza, la libertà e la sicurezza del popolo kurdo. Solamente con queste circostanze si potrà trattare il disarmo totale.
È chiaro che le condizioni di detenzione di Abdullah Öcalan devono cambiare in modo che egli possa esercitare il suo decisivo ruolo e la richiesta di un suo rilascio appare essere non solamente legittima ma necessaria. La libertà di Abdullah Öcalan non deve situarsi alla fine del processo ma aver luogo nel corso del processo.
Sia i rappresentanti del movimento kurdo che quelli del governo hanno dichiarato che chi si ritira in questa fase, uscirà come perdente.
Il rappresentante del popolo kurdo aveva proposto ai delegati del BDP lo svolgimento di 4 conferenze, che sarebbero dovute essere organizzate dal movimento kurdo di liberazione. Una ad Ankara( che ha avuto luogo il 25 e il 26 maggio scorso), una ad Amed-Diyarbakir, che ha avuto luogo il 15 e il 16 giugno, una in Europa a Bruxelles che ha avuto luogo il 29 e 30 maggio e una ad Erbil. In tutte e 4 le conferenze hanno partecipato e partecipano diversi gruppi di popolazione. Non solamente Kurdi, ma anche ceti sociali e formazioni escluse dal sistema, devono prendere parte per dire la propria opinione sulla formazione di una nuova Turchia e per formulare richieste in riferimento alla nuova Costituzione.
Rischi per il processo democratico di pace
Quello che manca in tutto questo tempo e rappresenta un grave pericolo è il cambio di mentalità in senso democratico del governo. IL governo dell’AKP continua sulle sue posizioni ignoranti ed arroganti. Con questo atteggiamento reprime diversi gruppi sociali e tenta di organizzare il Paese senza tener conto della gente. La sua idea di politica è prescrivere alla popolazione come bisogna vivere e con quali valori (Social Engineering). La retorica offensiva e supponente di Erdogan ha da qualche tempo polarizzato la società.
L’introduzione, ad esempio del divieto di consumare alcool ha giustificato che egli ritenga tutti quelli che bevono, bollati come alcoolisti e pertanto considerati una generazione persa; oppure vuole prescrivere alla gente quanti figli mettere al mondo. Decide, ad esempio, di intitolare un ponte “Yavuz Sultan Selim“, senza rispettare e tener conto della comunità alevita (sotto quel ponte è stato assassinato molti Aleviti.) Definisce un’opera d’arte una rovina e ne ordina la demolizione. Ordina la chiusura di centri culturali senza tener conto della reazione della gente. Questa politica ha fatto crescere il malcontento tra la gente. Come risultato di questa politica dittatoriale abbiamo avuto dimostrazioni e proteste che durano da settimane, contro il proposito del governo di costruire una caserma ottomana nel Parco Gazi nella quale ci sarebbero stati centri commerciali e abitazioni. Questa protesta è un veto alla mentalità antidemocratica di Erdogan. Anche se si è voluto rappresentare questi gruppi di protesta come marginali e come saccheggiatori, ordinando alla polizia di andarci duro, queste persone dai diversi interessi e composizione sociale non si sono lasciate intimidire. Sconvolgente, inoltre, è stato che Erdogan ha minacciato i protestatari appellandosi al suo elettorato del 50%. Ha affermato che avrebbe fermato il suo elettorato. Quest’affermazione è la dimostrazione del fatto che considera il suo elettorato come una banda di picchiatori che minaccia di attivare contro l’altro 50%.
È un modo di agire assolutamente pericoloso per un Primo Ministro che ha la pretesa di rappresentare l’intera popolazione. Mentre la violenza della polizia si scagliava contro i manifestanti, ha indetto manifestazioni nelle piazze convocando il suo elettorato. Secondo fonti di stampa la bilancia di 14 giorni di violenza della polizia ( ad oggi 11 giugno) ha avuto le seguenti vittime: Gravi disturbi circolatori per Ethem Sarısülük, dopo essere stato colpito alla testa ad Ankara dalla polizia. A Istanbul Mehmet Ayvalıtaş, ha perso la vita investito da un mezzo della polizia, a Hatay Abdullah Cömert ha perso la vita, colpito alla testa dai lacrimogeni della polizia. Ad Ankara ha perso la vita Irfan Turan, in seguito ai lanci di lacrimogeni. Ad Adana è morto un poliziotto, correndo dietro dei dimostranti e cadendo da un ponte. Sei persone hanno perso un occhio in seguito agli attacchi della polizia. In tutto il paese vi sono stati 4335 feriti. Pare che il governo dell’AKP voglia rallentare il processo democratico di pace. Adesso che le unità guerrigliere si ritirano, l’AKP può fare i suoi calcoli: uno stop alle armi è sufficiente per entrare in campagna elettorale. Con questi tatticismi si vogliono procrastinare i cambiamenti di legge e l’elaborazione di una nuova Costituzione. È da analizzare attentamente il fatto che la sesta delegazione del BDP solo dopo due mesi è potuta andare a Imrali. Temi importanti come la democratizzazione del Paese e la soluzione della questione kurda non possono avere intervalli di tempo così lunghi. Anche il fatto che, invece di trovare una soluzione alle proteste del Parco Gezi, si butta benzina sul fuoco, pare che voglia indicare che l’AKP giochi col tempo. Se queste valutazioni sono giuste, la Turchia si trova davanti ad un nuovo caos. Nell’ultima visita dei rappresentanti del BDP a Öcalan, lui ha affermato che osserverà ancora per due settimane gli sviluppi della situazione e poi farà una valutazione esauriente. Tra poche settimane vedremo ancora in modo più chiaro la vera volontà dell’AKP, ma i segnali attuali ci fanno nutrire delle preoccupazioni.
Per chiudere un paio di parole sulla posizione dell’opinione pubblica internazionale
La fase di pace è stata salutata positivamente dall’opinione pubblica internazionale. Sinora, tuttavia non è ancora chiaro in che misura, vi è quest’appoggio. A ragione, come segno di questo sostegno, dovrebbe il PKK, in questa fase di trattative per la pace, essere escluso dalla lista delle organizzazioni terroristiche. L’inserimento in questa lista non è una buona condizione per le trattative di pace. Un’altra aspettativa molto grande è che si faccia completa luce sul triplice assassinio politico di Parigi. In questo periodo non vi sono sviluppi. Il diplomatico e politico kurdo Adem Uzun, che fu arrestato l’anno passato in Francia, è privato dei diritti di difesa. Su questi tre punti si vedrà in che misura la politica internazionale è interessata a una soluzione pacifica. Fintantoché, non vi saranno degli sviluppi positivi in questa direzione, perdurerà la sfiducia dei Kurdi e delle Kurde verso il sistema di Diritto dei Paesi dell’Unione Europea e loro affidabilità.
Il fatto che la questione kurda è da qualche tempo una questione internazionale, richiede dei passi concreti a livello internazionale in questa fase di trattative per la pace.
SK- Kurdistan Report