Gli attacchi Isis, la guerra e le quotidiane aggressioni al popolo curdo

“Si può essere utili ad una battaglia anche non combattendola”. Queste le parole pronunciate da Erdal Karabey, presidente dell’associazione culturale Kurdistan di Ponsacco, quasi giustificandosi per “non essere in questo momento insieme ai miei fratelli a difendere le nostre città”.

Proprio in questi giorni ed in queste ore, infatti, i curdi stanno subendo uno dei più feroci attacchi da parte dei gruppi Isis. Obiettivo: difendere la città di Kobane, considerata dal popolo curdo strategica e fondamentale per l’intero Kurdistan. “Se perdiamo Kobane – ha detto Erdal – per il Kurdistan sarà la fine perché da lì l’Isis, ma anche gli stessi turchi, potranno entrare a Rojava e nelle altre nostre roccaforti”.

La situazione del Kurdistan è, non da oggi, realmente complicata. “Siamo un popolo abituato alla lotta . Dai quattordici anni i ragazzi iniziano a prendere contatto coi kalashinikov. Ogni famiglia ha almeno un componente sulle montagne per combattere al fianco del Pkk, proprio come i curdi che stanno combattendo oggi a Kobane”. Il Pkk, che ha in Ocalan il suo riferimento, è un movimento politico clandestino, di ispirazione social- comunista, ancora presente nella ‘lista nera’ delle organizzazioni terroristiche e che lotta non solo per l’autodeterminazione del suo popolo ma anche per i diritti dei lavoratori, la sigla infatti sta per “Partito dei lavoratori curdi”.

Il Kurdistan è considerato una Nazione, ma non uno stato indipendente, situato al confine tra la Siria (dove si trova la città di Kobane, al centro dello scontro), l’Iraq, l’Iran e la Turchia. La particolarità delle comunità curda sta nella propria organizzazione e nei principi che vengono portati avanti: dalla democrazia costruita dal basso, agli ideali di laicità, e uguaglianza tra uomo e donna (moltissime sono infatti le donne soldato che stanno combattendo anche in queste ore).

A Erdal però non è toccata la sorte di combattente: circa sedici anni fa ha lasciato la sua terra per raggiungere l’Italia. “Sono fuggito perché volevo fare soldi – scherza Erdal – qui ora lavoro sedici ore al giorno, come ingrossista”. Ma ovviamente dietro l’ironia sta un’altra verità: “noi curdi residenti in Turchia abbiamo tre possibilità, combattere sulle montagne, vivere come turchi, dimenticando ciò che siamo e arruolandosi nell’esercito turco per combattere contro i nostri stessi fratelli, oppure scappare. Io ho scelto la terza opzione e negli anni sono riuscito a portare qui anche la mia famiglia”.

“Mio padre – ha spiegato Erdal – si vergognava di non saper parlare il turco. Oggi io sono orgoglioso si essere curdo e di portare avanti la mia cultura e la mia lingua. In casa, con i miei figli, parlo solo curdo, perché voglio che anche loro crescano orgogliosi delle proprie origini” Da anni Erdal ha fondato a Ponsacco l’associazione culturale Kurdistan per divulgare e far conoscere la situazione del suo popolo. “Questo è quello che posso fare da qua, raccontare come siamo costretti a vivere e i soprusi che subiamo ogni giorno, non solo ora che c’è la guerra. Tutti i giorni combattiamo una guerra psicologica, fatta di maltrattamenti sistematici che subiamo dai turchi”.

Il viaggio di Erdal per raggiungere l’Italia è stato rocambolesco: “Ho attraversato stati e montagne a piedi, scalando cime per dodici ore consecutive, confermandomi un vero curdo infaticabile (ride, ndr). Arrivato in Albania mi sono imbarcato su un gommone e sono arrivato da irregolare. Ho passato i primi mesi da clandestino, prima che mi riconoscessero lo stato di asilo politico”. Quando arrivò Erdal i curdi in regione erano pochi, oggi sono in Toscana circa 700-800, di cui 250 nel territorio della Valdera. Riguardo alla situazione attuale le informazioni che Erdal riceve sono frammentate.

“E’ difficile comunicare con i miei concittadini in questi giorni. Io so solo che quello che posso fare da qui è informare sulla nostra condizione, su come i turchi, che si dicono nostri fratelli ci trattano ogni giorno e ci attaccano, anche in questa guerra in cui dovremmo essere dalla stessa parte”.

Anche sulla questione delle armi fornite dalle forze occidentali ai ribelli curdi Erdal si dice perplesso: “Vorrei capire cosa vogliono in cambio dopo che la guerra sarà finita. Proprio non capisco perché ci armano anche se siamo ancora considerati dei terroristi”.

Con l’attuale guerra in corso l’associazione culturale per il Kurdistan e vari movimenti si stanno muovendo per portare solidarietà al popolo curdo. L’appuntamento è per il 1 novembre a Firenze. Da piazza Santa Maria Novella, in occasione della giornata di mobilitazione che interessa tutta Europa, partirà infatti un corteo.

di Alice Pistolesi
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