Kobane è un fiore da far crescere e da continuare a difendere
Nella mattinata del 18 maggio siamo stati accolti all’interno della municipalità di Kobane, dove incontriamo i due co-presidenti (la co-presidenza prevede sempre parità di genere in ogni carica), e con loro anche il sindaco storico, presentato come padre della città, che rimane nel ruolo di “accompagnatore” per i due nuovi. E’ lui che introduce l’incontro, spiegandoci quant’è importante per il popolo curdo questo momento storico, che certo senza la resistenza e i martiri non sarebbe stato possibile, ma che ha un valore che va oltre a tutto ciò, un momento storico che segna una svolta sotto molti punti di vista. Il popolo curdo, ci viene spiegato, si sta occupando per la prima volta del proprio futuro, dopo decenni di diritti negati e sottomissione ai regimi ed agli stati-nazione considerati come una delle cause dei conflitti del Medio Oriente. Per questo, l’esperimento di una “democrazia senza Stato” può essere la soluzione per l’intera regione e non solo. La presenza (in questo momento scarsa) di delegazioni internazionali è ritenuta fondamentale, da una parte per far conoscere al mondo una società ed un popolo prima conosciuti solo per bocca dei suoi nemici (e delle angherie subite), dall’altra per avere la possibilità di un confronto costruttivo. Ci viene ricordato che Kobane, dopo essersi eretta a difesa dell’umanità, rappresenta ora la città della libertà, alla cui ricostruzione e vita futura potranno quindi partecipare tutti.
La presa di coscienza del popolo curdo mette sotto accusa, oltre che la concezione di Stato, il sistema capitalistico, portatore di divisione tra i popoli ed all’interno degli stessi. Ci viene ricordato di come ancora il capitalismo intacchi parte della società del Rojava, per esempio con il commercio di droghe ancora presente al confine con la Turchia.
Nonostante tutto, ci viene detto che questo nuovo modello di società, secondo i suoi stessi fautori, non è niente di straordinario: esattamente come la natura trova il suo equilibrio negli ecosistemi, il confederalismo democatico è conseguenza della necessità di bilanciamento tra le molte etnie, religioni e culture che formano il medio Oriente.
Nelle diverse ore che ci vengono concesse dall’amministrazione comunale abbiamo la possibilità di approfondire con più tempo a disposizione alcuni temi come quelli del funzionamento pratico del confederalismo democratico. All’interno della città si sono costituiti 13 “comuni”, una sorta di assemblee di quartiere. Alcuni rappresentanti dei comuni formano poi un’assemblea cittadina, che collabora con i comitati alla gestione dei vari aspetti della vita comune. I rappresentanti in ogni momento possono essere rimossi se non rispettano la volontà popolare. Il confederalismo permette così di superare la struttura statale, riorganizzando la società partendo dal basso. Per i kurdi è un sistema ottimale, agevolato nelle realtà più rurali soprattutto da un substrato culturale di relazioni comunitarie molto forti. L’amministrazione comunale è infine costituita da 7 membri, di cui fanno parte i 2 co-presidenti che ci parlano, a cui poniamo alcune questioni che ci interessa trattare: la questione delle donne, quella della risorse, l’amministrazione della giustizia.
La liberazione passa dalle donne. Una società è libera se è ben organizzata e democratica nella gestione del potere, ed in questo il ruolo delle donne è fondamentale, tanto da affermare che da esso Il confederalismo democratico attinge la sua forza. Nel pensiero di Ocalan, se una donna non è libera una società non può essere autenticamente libera. Questo non è un concetto nuovo, ma anche i militanti più maturi vedono, capiscono e comprendono veramente questo pensiero solamente ora, all’interno del contesto offerto da questi ultimi anni della rivoluzione, grazie alla partecipazione delle donne in prima fila nella lotta. Per spiegare meglio l’idea della società libera ci viene riportata una metafora: una società non può camminare su una gamba sola; la liberazione della donna è anche liberazione dell’uomo, in quanto una donna non libera avrà figli e nipoti schiavi perché cresceranno all’interno di un contesto di oppressione.
In questo preciso momento storico, in Rojava c’è differenza tra le donne combattenti e le donne civili. Le combattenti hanno un approccio complessivo ai problemi della società e sono viste in maniera diversa perché hanno preso le armi e sono andate al fronte. Le donne civili non hanno avuto la possibilità di sperimentare questo tipo di approccio e vivono una situazione di maggiore isolamento che porta a una presa di coscienza più difficile. Il proposito del movimento è superare questa differenza: le combattenti devono essere un esempio, non vanno viste solo come donne che combattono ma come donne che aprono una possibilità concreta e reale di essere libere. Per farlo devono essere ben organizzate. Le case delle donne, le unità di difesa femminili sono punti di forza per tutte coloro che vogliono emanciparsi e rompere con pratiche patriarcali che le opprimono. Attualmente le bambine crescono con una mentalità che nega loro la possibilità di conoscere diritti e libertà. Alla base di tutto ci dovrebbe essere un sistema educativo basato sull’autodeterminazione e non su supposti doveri, per esempio il matrimonio non dovrebbe essere un obbligo sociale (nella carta del Rojava è vietata la poligamia ed è vietato sposare donne toppo giovani). Su questo bisogna educare le figlie, ma anche le madri, per cui la formazione è uno dei punti di forza della casa delle donne. È necessaria anche l’educazione degli uomini affinchè ciò che ora va imposto diventi invece coscienza comune. Le donne non vogliono cadere nell’errore del socialismo reale, dove si dice “noi rappresentiamo il potere e lo imponiamo”, ma al contrario costruire consapevolezza nel confronto reciproco tra i generi. Questo pian piano sta succedendo, ad esempio a Cezire nelle case delle donne entrano ora anche alcuni uomini che si mettono in gioco ed iniziano a parlare delle proprie difficoltà. C’è la consapevolezza che si tratta di un processo lungo che le donne del Rojava stanno portando avanti con coraggio, ed è un esempio che tutte e tutti dovremmo provare a praticare nei nostri territori.
Kobani attualmente vive di solidarietà. I kurdi sono storicamente un popolo povero, ma nonostante questo trovano le risorse per sostenere Kobane, sia dal punto di vista economico che di impegno volontario. In questo momento la fase impone un’economia di transizione, la guerra ha distrutto infrastrutture e possibilità di sviluppo. I governi e gli stati sanno molto bene che la rivoluzione del Rojava è contro di loro, sui cui aiuti non si può fare affidamento. Un sostegno importante arriva piuttosto dalle municipalità solidali del Bakur.
“A Kobani il vento della libertà ci ha portato via molte cose, ma siamo contenti di averle perse per la libertà. Quando sei libero non hai paura di avere fame”: questo è lo spirito con cui si affronta la situazione critica in città. L’ex sindaco ci ringrazia con queste parole che vorremmo rigirare a chi ha partecipato alla costruzione della carovana, in un’ottica di rilancio: “sappiamo che anche nel mondo capitalista chi è contro il sistema non vive bene e non è ricco, quindi i vostri sforzi economici per sostenerci in questo senso sono ancora più importanti. Io credo nella forza dei popoli, e voi la rappresentate bene. Dobbiamo continuare a credere che è possibile, anche quando Kobane sembrava poter cadere la solidarietà non è mai mancata, i kurdi non credevano possibile che un piccolo cantone potesse ricevere l’attenzione e l’aiuto di una parte così grande dell’umanità”.
Per quel che riguarda la questione giudiziaria, non esiste una legge scritta, un tribunale separato dal popolo, una giustizia astratta. I kurdi –storicamente- non hanno mai conosciuto una giustizia che fosse soluzione dei loro problemi. Il paradigma che si cerca di applicare è di sostituire la giustizia con l’etica, il giudizio con la ricomposizione sociale, l’educazione, la mediazione. Chi sovrintende ai tribunali e alle leggi deve basarsi sull’etica e sulla coscienza sociale e la società deve proteggere l’individuo così come il singolo deve proteggere la società. Per esempio sul problema della coltivazione della marijuana destinata al narcotraffico non sono stati posti divieti, ma si è provato ad offrire un’alternativa. I coltivatori vendevano la marijuana ai soldati turchi che a loro volta la vendevano alle giovani generazioni, il nemico capitalista turco faceva quindi il proprio gioco e i propri interessi. Nella società si è tentato un approccio etico, legato alla marginalizzazione sociale: se commerci droga sei dalla parte del nemico e dunque fuori dalla società, e questa formula ha ottenuto i risultati sperati.
In ognuno dei suoi aspetti di applicazione, il confederalismo democratico è in continua evoluzione, forte del radicamento etico che tale paradigma ha scelto come fondamenta.
Nel pomeriggio partiamo dal quartier generale YPG/YPJ per raggiungere il nuovo cimitero dei martiri, alla porta ovest della città. Per la prima volta ci confrontiamo con il lutto della popolazione di Kobane. La cerimonia si conclude presentando le armi in onore dei caduti e con una marcia ad abbracciare per intero il perimetro delle sepolture. Mentre le famiglie si stringono ai cari scomparsi, dal cantone di Cezire ci giunge notizia di una offensiva, lanciata anch’essa in questa data significativa, che rapidamente libera ventisette villaggi dall’occupazione dei daesh causando loro pesanti perdite. I tre compagni della carovana nei giorni scorsi bloccati nel tentativo di raggiungere Cezire, ormai arrivati a Suruc prendono parte all’analoga celebrazione all’interno di uno dei campi profughi al di là del confine.
10Partecipando a questa commemorazione il nostro pensiero non può non andare alla storia della nostra resistenza; proprio in questo giorno, 71 anni fa, il giovane partigiano Dante Di Nanni perdeva la vita tra le strade di Torino resistendo eroicamente all’attacco di un centinaio tra nazisti e fascisti: i partigiani e le partigiane non muoiono mai!
Carovana per il Rojava