Una giornata tra i rifugiati di Kobane

Nel pomeriggio di lunedì 1 dicembre ci siamo recati per la prima volta in un campo di rifugiati molto prossimo al centro della città di Suruç. Il campo era già stato visitato dalla staffetta nei giorni scorsi ma noi abbiamo deciso di recarci lì per vedere con i nostri occhi la situazione e capire qualcosa di più parlando direttamente con gli abitanti. L’impatto è sicuramente forte e le emozioni si possono toccare nelle lacrime delle donne.

Feride C’è chi è sola nel campo con sette figli perché il marito lavora in Iraq, chi invece ha parenti o conoscenti che combattono e resistono a Kobane, chi invece è, purtroppo, rassegnata all’idea di passare il resto della sua vita in una tenda lontano dalla propria casa e dalla propria terra. La speranza invece c’è e vive nei sorrisi, nei canti e nelle dita con il segno di vittoria alzate dai bambini. Ecco la loro forza: speranza.

Per capire meglio come funzionano e come sono gestiti i campi, abbiamo parlato con Feride Eralp, una giovane volontaria di Istanbul che è responsabile del centro autonomo di coordinamento della crisi di Suruç.

Buongiorno Feride, ci puoi spiegare come funziona l’organizzazione dei campi?

Al momento nel Governatorato di Sanliurfa ci sono 120.000 profughi, dei quali circa 52.000 sono stanziati nella zona di Suruç. Per loro abbiamo approntato 7 campi, uno è in costruzione e altri rifugiati sono ospitati nei villaggi vicini. Dall’amministrazione municipale questi campi ricevono acqua e corrente elettrica, ma non a sufficienza per i bisogni invernali, la Mezzaluna Rossa provvede alle colazioni e il Governatorato ai pasti. Stiamo lavorando per garantire un servizio di qualità migliore e più vario, perché al momento i pasti forniti si limitano a riso, minestra e, a volte, fagioli.

Tutto il resto è gestito dal nostro ufficio di coordinamento in collaborazione con il partito BDP che ci aiuta nel raccogliere le richieste provenienti dall’interno dei campi. Va detto che le persone non possono fare richieste direttamente a noi, ma le devono far passare attraverso i responsabili del campo, che in genere sono 4/5 persone, che in seguito le fanno pervenire a noi. Con questo metodo riusciamo a capire il numero preciso degli aiuti che dobbiamo consegnare, in modo da non sprecare niente e di non favorire un campo o un villaggio in particolare.

Praticamente come funziona la distribuzione degli aiuti? E da dove provengono?

Gli aiuti arrivano un po’ da tutte le parti, arrivano sia da organizzazioni governative e non ma anche dalle singole persone che fanno donazioni di materiali e abiti usati. Ci è capitato anche che un paio di persone ricche abbiano inviato delle grosse donazioni per aiutare i rifugiati. Tra le agenzie governative vorrei ricordare quelle di Danimarca, Svezia e Germania che da subito si sono prodigate per farci avere di tutto e, soprattutto, sono state le più continue.

Nella distribuzione il modulo da compilare che noi forniamo è fondamentale perché permette di accedere direttamente ai magazzini da dove possono prelevare le quantità di cibo, vestiti e generi di prima necessità. Tutte le operazioni di preparazione e distribuzione sono portate avanti da volontari che sono spesso la colonna portante dell’organizzazione.

Ci puoi parlare dei campi e di come sono organizzati internamente? Vorremo sapere qual è la loro composizione e quali attività, se ci riuscite, portate avanti al loro interno?

Come composizione uomini e donne si più o meno si eguagliano, con una leggera predominanza femminile, però la componente maschile è costituiti quasi esclusivamente da anziani e bambini. Nei campi da noi gestiti ci sono circa 25.000 bambini in età da 5 a 13 anni e ben 5.200 bambini da 0 a 3 anni.

Partendo dal fatto che la maggioranza della popolazione dei campi è sotto i 18 anni, uno dei nostri obiettivi è quello di garantire il funzionamento delle scuole. In ogni campo infatti c’è una tenda che funge da asilo e scuola. Per esempio nel campo”Rojava” la scuola garantisce istruzione per circa 200 bambini. Io non sono dell’ufficio che si occupa dell’educazione ma posso dirvi che il problema principale delle scuole nei campi è lo spazio, cioè non c’è spazio materiale per installare nuove tende. Come ulteriore servizio che offriamo c’è una tenda che serve da punto di ritrovo per le donne.

Ci potresti dire come effettivamente vi possiamo aiutare? E soprattutto cosa vi serve in particolare?

Vi faccio un esempio per capire meglio la situazione: nel campo da 10.000 posti che stiamo cercando di approntare serviranno, per l’inverno, circa 1000 stufette elettriche. Ne servono altre 400 per gli altri campi. Ecco cosa ci serve. Poi coperte, vestiti invernali, soprattutto per i bambini, e cibi a lunga conservazione per poter garantire la distribuzione continua di cibo, anche nei villaggi dove Mezzaluna Rossa e governatorato non arrivano. Siamo anche riusciti ad aprire un conto bancario tramite il quale speriamo di ricevere denaro anche dall’estero. Quello che chiedo però è che nelle donazioni venga specificato una causale, così che noi, e soprattutto i rifugiati, sappiano in cosa li avete aiutati

Grazie Eral per il tuo tempo. Arrivederci e buon lavoro!

Grazie a voi per essere qui. Grazie per il vostro sostegno.

 

Marco e Paola, Centri Sociali del Nord-Est