Turchia, la legge sulla sicurezza che fa “esplodere” il Parlamento (e non solo)
Presentato dal partito del presidente Recep Tayyip Erdogan, all’incirca da una settimana al Parlamento turco è in discussione una disegno di legge sulla sicurezza nel Paese. Posto che forte della maggioranza assoluta l’AKP – Partito per la Giustizia e lo Sviluppo – può contare in un modo o nell’altro nell’approvazione finale dei 132 articoli che compongono il ddl, quest’ultimo è stato (e sarà) più volte negli ultimi giorni motivo di tensioni e vere e proprie risse in Aula.
La prima zuffa tra i parlamentari turchi si è consumata il 18 febbraio scorso, mettendo a bilancio 5 feriti lievi. Alle mani, inoltre, si è tornati nuovamente nella notte tra il 19 e il 20 febbraio e poi ancora il 24, quando al termine di una seduta fiume di 18 ore i rappresentati della maggioranza e dell’opposizione si sono fronteggiati duramente, causando numerosi feriti superficiali.
Ribattezzato dalla maggioranza “pacchetto di legge per proteggere le libertà”, secondo i suoi oppositori e numerosi osservatori internazionali il ddl rischia allo stato attulae di inasprire ulteriormente l’aura draconiana imposta al Paese dalle politiche dell’islamista e conservatore AKP, trasformando la Turchia in un vero e prorprio “Stato di polizia”. Al contrario, il partito del presidente Erdogan respinge al mittente tale accusa, sostenendo invece che la proposta di legge si limita ad uniformare l’ordinamento turco in materia di sicurezza con quello di larga parte dei Paesi dell’Unione Europea.
Cosa prevede il ddl, in breve
Riassumendo in poche parole, la norma che l’AKP è intenzionata ad approvare in Parlamento concede una sostanziosa estensione dei poteri alle forze di polizia e ai funzionari provinciali del Paese, bypassando così la magistratura. In tal senso, il ddl si propone di investire di poteri giudiziari le autorità locali, prevedendo contemporaneamente una maggior indipendenza d’azione delle forze dell’ordine in alcuni specifici casi.
I punti della discordia (parlamentare e non)
Dei già citati 132 articoli che compongono il ddl, solo una manciata è alla base delle più aspre tensioni tra le parti e delle risse in Parlamento, scrive il Middle East Eye. Questi, ancora, possono essere riassunti in cinque “categorie”: perquisizione, detenzione, armi da fuoco, manifestazioni e governatori.
Per quanto riguarda il primo punto, qui rientrano gli articoli che prevedono di ampliare i poteri della polizia in materia di perquisizione coatta di persone e veicoli, sorpassando quindi l’obbligo di un ordine a procedere firmato da un pubblico ministero o da un giudice;
Nella seconda categoria, viene proposto che alle forze dell’ordine sia conferito il potere di “detenere” chiunque sia sospettato di essere “una grave minaccia per l’ordine pubblico”, anche in questo caso declassando i poteri esclusivi di magistratura e tribunali, sino ad oggi le uniche istituzioni in grado di trasformare un “fermo” in una “detenzione” o in un “arresto”;
Riguardo al terzo punto, questo è forse uno dei maggiormente dibattuti. In sostanza l’AKP propone di fornire alla polizia maggiori poteri nell’utilizzo letale delle armi da fuoco, dando procura agli agenti di sparare contro chiunque brandisca bombe molotov o “armi simili”;
Nella quarta categoria il ddl prevede un sostanziale aumento delle sanzioni (detenzione fino a 4 anni) per chiunque partecipi a manifestazioni violente o di “propaganda”;
Nel quinto ed ultimo punto è invece messa nero su bianco la maggior giurisdizione che vuole essere conferita ai governatori locali, che nelle intenzioni dell’AKP potranno essere in grado di ordinare alla polizia di perseguire determinati sospetti e di compiere determinati controlli.
Le principali criticità che solleva il “pacchetto di legge per proteggere le libertà”
Nato tra le proteste degli ultimi mesi della minoranza curda per l’inazione di Ankara rispetto all’attacco dello Stato Islamico su Kobane, secondo Human Rights Watch il ddl messo a punto da Erdogan e i suoi rischia di aumentare a dismisura la tensione sociale interna al Paese.
Innanziutto, guardando ai punti dove viene chiesto il sorpasso di PM e tribunali, l’ONG parla apertamente di “violazione della separazione dei poteri tra legislativo, esecutivo e giudiziario degli organi dello Stato”. In secondo luogo, numerosi sono i rischi anche per quanto riguarda i diritti umani. Laddove si parla di “grave minaccia per l’ordine pubblico”, oppure di “sospetto”, o ancora dove si specifica di “armi simili” e di “propaganda” – manifestare con simboli del PKK (partito curdo inserito nella lista dei terroristi dalla Turchia) può ad esempio costare fino a tre anni di reclusione -, il pericolo princiale è che la grande discrezionalità lasciata diventi il terreno fertile di abusi, violenze e brutalità eccessive.
Non a caso, numerosi analisti sostengono che il ddl lasci la porta aperta a vere e proprie detenzioni preventive su basi discriminatorie, oppure ancora alla possibilità che un agente si senta autorizzato ad aprire il fuoco in modo letale ogni qualvolta vede, o crede di vedere, bombe molotov o “armi simili”.
Ma è davvero una “copia” delle leggi attuate da alcuni membri dell’Unione Europea (e la polizia turca può essere paragonata a quella di altri Paesi)?
Stando ad Emma Sinclair-Webb, il premier turco Ahmet Davutoglu e il ministro della giustizia Bekir Bozdag sostengono apertamente che “Francia, Germania, Gran Bretagna e Paesi Bassi” hanno leggi simili. Ad ogni buon conto, effettivamente le forze di polizia del Regno Unito hanno la possibilità di arrestare sospetti di loro iniziativa, e l’ordinamento della Germania mette fuori legge i manifestanti che prendono parte a proteste con il volto coperto o comunque cercando di nascondere la propria identità.
Tuttavia, il paragone in tal senso tra Turchia e alcuni Paesi dell’Unione Europea è da considerarsi parziale, ovviamente interessato ai fini dell’approvazione della legge. Bisogna considerare infatti e aprire una gigantesca parentesi sulla polizia turca, un corpo che in più occasioni (le più recenti e più famose durante le manifestazioni contro l’abbattimento di Gezi Park) si è prodigato in violenze e brutalità ampiamente riportate e testimoniate, risultando tuttavia alla prova dei fatti per lo più immune alla giustizia.
In un tale quadro, non è difficile immaginare come il conferire ad esempio più ampi poteri sull’utilizzo del fuoco possa per diretta proporzionalità portare a più morti e più violenze nel corso delle manifestazioni, contribuendo così a peggiorare un clima sociale già di per se non particolarmente mite.