Suruc, il massacro che non si può dimenticare

Assurdo. Nemmeno il tempo di piangere i morti. Subito dopo la strage al centro culturale di Suruc, la polizia turca ha fatto pressione sulle famiglie affinché seppellissero velocemente i corpi dei loro ragazzi. Troppe manifestazioni, troppi cortei di solidarietà e una rinnovata onda rivoluzionaria ad unire il Rojava, il Kurdistan siriano con la città simbolo di Kobane, al Partito dei Popoli, che alle ultime elezioni ha sfidato Erdogan conquistando 80 seggi in Parlamento e strappando la maggioranza assoluta al partito del presidente turco.

Gli oltre trenta giovani uccisi nell’attentato kamikaze di lunedì stavano preparando una missione di ricostruzione a Kobane, dove avrebbero rimesso in piedi una biblioteca e ripristinato un parco giochi per bambini. Molti di loro erano vicini al Partito dei Popoli, altri erano militanti del partito socialista.

Tra questi c’era la ventitrenne Büşra Mete, rimasta uccisa nel massacro. La famiglia è stata costretta dalle pressioni della polizia a seppellire la figlia durante la notte nel cimitero di Pendik, un piccolo comune a Sud di Istanbul, anziché svolgere la cerimonia funebre il giorno dopo nel cimitero storico di Karacaahmet, il più grande di Istanbul.

Anche la famiglia di Koray Çapoğlu ha dovuto seppellire il figlio all’alba nel villaggio di Yanıktaş, dopo un breve saluto alla presenza di alcuni parlamentari dell’HDP, ma riservando i funerali ai parenti più stretti come richiesto dalla polizia.

“Non c’è bisogno di lacrime, nostra madre è morta per la libertà” ha detto Yasemin, stretta accanto ai tre fratelli, durante il funerale della mamma Nazegül Boyraz.

Tra loro si facevano chiamare “Children of Gezi”, gli eredi delle proteste del 2013 a Gezi Park da cui è partito il giro di vite del governo Erdogan su tutte le manifestazioni di protesta e di pensiero.

Anche su questo massacro, quasi subito attribuito all’ISIS ma non ancora ufficialmente rivendicato, si tenta la censura, limitando la circolazione delle immagini dei giovani martiri, considerati troppo idealisti e vicini ai movimenti di opposizione.

Così su alcuni siti web turchi, anche in lingua inglese, è partita una vasta commemorazione delle vittime, rilanciata sui social media internazionali.

Non può più esistere censura, a nulla serve gettare terra sui corpi ancora caldi, oscurare social network, niente ha potuto fermare le migliaia di persone che hanno partecipato ai cortei per l’ultimo saluto alle vittime, lanciando garofani rossi dalle finestre, esponendo striscioni e manifesti con le foto sorridenti di chi non c’è più.

Redazione RSO – Silvia Savi