Squadra di assassini del sultano

I servizi segreti turchi ora rispondono direttamente al Presidente Erdogan. Il PKK fa saltare i suoi piani per un attentato-Un complotto omicida dei servizi segreti MIT nella Regione Autonoma del Kurdistan la settimana scorsa è finito con una figuraccia per Ankara. Due agenti del MIT arrivati passando per l’aeroporto di Sulaimaniyya (curdo: Silemani), oltre ad altre operazioni dei servizi segreti avevano pianificato un attentato a un alto funzionario del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), così l’emittente curdo-irakena NRT News nel fine settimana. Ma il PKK stava già sorvegliando i due agenti per poi catturarli nella zona di Dukan a nordovest di Sulaimaniyya. Ora si troverebbero nel quartier generale del PKK sulle montagne di Qandil. Il governo turco ha accusato l’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK), nella cui area di dominio è avvenuta la cattura, di non aver sostenuto a sufficienza i suoi agenti. La scorsa settimana per questa ragione il rappresentante del PUK a Ankara, Behroz Galali, è stato espulso dal Paese. »La Turchia dovrebbe essere contenta che non abbiamo presentato i suoi agenti ai media come nel 2003«, ha dichiarato il portavoce del PKK Diyar Xerib lunedì. All’epoca soldati USA avevano catturato agenti turchi che avevano in programma attentati a Sulaimaniyya e li avevano portati in Turchia con dei sacchi sulla testa, cosa che suscitò un’ondata di indignazione.

L’ultimo incidente imbarazzante per il MIT si è verificato proprio in un momento nel quale i servizi segreti, fino ad ora subordinati all’ufficio del Presidente del Consiglio dei Ministri, sono stati messi sotto il controllo diretto del Presidente dello Stato Recep Tayyip Erdogan. Alla fine della scorsa settimana sulla base dello stato di emergenza, Erdogan è stato nominato per decreto Presidente di un nuovo Consiglio di Sicurezza per il servizio di informazioni nazionale (MIKK). Questo sarebbe un bilanciamento delle strutture verso il »sistema presidenziale esecutivo« che prevedibilmente entrerà in vigore con le prossime elezioni presidenziali nel 2019, così il Presidente del Consiglio dei Ministri Binali Yildirim ha motivato questo passo che comporta per lui un’ulteriore perdita di potere. Ora per indagini della procura contro il capo del MIT o per una sua convocazione come testimone, deve esserci il benestare di Erdogan.

Con una riforma dei servizi segreti nel 2014, l’ente che, diversamente da quanto previsto in altri Paesi, dispone anche di poteri di polizia, è stato munito di ulteriori competenze ad esempio all’estero o nell’affrontare gruppi inquadrati come terroristici. Indagini penali contro agenti del MIT da allora possono essere impedite dal capo del MIT con riferimento a più importanti circostanze rilevanti ai fini della sicurezza. Si rischiano invece pene elevate se nella stampa viene riferito di operazioni del MIT. Così il deputato del partito di opposizione kemalista CHP, Enis Berberoglu, nel giugno 2017 è stato condannato a 25 anni carcere perché avrebbe fornito al quotidiano Cumhuriyet prove della fornitura di armi da parte del MIT a organizzazioni terroristiche siriane.

Il governo nel 2014 ha giustificato la riforma dei servizi segreti con i negoziati di pace all’epoca ancora in corso con il PKK. Ma il loro dirigente Duran Kalkan già a quel tempo aveva messo in guardia rispetto al fatto che questa legge era finalizzata molto di più a combattere il PKK perché dava al MIT il diritto »di eseguire operazioni sporche in Turchia e ovunque nel mondo« e di »liquidare oppositori politici«. Che i servizi non avevano affatto bisogno di una legge del genere, lo ha dimostrato l’assassinio della co-fondatrice del PKK Sakine Cansiz nel gennaio 2013 a Parigi. Nell’atto di accusa contro l’assassino Mörder Ömer Güney deceduto in carcere alla fine dello scorso anno, la procura parigina parte da una responsabilità del MIT. Secondo quanto accertato dal »Congresso della Società Democratica Curda in Europa« (KCDK-E) nel frattempo in Europea si trovano diverse squadre di killer che hanno come obiettivo politici curdi in esilio.

di Nick Brauns