Senato della Repubblica; 359a Seduta-Questione Kurda e PKK e documento approvato

RESOCONTO STENOGRAFICO

MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014

(Antimeridiana)

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Presidenza del vice presidente GASPARRI, Indi del vice presidente CALDEROLI  – GUARDA IL DOCUMENTO APPROVATO

N.B. Sigle dei Gruppi parlamentari: Forza Italia-Il Popolo della Libertà XVII Legislatura: FI-PdL XVII; Grandi Autonomie e Libertà (Grande Sud, Libertà e Autonomia-noi SUD, Movimento per le Autonomie, Nuovo PSI, Popolari per l’Italia): GAL (GS, LA-nS, MpA, NPSI, PpI); Lega Nord e Autonomie: LN-Aut; Movimento 5 Stelle: M5S; Nuovo Centrodestra: NCD; Partito Democratico: PD; Per le Autonomie (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE: Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE; Per l’Italia: PI; Scelta Civica per l’Italia: SCpI; Misto: Misto; Misto-Italia Lavori in Corso: Misto-ILC; Misto-Liguria Civica: Misto-LC; Misto-Movimento X: Misto-MovX; Misto-Sinistra Ecologia e Libertà: Misto-SEL.

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RESOCONTO STENOGRAFICO

Presidenza del vice presidente GASPARRI

Discussione delle mozioni nn. 333, 352, 354 e 356 sul trattamento internazionale del PKK (ore 11,39)

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione delle mozioni 1-00333, presentata dal senatore De Cristofaro e da altri senatori, 1-00352, presentata dal senatore Lucidi e da altri senatori, 1-00354, presentata dal senatore Tonini e da altri senatori, e 1-00356, presentata dal senatore Romani Paolo e da altri senatori, sul trattamento internazionale del PKK.

Ha facoltà di parlare il senatore De Cristofaro per illustrare la mozione n. 333.

DE CRISTOFARO (Misto-SEL). Signor Presidente, siamo molto soddisfatti del fatto che la presentazione della nostra mozione abbia obbligato il Parlamento e il Senato a doverne discutere. Siamo anche soddisfatti del fatto che le varie forze politiche del nostro Paese si siano espresse sull’argomento, anche perché, nel corso di tutti questi anni, era stato rimosso un problema politico a nostro avviso molto serio, che gli eventi che sono accaduti nel corso delle ultime settimane e degli ultimi mesi hanno invece riproposto in tutta la sua serietà e finanche drammaticità.

Sappiamo bene, e ricordiamo in proposito la seduta straordinaria delle Commissioni esteri di Camera e Senato riunite quest’estate, come sia stata data vita ad una iniziativa occidentale, la cosiddetta «coalizione dei volenterosi», che ha affrontato e sta affrontando la vicenda dell’ISIS, in particolare in Iraq. Pur avendo in quel caso (e mantenendo oggi questa posizione) espresso un dissenso molto forte rispetto a quel tipo di impostazione, ossia l’idea di fornire armi ai peshmerga curdi che si oppongono all’ISIS, e pur esprimendo un voto contrario, per la semplice e banale ragione, che abbiamo ripetuto nel corso di questi mesi e che ribadiamo ancora, che il tema è comprendere come si contrasta meglio l’ISIS e, dal nostro punto di vista, coinvolgere le Nazioni Unite all’interno di questa vicenda, rimane però grande quanto una casa una contraddizione molto, molto seria con la quale ci confrontiamo.

L’Occidente considera decisivo il lavoro e l’opposizione armata che stanno facendo i curdi nel corso di questi mesi per bloccare l’avanzata dell’ISIS, ossia l’avanzata di un pericolo ormai decisivo per il mondo occidentale, verso il quale tutti insieme dichiariamo una forma di distanza siderale e verso il quale naturalmente tutti dichiariamo un’avversione radicale. Ma questo stesso Occidente, che oggi vuole combattere l’ISIS, è stato quello che, nel corso di questi anni, ha sbagliato quasi tutte le scelte più significative di politica e di geopolitica rispetto a quell’area del mondo. Innanzitutto, infatti, nel corso di questi anni l’Occidente non ha compreso cosa stava accadendo in quel territorio: non ha compreso, per esempio, che le guerre in Iraq (già la prima guerra del 1990 e, poi, quella del 2003) inevitabilmente avrebbero favorito un processo come quello della costruzione dell’ISIS.

Ancora una volta, inoltre, anche nel corso della fase più recente, in chiave antisiriana – e quindi per provare ad esprimere un elemento di dissenso e di opposizione al regime di Bashar al-Assad in Siria – questo stesso Occidente ha finito con il sovvenzionare e sostenere quella cosiddetta opposizione siriana che, però, di democratico non ha nulla. Non è certo un’opposizione della società civile, considerato che, se esiste – e certamente esiste – un’opposizione della società civile siriana, questa, purtroppo, è stata completamente stritolata dalle truppe jihadiste, per cui ha finito per sostenere quegli embrioni dai quali è nato l’ISIS.

Questo è il contesto di clamorosi errori politici riguardanti quell’area del mondo, che avrebbe meritato ben altra considerazione da parte del nostro Parlamento. Come i colleghi ben sanno, mi sono sgolato più volte in Commissione esteri per dire che, per quanto naturalmente la Commissione esteri sia formalmente pienamente legittimata a discutere di tali vicende, sarebbe stato bene immaginare una seduta plenaria dell’Assemblea per discutere dell’ISIS e delle misure di contrasto, come si è fatto in altri Paesi del mondo.

In ogni caso, pur essendo riconosciuta la resistenza del popolo curdo (al punto tale che vengono finanche inviate armi per sostenere l’impegno bellico del popolo curdo), rimane una profonda contraddizione, dal nostro punto di vista, riguardante il ruolo di uno dei principali attori presenti in quello scenario. Questo attore è il Partito dei lavoratori del Kurdistan che, da diversi anni, è inserito erroneamente – secondo noi, e speriamo si possa rapidamente risolvere detta questione – nella lista nera delle organizzazioni terroriste internazionali, ed è esattamente quel movimento e partito che più di tutti, oggi, sta mantenendo la resistenza del popolo curdo.

Naturalmente conosciamo bene le ragioni che hanno portato, nel corso di questi anni, a far sì che il PKK fosse inserito all’interno delle organizzazioni terroriste internazionali. Conosciamo bene che cosa è successo anche nel nostro Paese nel corso degli anni passati e l’errore drammatico che ha commesso, anni fa, quando non volle riconoscere l’asilo politico a Ocalan, leader del PKK, oggi detenuto in un carcere di massima sicurezza turco.

Conosciamo bene quanti errori sono stati fatti e di come, a partire da essi, sia estremamente peggiorata, nel corso degli ultimi anni, la stessa condizione sociale dei cittadini curdi che vivono nei Paesi europei, i quali, pure a seguito di queste vicende, si sono trovati in una condizione molto più difficile di quella attuale.

Ebbene, per queste ragioni, noi pensiamo che il Parlamento nazionale – per questo abbiamo presentato la mozione in esame – debba impegnare il Governo a procedere in maniera molto netta rispetto a questo tema, per rimediare agli errori fatti nel corso degli anni passati e anche e soprattutto per un principio di verità. Mi riferisco ad una verità, purtroppo, ancora una volta occultata dal mondo occidentale e dai mezzi di informazione di massa, in particolare in Italia, a differenza degli altri Paesi europei, dove è riconosciuto totalmente il ruolo che nella resistenza curda sta avendo il PKK. Nel nostro Paese, purtroppo, c’è una sorta di cappa di silenzio, per cui non si riesce a discutere in maniera seria di quanto sta accadendo in quell’area e ad individuare le responsabilità che si sono prodotte nel corso di questi anni.

Innanzitutto si devono promuovere, in sede europea, delle azioni di confronto che permettano alle autorità regionali curde di garantire la stabilità politica, riappropriandosi ovviamente della loro identità etnica, culturale, sociale ed economica, anche alla luce della profonda revisione, finanche teorica, che sta facendo quel movimento, ormai sempre più convinto che la soluzione del problema curdo sia la nascita non di uno Stato nazionale curdo, bensì di una sorta di confederazione democratica autogovernata. Si tratta dunque di una svolta teorica molto significativa rispetto ad una serie di dogmi che, in qualche modo, hanno caratterizzato la storia politica di quel movimento nel corso degli anni passati.

Chiediamo anche che il Governo nazionale possa promuovere iniziative per determinare un reale processo di pace tra la Turchia e il PKK e i curdi attraverso un processo politico e pacifico di riconciliazione. Pensiamo che per fare questo e anche per favorire questo processo di pace sia necessario e fondamentale che il PKK possa essere messo in una condizione diversa da quella in cui si è trovato nel corso degli anni passati e che possa essere cancellato dalla lista delle organizzazioni terroriste internazionali.

Concludo, signor Presidente, semplicemente sottolineando come sia molto labile il confine che passa, nel corso della storia dell’umanità, quando si parla di movimenti di liberazione, tra azioni di lotta e azioni di lotta armata. C’è stata una lunga fase storica in cui un pezzo molto significativo di mondo ha pensato che l’organizzazione politica di Nelson Mandela – la ANC – fosse un’organizzazione terrorista. Questo è stato detto e raccontato per molti decenni e non semplicemente per molti anni. Quello straordinario leader, che tutti noi e tutto il mondo hanno ricordato quando è morto qualche tempo fa, ha in qualche modo attraversato, come lui stesso ha detto e scritto, un lungo cammino verso la libertà, che lo portò evidentemente anche a passare da un tipo di azione ad un’altra e anche a cambiare la natura dell’opposizione al regime dell’apartheid.

Esattamente come è valso per il simbolo più importante di tutti – Nelson Mandela e la ANC – noi pensiamo che ciò debba valere per tutti i popoli che si battono per la libertà, per la autodeterminazione e per l’indipendenza. Certamente, quando si combatte una guerra e ci si trova dentro una condizione difficile, può accadere che tu, movimento di liberazione, sei anche costretto ad azioni violente. È successo alla ANC; è successo alla OLP in Palestina; è successo, ovviamente, durante la guerra in Algeria e, naturalmente, può succedere dentro una guerra di liberazione nazionale. È pertanto davvero ardito la tesi di considerare questo come se fosse semplicemente terrorismo internazionale.

Il PKK non c’entra veramente niente con il terrorismo internazionale, così come l’abbiamo conosciuto nel corso di tutti questi anni. Non solo non c’entra niente con le centrali di terrore, ma, come si è visto sul campo in questi drammatici mesi che in questo momento, in quel Paese e in quella parte di mondo si stanno vivendo, ha combattuto ISIS, lo Stato islamico, anche immettendo alcuni straordinari elementi dal punto di vista culturale. Lo dico anche e soprattutto alle donne parlamentari della Repubblica italiana: il fatto che davvero colpisce positivamente è che, proprio nella contraddizione così forte, le principali milizie del PKK che si stanno battendo contro la minaccia nera dell’ISIS e contro i tagliagole dello Stato islamico sono soprattutto femminili. Questo non accade da ora, ma da molti anni, ed avviene per mettere in campo non semplicemente un elemento di resistenza, ma anche un elemento che parla di un nuovo mondo possibile: un nuovo mondo che supera, travolge e sconfigge i dogmi più insopportabili che l’ISIS ha messo in campo nel corso di questi mesi.

Da questo punto di vista noi crediamo che sarebbe davvero un fatto politico molto, molto significativo se il Senato della Repubblica italiana in qualche modo squarciasse il velo di ipocrisia su questa vicenda che stiamo raccontando. Parlare oggi di questo significa ripristinare la verità su quanto che sta accadendo in quel territorio, altrimenti rischiamo davvero di essere un po’ ipocriti. Magari diamo anche qualche arma in più ai combattenti curdi ma non usciamo dalle grandi contraddizioni che hanno segnato la storia recente di questo mondo. (Applausi dal Gruppo Misto-SEL).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Lucidi per illustrare la mozione n. 352.

LUCIDI (M5S). Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Vice Ministro, le mozioni di oggi hanno origine da una istanza di cancellazione dalla lista delle organizzazioni terroristiche internazionali del PKK, il Kurdistan Workers’ Party.

Il PKK è però solo uno dei principali gruppi curdi regionali tra i quali possiamo anche elencare il Kurdish Regional Government (KRG) in Iraq, il Kurdistan Workers’ Party (PKK) in Turchia e il Syria’s Democratic Union Party (PYD) in Siria, oltre ad altri diversi gruppi curdi in Turchia, compresi islamici curdi che seguono il Free Cause Party (Huda-Par) e curdi più laici, vicini al Partito democratico Popolare (HDP), spesso affiliati con il PKK. Questo è il contesto politico interno al Kurdistan, caratterizzato anche da forti tensioni e da una accesa competizione: tensione e competizione che stanno continuando tuttora.

Queste lotte interne hanno inoltre evidenziato la dimensione socioeconomica spesso trascurata della pace interna alla questione curda. I curdi necessitano non solo di pace esterna con la Turchia, ma hanno anche bisogno di stabilire la pace interna tra i loro stessi gruppi presenti nella regione.

La motivazione principale che ha spinto noi 5 Stelle a presentare una nostra mozione, cercando di focalizzare l’argomento da un’altra angolazione, è quella di ritenere fondamentale circoscrivere il contesto in oggetto e, una volta analizzato e compreso, poter essere in grado di proporre una soluzione o una richiesta di impegni che siano adeguati.

Ecco dunque che la nostra posizione non è sbilanciata solo in favore del PKK ma prevediamo, appunto, un tempo di congelamento volto all’osservazione e quindi valutazione della situazione politica attuale, profondamente diversa rispetto all’anno 2001, anno durante il quale veniva adottata la risoluzione ONU di iscrizione del PKK nella citata lista.

Abbiamo cercato dunque di ripercorrere i passi che ci hanno portato fin qui e mi accingo quindi a fornire dei fatti oggettivi, ripeto, fatti oggettivi che saranno poi la base imprescindibile per costruire le nostre opinioni.

La risoluzione ONU che identifica il PKK come organizzazione terroristica è la n. 1373 del 2001, cioè tredici anni fa il PKK si configurava, a giudizio dell’ONU, come gruppo terroristico.

Nel 2007 Abdullah Ocalan (leader della formazione) ha presentato un ricorso che è stato definito però irricevibile dalla Corte europea; lo stesso tribunale di Roma ha riconosciuto ad Ocalan, in base all’articolo 10 della Costituzione, l’asilo e lo status di rifugiato politico. Ricordo che attualmente egli è detenuto in stato di isolamento nelle carceri turche.

Proprio dal PKK, sotto la leadership di Ocalan, sono emerse disponibilità a risolvere la questione curda con la via del dialogo e del confronto. Tra le proposte avanzate quelle del confederalismo democratico, che potrebbe costituire la base per la soluzione dei problemi della Turchia, della Siria, dell’Iraq e dello stesso Iran, superando i confini nazionali non su base settaria, come pretendono i fondamentalisti dell’IS, ma in modo democratico, nel rispetto delle varie etnie e fedi religiose praticando l’autodeterminazione su base territoriale.

Ultimo aggiornamento cronologico importante è lo scenario di guerra contro ISIS e l’assedio della città di Kobane in Siria che si trova al confine con la vicina Turchia, attualmente sotto attacco da parte del cosiddetto Stato islamico.

La risoluzione della questione curda risulta essere strategica allora per l’assetto dell’intero Medio Oriente e per una pace duratura in questa zona.

Quello descritto fino a qui è il contesto generale, al quale occorre però aggiungere la posizione italiana. Questa estate, il 20 agosto 2014 – il Vice Ministro lo ricorderà bene – è stata votata una risoluzione che: «impegna il Governo a dare attuazione agli indirizzi formulati dal Consiglio straordinario dei Ministri degli esteri dell’Unione europea del 15 agosto 2014, rispondendo, d’intesa con i partner europei e transatlantici, alle richieste di aiuto umanitario e di supporto militare delle autorità regionali curde, con il consenso delle autorità nazionali irachene».

Su questo fronte, e quindi su questa risoluzione votata in estate, il M5S si è sempre dichiarato contrario all’intervento militare sia aereo che terrestre da parte delle forze italiane, ritenendo ancora valida la proposta contenuta nella recente risoluzione dell’ONU n. 2178 del 2014, adottata lo scorso 24 settembre.

Ad ottobre 2014 il Governo ha confermato nel cosiddetto decreto missioni la scelta effettuata ad agosto. È notizia invece della scorsa settimana l’invio da parte italiana di altri mezzi tra i quali droni e caccia e altre forze di terra.

La nostra mozione dichiara ed evidenzia come la scelta operata dal Governo italiano sia da considerarsi incoerente allorquando, mentre da membro delle Nazioni Unite non può far altro che dare seguito alla risoluzione dell’organismo medesimo, che ha inserito – appunto – il PKK nella lista delle organizzazioni terroristiche, e che giustamente conferma nel 2014 dichiarando non necessario l’intervento militare, sostiene ed arma lo stesso PKK per tramite delle decisioni assunte in agosto (con la risoluzione già citata) e confermate ad ottobre con legge di conversione del decreto missioni. Vogliamo dunque evidenziare la condizione di incoerenza del nostro Governo.

La Repubblica italiana, mentre è stata solerte a inviare armi ai curdi, non è stata altrettanto sensibile nel sostenere, nei consessi internazionali, il ricorso alla via pacifica e al negoziato per trovare una soluzione alla vicenda curda nel rispetto del diritto internazionale e soprattutto dei diritti umani,

Vengo dunque alle motivazioni che hanno portato alle nostre richieste di impegno al Governo con la mozione in esame.

Ciò che riteniamo utile alla causa curda nel breve termine è ottenere la dovuta stabilità politica interna, permettendo ai curdi di riappropriarsi delle loro identità etnica, culturale, sociale ed economica; a nostro avviso, questo deve essere accompagnato da garanzie di rinuncia alla lotta armata, da parte dei gruppi estremistici curdi, con l’impegno a perseguire un processo politico e pacifico di riconciliazione interna, senza pregiudicare la loro autonomia e indipendenza politica. Da ultimo, si deve arrivare ad un periodo di osservazione, durante il quale il PKK potrà chiarire e riallocare la propria posizione internazionale, trascorso il quale, in caso di esito positivo dell’osservazione, potrà richiedere di essere cancellato dalla lista delle organizzazioni terroristiche. (Applausi dal Gruppo M5S).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Tonini per illustrare la mozione n. 354.

TONINI (PD). Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare il collega De Cristofaro per aver voluto sollevare tale questione con la presentazione della mozione n. 333, poc’anzi illustrata. Ritengo sia molto opportuno svolgere una discussione sul ruolo che il popolo curdo sta ricoprendo in questa terribile crisi internazionale che sta sconvolgendo praticamente l’intero mondo arabo-islamico con l’emergere all’orizzonte del cosiddetto Stato islamico, del califfato. Quest’ultimo pensa di poter identificare la grande e millenaria civiltà islamica con un progetto tutto ideologico, teocratico e imperialistico, e non si fa scrupolo di utilizzare i peggiori strumenti del terrorismo, oltre al fatto che oggi dispone di un armamento assolutamente efficiente e per certi versi formidabile, almeno in un’area come quella che sta tra l’Iraq e la Siria, con evidenti infiltrazioni e diffusioni in un’area molto più vasta.

In un contesto come questo, il popolo curdo sta svolgendo un ruolo di assoluta primazia perché si trova in prima linea, innanzi tutto difendendo se stesso. Infatti, difende la propria stessa sopravvivenza rispetto a violenze, attacchi efferati e assolutamente feroci da parte dell’ISIS.

Difendendo se stesso, la propria libertà, la propria autonomia, la propria stessa sopravvivenza, sta svolgendo anche un prezioso ruolo di difesa di noi tutti e, si potrebbe dire, innanzitutto del grande mondo arabo islamico e, in un certo senso, anche dell’Occidente e delle altre parti del mondo, in questa fase storica così difficile e così travagliata.

Quindi, ragionare insieme, tra di noi, in questo momento, qui nel Senato italiano, sul futuro del popolo curdo e sul credito che obiettivamente sta conquistando agli occhi dell’opinione pubblica, anche occidentale, con questa sua lotta, che non è retorico definire eroica, è quanto mai utile e quanto mai opportuno.

I curdi, come è noto, sono un popolo senza Stato. Non è l’unico caso nel mondo, ma è un caso abbastanza vistoso. È un popolo di alcune decine di milioni di persone, quindi di tutto rispetto dal punto di vista della consistenza democratica, che occupa un territorio diviso tra quattro Stati: la Turchia, la Siria, l’Iraq e l’Iran. Quattro Stati che condividono, appunto, la presenza sul loro territorio di popolazioni curde.

Naturalmente, questo dato di fatto ha da radici molto antiche (potrei definirle secolari) perché, in fondo, esso è seguito proprio al ridisegnamento dei confini seguito alla Prima guerra mondiale, cento anni fa. In questi mesi stiamo celebrando il centenario dell’esplosione della terribile Grande guerra, la Prima guerra mondiale. Ebbene, i confini furono ridisegnati, dopo quel terribile conflitto, in particolare dalle potenze europee vincitrici della Prima guerra mondiale, a seguito della dissoluzione dei grandi imperi multinazionali (da un lato quello austroungarico e, dall’altro quello ottomano). Fu riscritta la carta geografica sulla base anche dell’ideologia allora prevalente in Europa, che era quella del nazionalismo e degli Stati nazionali.

Sappiamo quante tensioni questa nuova carta geografica abbia prodotto nella stessa Europa, tensioni che portarono poi alla Seconda guerra mondiale, e quanti problemi irrisolti abbia lasciato in quella ampia fascia intermedia a sud dell’Europa che va dal Marocco, dall’Oceano Atlantico, attraversando tutto il Nord Africa e poi il Medio Oriente, fino in Asia.

Oggi siamo alle prese con questo problema che riemerge: come ricostruire e ridisegnare i confini dentro una nuova guerra (speriamo non sia una guerra mondiale) che in qualche modo ha come epicentro proprio i confini tra Iraq, Siria e Medio Oriente nel suo complesso, che furono uno dei risultati della Prima guerra mondiale.

L’Europa in questi anni ha maturato, attraverso l’esperienza terribile dei conflitti all’interno dell’Europa stessa, una cultura per affrontare tali questioni basata su due principi fondamentali. Il primo principio è l’intangibilità dei confini, se non attraverso il negoziato. I confini che ci ha consegnato la storia, che sono tutti, sempre, per definizione, confini opinabili, non devono essere rimessi in discussione attraverso la forza, ma, semmai, possono essere ridiscussi soltanto attraverso il negoziato.

Dall’altra, vi è l’idea che le diversità etniche, culturali e religiose, che spesso caratterizzano tanti degli Stati cosiddetti nazionali, devono essere risolte non attraverso la secessione e la rottura con gli Stati nazionali, ma attraverso lo strumento principe della forte capacità di autonomia e di autogoverno, propria di quelle che in Italia chiamiamo autonomie speciali, rispetto ai Governi centrali.

Credo che su questa strada si stia muovendo una parte consistente della dirigenza del popolo curdo che, diviso in quattro Stati, ha anche molte organizzazioni politiche al suo interno. Dagli scambi che abbiamo avuto anche qui in Senato con gli esponenti di queste organizzazioni, mi pare di poter dire che sia prevalente l’idea, riguardo al futuro del popolo curdo, di battersi, più che per il ridisegnamento dei confini per creare un improbabile Stato curdo, prendendo pezzi dai quattro Stati in cui oggi la popolazione curda è divisa, per una significativa autonomia delle popolazioni curde all’interno dei rispettivi Stati.

Questo è il senso anche della nostra mozione. Noi incoraggiamo il Governo a muoversi in questa direzione, perché questa è anche la cultura migliore dell’Italia in questa prospettiva. Basti pensare a come l’Italia ha affrontato brillantemente la questione altoatesina, che certamente non ha nulla a che vedere con la drammaticità di altre questioni nazionali e che tuttavia avrebbe potuto essere una piaga purulenta all’interno del nostro Stato unitario, mentre è stata affrontata proprio secondo la logica dell’autonomia, con risultati assolutamente brillanti ed invidiati nel mondo.

Credo che questa sia la strada che possiamo proporre come Paese anche al popolo curdo.

All’interno di questa vicenda, si inserisce il problema del PKK, questione per la quale auspichiamo, come si dice nella mozione, una soluzione consensuale e concordata che valorizzi l’evoluzione del PKK in senso pacifico e democratico per arrivare, attraverso un negoziato che peraltro si sta già svolgendo con il Governo turco, anche alla cancellazione del PKK dalla lista delle organizzazioni terroristiche.

L’Italia deve svolgere un’azione di incoraggiamento perché questo negoziato abbia un esito positivo, in termini di aiuto alla gestione della questione curda, questione che si è evidenziata in tutta la sua drammaticità, ma anche con tutta la sua potenzialità positiva, da questa terribile vicenda della guerra con l’ISIS. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Mazzoni per illustrare la mozione n. 356, alla quale ha aggiunto la sua firma.

MAZZONI (FI-PdL XVII). Signor Presidente, nell’illustrare la mozione del Gruppo di Forza Italia che chiede, al pari delle altre, di riconsiderare le valutazioni sul PKK e quindi la possibilità di rimuoverlo, in prospettiva, dalla lista nera delle organizzazioni terroristiche, non posso che ringraziare, in quest’Aula, il popolo curdo per quanto sta facendo per difendere la propria, ma anche la nostra libertà dal pericolo costituito dal fondamentalismo dei tagliagole dell’ISIS.

È giusto ricordare che i curdi hanno scelto realisticamente la strada del confederalismo democratico, un sistema che non persegue la creazione di uno Stato-Nazione, ma di una semplice nazione la cui base è la società civile organizzata autonomamente in forma democratica, un percorso che l’Occidente avrebbe tutto l’interesse a favorire.

Non bisogna mai dimenticare, infatti, che il popolo curdo è stato vittima di un vero e proprio genocidio, ad opera di molti, ma in particolare per mano di Saddam Hussein: 182.000 vittime, tra cui molte donne e bambini, scomparsi durante la campagna di Anfal, con 4.500 villaggi rasi al suolo e con i civili colpiti dalle armi chimiche. Ebbene, oggi il popolo curdo è di nuovo sotto una gravissima minaccia: già all’inizio di quest’anno il Presidente della regione del Kurdistan iracheno Barzani aveva allertato la comunità internazionale sul pericolo mortale costituito dall’ISIS.

Purtroppo, ancora una volta, la minaccia del fondamentalismo islamico è stata sottovalutata dall’occidente, la cui complessiva inadeguatezza ha permesso al califfato di occupare, tra Iraq e Siria, un territorio grande ormai come la Gran Bretagna, facendo ripiombare le comunità cristiane nei tempi bui della «dhimmitudine»: convertiti, paga le tasse o muori. Eppure, le autorità curde avevano avvertito per tempo che non ce l’avrebbero fatta a mantenere il confine da soli, senza rinforzi. Naturalmente non li hanno ricevuti in tempo. Quando la Casa Bianca si è finalmente decisa a bombardare gli avamposti dell’ISIS, anche se all’inizio con un dispiegamento di forze minimo, l’ha fatto quasi fuori tempo massimo, con il presidente Obama che si premurò di precisare che ogni eventuale azione militare sarebbe stata limitata nei suoi obiettivi, perché alla crisi in Iraq – per dirla con le sue parole – serve «una soluzione politica».

Ma come si faceva a parlare già allora di soluzione politica, con i tagliatori di teste e gli sterminatori di donne e bambini? E infatti, in questi giorni, le dimissioni forzate del ministro della difesa statunitense Hagel sono state la prova del nove del fallimento della strategia contro l’ISIS. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: le milizie dello stato islamico stanno disseminando il terrore e perpetrando violenze inaudite. A questo proposito, la testimonianza di qualche settimana fa della rappresentante dei curdi iracheni in Italia, Rezan Kader, è stata drammaticamente cruda. I numeri sono allucinanti: gli sfollati interni e i rifugiati nella regione del Kurdistan sono più di un milione e mezzo; dall’inizio della guerra sono state già uccise 1.800 persone; 3.000 donne, quasi tutte giovanissime, sono state rapite e vendute come schiave a Mosul o in Siria; in un solo villaggio sono stati massacrati 430 uomini; il KRG e le forze peshmerga finora sono riusciti a liberare 234 persone; sulle montagne di Shangal sono morte 600 persone per carenza di acqua e cibo, di cui 200 erano bambini; 14 luoghi di culto degli yazidi sono stati distrutti e bruciati.

Per il popolo curdo la difesa del territorio è una questione di sangue; basti pensare che sono moltissime le donne arruolate tra i peshmerga. L’addestramento alle armi avviene in famiglia. Il 40 per cento degli effettivi di Kobane, la città simbolo della resistenza all’ISIS, sono donne. Il reggimento femminile dei peshmerga è uno dei punti di forza della difesa del Kurdistan dal 1996 a oggi. Dunque – lo voglio ripetere – quella che i peshmerga curdi stanno combattendo è una guerra per difendere l’occidente e i nostri valori contro chi non conosce altro invece che la jihad e la morte per gli infedeli.

Ora, spiegando più in dettaglio la mozione, non possiamo certo nascondere che tra i peshmerga un ruolo fondamentale sia ricoperto dagli autonomisti del Partito dei lavoratori del Kurdistan, di cui fa parte il PKK, che per i cittadini turchi, secondo un recentissimo sondaggio, è ancora più pericoloso degli stessi jihadisti dello stato islamico. Negli anni passati il PKK si è reso in effetti responsabile di una serie di attentati in Turchia, per i quali dal 2002 è stato inserito anche dall’Europa, su richiesta del Governo di Ankara, nella lista delle organizzazioni terroristiche. Ma ora la situazione è cambiata e c’è un paradosso che va realisticamente superato: l’Unione europea fornisce armamenti ai combattenti curdi e quindi anche ai militanti del PKK per combattere l’ISIS, ma continua però a mantenere il PKK nell’albo nero delle organizzazioni terroristiche.

Ebbene, c’è stata una presa di posizione dell’Associazione europea dei giuristi per la democrazia e i diritti umani nel mondo, che ha lanciato un appello in cui si chiede la rimozione del PKK dall’elenco europeo del terrorismo, la revoca del divieto di attività, il sostegno al processo di pace e la rivalutazione legale del PKK da parte dell’Unione europea. La messa al bando del PKK ha infatti messo in discussione il diritto di soggiorno di decine di migliaia di curdi in Europa ed ha portato di fatto alla loro criminalizzazione. Fra l’altro, mentre l’ISIS può contare sui proventi del petrolio e sui tesori sequestrati alle banche irachene e siriane, le organizzazioni considerate vicine al PKK sono state colpite da restrizioni finanziarie e dal congelamento di tutti i conti bancari; allo stesso tempo, nessuna risorsa economica, finanziaria o di altro tipo gli può essere erogata.

È insomma giunto il momento di rivedere il dossier PKK, per arrivare a una nuova valutazione giuridica da parte dell’Unione europea anche sulla base dei fatti nuovi intervenuti, che sono molti. Nel giugno 2014, infatti, il Parlamento turco ha approvato ufficialmente i negoziati di pace tra Governo turco e PKK. Il PKK ha già da tempo rinunciato alla lotta armata per perseguire obiettivi politici, ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale nei confronti del Governo turco e non richiede la separazione del territorio curdo dalla Turchia, ma ora cerca un’amministrazione autonoma regionale democratica, sul modello di quella stabilita nella parte occidentale del Kurdistan, nella Siria settentrionale. Soprattutto, lo ripeto, il PKK sta organizzando, insieme con le altre forze curde, la resistenza armata contro il cosiddetto Stato islamico.

Per questi motivi la rimozione del PKK dalla lista delle organizzazioni terroristiche dell’Unione europea non dovrebbe più trovare soverchi ostacoli. Non solo: aggiungo a titolo personale che il Governo italiano dovrebbe impegnarsi per riconoscere ufficialmente il genocidio curdo del 1988, dovrebbe fornire un supporto militare ancora maggiore al governo regionale del Kurdistan e dovrebbe riconoscere all’Ufficio di rappresentanza del Kurdistan in Italia lo status diplomatico, come hanno già fatto Austria, Spagna, Svezia e altri Paesi europei. (Applausi dai Gruppi FI-PdL XVII eNCD e del senatore Manconi).

Saluto ad una rappresentanza di studenti

PRESIDENTE. Saluto studenti e docenti dell’Istituto tecnico «Sandro Pertini» di Afragola, in provincia di Napoli, che stanno assistendo ai nostri lavori. (Applausi).

Ripresa della discussione delle mozioni
nn. 333, 352, 354 e 356
(ore 12,20)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.

È iscritto a parlare il senatore Divina. Ne ha facoltà.

DIVINA (LN-Aut). Signor Presidente, giudichiamo questo momento particolarmente pericoloso per tutti gli Stati democratici e occidentali, in quanto – ce ne saremo accorti – è stato fondato uno Stato autenticamente terrorista. Mi riferisco all’ISIS, che oggi ha assunto tutti gli elementi costitutivi per essere definito uno Stato: esso ha un suo territorio, una sua sovranità, ha organi politici e organi amministrativi, ha un suo bilancio e, dunque, lo dobbiamo a tutti gli effetti considerare uno Stato terrorista. Lo sappiamo, non solo perché i servizi da tempo monitorano la zona, ma addirittura un grande network internazionale, come la CNN, ha già dato la notizia che sulle coste africane e libiche si trovano 800 esponenti dell’ISIS, pronti a partire per l’Europa. Il primo approdo, o il più naturale, è sicuramente l’Italia. Non sappiamo se la destinazione sarà questa, ma sappiamo che, se arriveranno uno o più di questi 800 esponenti dell’ISIS, magari mescolati in mezzo ai poveracci, ai clandestini e ai profughi, una volta nel nostro Paese, una volta in Europa, possiamo immaginare lo scopo della loro visita.

Questa organizzazione terroristica per il momento sembra relativamente poco considerata o poco combattuta. Ci sono pochissimi Paesi che hanno fatto pochissimi e minuti interventi, come gli americani e gli inglesi, perlopiù adottando le tecniche del sorvolo e del bombardamento aereo, a volte anche con droni senza pilota. Gli unici che riescono a contrastare l’ISIS in modo efficace sono quei poveracci turchi, che rischiano davvero di scomparire e che, forse per formazione, per cultura, per storia, hanno sempre dovuto combattere. Pertanto, organizzati anche militarmente (parliamo dei peshmerga), stanno tentando di difendere intanto loro stessi, ma sostanzialmente il mondo intero, perché sono l’unico baluardo e l’unico contrasto all’espansione di questa macchina del terrorismo che ormai è diventata uno Stato terrorista. Sembra che sia venuto meno anche il veto iniziale della Turchia, che vedeva la possibilità di aiutare l’esercito irregolare, autonomo, peshmerga come un potenziale armamento del PKK, che sappiamo aver sempre avuto problemi o comunque a livello turco il veto; è un partito fuori dall’arco costituzionale, è un partito bandito e addirittura messo nella famosa black list dei partiti o organizzazioni terroristiche.

Ciò detto, vorrei fare un riferimento alle politiche italiane che hanno sempre visto con estrema tranquillità e disinvoltura l’apertura alla Turchia in Europa. Sul fatto di estendere eccessivamente verso Est o verso il Medioriente la possibilità di far entrare Stati nell’area Schengen, oggi la posizione della Lega Nord è diventata di estrema attualità. Cosa sarebbe successo, cosa succederebbe se avessimo mollato o mollassimo i freni e oggi la Turchia fosse in Europa? Turchia in Europa vuol dire Turchia nell’area Schengen, vuol dire nessun tipo di controllo alle frontiere, libertà di circolazione. Conosciamo le frontiere di quell’area del Kurdistan che noi definiamo frontiere-gruviera: quante persone avrebbero potuto arrivare con disinvoltura in Turchia e, una volta lì, sostanzialmente sarebbero state libere di circolare in tutta Europa? Per questo la Lega Nord proponeva a tutto il Parlamento italiano di prendersi il giusto tempo per considerare l’opportunità e i rischi di portare la Turchia in Europa. Il ragionamento da fare era che, ancorché la Turchia avesse un’economia europea, ancorché avesse fatto passi in ambito legislativo, recependo, dalla tortura alla pena di morte, una codicistica penale e civile di tipo europeo, si trova però in un’area geografica di estremo rischio e noi non possiamo con eccessiva disinvoltura far finta che tali rischi non ci siano.

Abbiamo probabilmente evitato un grande errore; meglio ancora, ce lo hanno fatto evitare forse un po’ con la forza. Se noi avessimo seguito le indicazioni del Presidente degli Stati Uniti, tutta l’Europa si sarebbe immediatamente schierata con i famosi guerriglieri per la libertà che avrebbero consentito di scalzare il Presidente siriano Assad, probabilmente considerato un cattivo presidente per gli Stati Uniti. Per nostra fortuna la Russia di Putin ha dato un colpo di tosse dicendo che probabilmente stavamo sbagliando, che lì non si doveva intervenire, perché si sarebbe esattamente ripetuta un’altra questione del tipo di quella avvenuta in Afghanistan con i talebani: avremmo armato guerriglieri dell’ISIS, che avrebbero con più facilità scalzato uno Stato intero, e l’area di occupazione o d’influenza dell’ISIS non sarebbe quella, ma probabilmente sarebbe molto diversa e molto più ampia. Gli americani hanno fatto lo stesso identico errore in Afghanistan: pensando di scacciare i russi, andarono ad allearsi con i talebani, diedero un supporto forse anche di tipo militare ed in termini di armamenti. Gli americani sono ancora lì; noi per fortuna alla fine di questo dicembre torneremo a casa, ma per 12 anni ci siamo dovuti imbattere in una guerra oltre i confini. Si parla di missione di pace, ma abbiamo lasciato più di 50 nostri soldati in quel Paese a combattere quelli che prima gli americani, giudicandoli amici, avevano sostenuto, aiutato e militarmente attrezzato. Si sarebbe verificato lo stesso identico errore, ma, per fortuna, la Russia di Putin ha evitato che questo accadesse di nuovo.

Dovremmo, pertanto, riconsiderare, forse anche noi, l’opportunità di rimanere in una Comunità europea che, sciaguratamente, per la questione ucraina, continua a dichiarare guerra alla Russia (chiaramente una guerra non militare, ma economica) e impone a tutti gli Stati, tra cui l’Italia, sanzioni economiche che non vanno a sanzionare la Russia, ma sanzionano addirittura le nostre imprese, che, già in difficoltà, rinunciano ad uno dei pochi mercati in espansione per beni di prima necessità (verdure, carni, frutta e latticini), produzioni basilari per tante nostre imprese italiane.

Vorremmo far evidenziare questo aspetto e per questo chiediamo al senatore De Cristofaro, come primo firmatario, e al Gruppo SEL di introdurre un passo successivo nella loro mozione, che noi potremmo accogliere. Più che puntare l’attenzione su Ocalan quale leader di PKK, che in questo momento è giudicata un’organizzazione terroristica, iscritta in un libro nero, non sarebbe forse stato il caso, colleghi di SEL, di citare Karayilan, che mi sembra il leader attuale, molto più disposto al dialogo che non a usare altri sistemi di lotta armata? Con quel leader mi sembra che anche il Governo turco stia iniziando delle trattative (e l’Europa le sta sostenendo) per arrivare a degli accordi.

Noi vorremmo che tutto il popolo curdo, spezzettato tra Siria, Iran, Iraq e Turchia, possa trovare una sua unità, un’integrità territoriale e un minimo di indipendenza e autonomia, oltre che di unitarietà. Abbiamo, infatti, quattro confini di quattro Stati che spacchettano effettivamente un popolo che ha una storia e una cultura e che in questo momento – ribadiamolo per l’ennesima volta – è schierato in prima persona a fronteggiare il pericolo più importante, la minaccia peggiore che sta attraversando l’Occidente.

Se mi è consentito, signor Presidente, propongo di aggiungere alla mozione n. 333 a prima firma del senatore De Cristofaro un secondo punto nel dispositivo che reciti: «nonché ad adoperarsi in sede europea perché, nell’ambito del negoziato già in corso tra Turchia e Unione europea, le legittime aspirazioni indipendentiste del popolo curdo ottengano le dovute e positive considerazioni da parte del Governo turco». (Applausi dal Gruppo LN-Aut).

PRESIDENTE. Mi pare di aver visto cenni di assenso da parte del senatore De Cristofaro.

È iscritta a parlare la senatrice De Pin. Ne ha facoltà.

DE PIN (Misto). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il conflitto politico-culturale tra i Paesi della Turchia, dell’Iran, dell’Iraq e della Siria e la minoranza curda ha una lunga storia alle spalle.

Quello curdo è il popolo senza terra più numeroso del pianeta. È una delle più importanti ed antiche civiltà dell’Oriente, eppure questa verità elementare e fondamentale resta spesso nell’ombra.

Il popolo curdo chiede di essere riconosciuto dagli Stati nei quali risiede, chiede di poter fare uso della propria lingua e della propria tradizione, ma soprattutto vuole la democratizzazione dei Paesi che controllano il Kurdistan. Proprio queste rivendicazioni hanno sempre determinato la brutale oppressione nei loro confronti da parte dei singoli Governi che occupano il Kurdistan.

Spesso, per i curdi in fuga dalla repressione il sogno di vivere in un Kurdistan libero e indipendente è finito sulle coste pugliesi e calabresi o in altri Paesi europei. Inquadrare, quindi, la questione curda nei termini del terrorismo, lungi dal mettere fine alla violenza, alimenta ulteriormente conflitti e risentimenti.

Migliaia di pacifici attivisti dei diritti umani e manifestanti, così come politici eletti, avvocati e giornalisti, sono stati incarcerati in Turchia per attività del tutto non violente, considerate dagli apparati di sicurezza turchi come atti di terrorismo contro lo Stato.

Inoltre, i colloqui di pace che sono stati annunciati alla fine del 2012 e il cessate il fuoco proclamato successivamente da Abdullah Òcalan hanno posto le basi per l’inizio di un processo che potrebbe condurre alla pace in Turchia e all’autodeterminazione per il popolo curdo. Tuttavia, fino a quando il PKK rimarrà nella lista delle organizzazioni terroriste internazionali, questi colloqui difficilmente volgeranno in negoziati veri e propri.

È doveroso ricordare che alcuni fra i rappresentanti più importanti del popolo curdo sono ancora in prigione, incluso lo stesso Abdullah Òcalan.

Il PKK salì alla ribalta nel nostro Paese nell’autunno del 1998, quando Òcalan arrivò a Roma e chiese asilo politico in Italia. Al Governo c’era il centro-sinistra e il Presidente del Consiglio era Massimo D’Alema. La vicenda è nota e rappresenta uno dei momenti più vergognosi della politica estera italiana. Incapace di gestire la «patata bollente», su pressioni di USA e Turchia, D’Alema invitò Òcalan a lasciare il Paese. Il leader curdo si spostò quindi a Nairobi, dove fu catturato dai servizi turchi, che lo riportarono al loro Paese. Da allora, il PKK è uno dei tanti nomi della nostra «cattiva coscienza».

È bene, inoltre, precisare che il PKK non c’entra niente con i Peshmerga curdi, menzionati di continuo dai nostri mass media nelle informazioni che riguardano il MedioOriente e, più in particolare, il conflitto siriano.

Quando la scorsa estate, l’ISIS ha conquistato ampie porzioni di Kurdistan iracheno, occupando città importanti come Mosul e Makhnour, massacrando civili, i Peshmerga curdi non sono riusciti ad arginare l’offensiva. Si tratta degli stessi Peshmerga su cui le cancellerie occidentali stanno puntando per sconfiggere i fanatici del Califfato.

Sono state invece le forze del YPG, Unità di protezione del popolo, vicine al Partito di Unione Democratica curdo, corrispettivo siriano del PKK, e lo stesso Partito dei Lavoratori curdi, che hanno fermato l’avanzata dell’ISIS e salvato numerosi civili.

Il PKK è una forza dì massa laica, socialista, libertaria e femminista. Sono appoggiati dal popolo. Milioni di persone li considerano come loro legittimi rappresentanti. Etichettare il PKK come «terrorista» corrisponde ad un misero regalo fatto alla Turchia dal resto della NATO.

In quelle liste non si fa alcuna distinzione tra delinquenti crudeli, barbari, inumani, e forze politiche che sfidano gli interessi dello status quo. L’inserimento nella lista nera ha solamente condotto ad una brutale criminalizzazione del dissenso politico delle voci a favore dei curdi, creando una moltitudine di prigionieri politici la cui amnistia deve essere condizione per un processo di pace compiuto.

Il Governo italiano deve, quindi, impegnarsi nelle opportune sedi internazionali, affinché avvenga quanto prima la rimozione del PKK dalle liste delle organizzazioni terroriste.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione.

Colleghi, mi è stato segnalato dai Gruppi il tentativo di convergere su uno o comunque un più ridotto numero di documenti da porre in votazione.

Affinché anche il Governo abbia a propria disposizione l’oggetto su cui replicare, rinvio il seguito della discussione delle mozioni in titolo ad altra seduta.

 

 

MOZIONI

Mozioni sul trattamento internazionale del PKK

(1-00333) (04 novembre 2014)

DE CRISTOFARO, DE PETRIS, BAROZZINO, CERVELLINI, PETRAGLIA, URAS, DE PIN, BOCCHINO, GAMBARO, BENCINI, MASTRANGELI, CAMPANELLA, DE PIETRO, MUSSINI. –

Il Senato,

premesso che:

l’intero mondo occidentale chiede al popolo kurdo di resistere e contrastare l’avanzata dell’Isis in nome della difesa dei suoi stessi valori di libertà, condivisi anche dal popolo kurdo;

negli ultimi decenni 30.000 kurdi sono stati uccisi, decine di migliaia sono stati incarcerati e almeno 5.000 villaggi kurdi sono stati bruciati senza che dall’Europa si levasse alcuna protesta;

alcuni dei Paesi che hanno finanziato l’Isis, permettendo all’organizzazione di diventare una minaccia concreta e incombente, hanno perpetrato massacri ai danni del popolo kurdo;

il Pkk, rappresentante politico delle istanze di libertà e autonomia del popolo kurdo, è stato inserito nell’elenco delle organizzazioni terroriste internazionali a fianco dello stesso Isis;

i kurdi sono una delle pochissime popolazioni mediorientali in cui sia egemone una cultura laica e che promuove i diritti delle donne, fatta propria anche dal Pkk;

è contraddittorio e irragionevole fornire armi ai combattenti kurdi in nome della difesa di valori comuni e poi considerare terroriste le legittime aspirazioni indipendentiste di quegli stessi combattenti;

il leader del Pkk Abdullah Ocalan è imprigionato nelle carceri turche e condannato all’ergastolo nonostante si sia adoperato per una soluzione pacifica della “questione kurda”,

impegna il Governo italiano ad adoperarsi con tutti i mezzi a propria disposizione perché il Pkk sia cancellato dalla lista delle organizzazioni terroristiche internazionali.

(1-00352) (25 novembre 2014)

LUCIDI, AIROLA, BLUNDO, BUCCARELLA, DONNO, MOLINARI, LEZZI, BERTOROTTA, VACCIANO, SERRA, MANGILI, COTTI. –

Il Senato,

premesso che:

la regione del Kurdistan (circa 511.000 chilometri quadrati, più grande dell’Italia, che misura 301.000 chilometri quadrati) è divisa tra Iraq, Iran, Turchia, Siria ed ex Urss. La mancanza di censimenti, lo stato di guerra permanente e l’emigrazione incontrollata rendono incerti i dati sulla popolazione: secondo alcune stime, i curdi residenti in Kurdistan sarebbero circa 29 milioni. La maggior parte di loro, circa 13 milioni, vive in Turchia. Le persecuzioni e le guerre hanno alimentato la diaspora di almeno 5 milioni di persone, tra profughi ed espatriati. In Europa i curdi si sono stabiliti soprattutto in Germania, Austria, Scandinavia, Francia e Grecia. Negli ultimi anni si è registrata una forte emigrazione verso le metropoli turche;

la città di Kobane (Siria) si trova al confine con la vicina Turchia, ed è attualmente sotto assedio da parte del cosiddetto Stato islamico (IS);

tre dei principali gruppi curdi, the Kurdish Regional Government (KRG) in Iraq, Kurdistan Workers’ Party (Pkk) in Turchia e il Syria’s Democratic Union Party (PYD) in Siria, hanno una storia di accesa competizione e tale competizione e differenze stanno continuando tuttora, nonostante la lotta contro il nemico comune IS;

l’assedio di Kobane ha innescato scontri anche tra i diversi gruppi curdi in Turchia, compresi islamici curdi che seguono il Free cause party (Huda-Par) e curdi più laici, vicini al Partito democratico popolare (HDP), spesso affiliati con il Pkk;

queste lotte intestine hanno inoltre evidenziato la dimensione socio-economica spesso trascurata delle relazioni intracurde. I curdi richiedono non solo la pace esterna con la Turchia, ma hanno anche bisogno di raggiungere una pace interna tra le diverse fazioni presenti nella regione;

considerato che:

la risoluzione Onu che identifica il Pkk come organizzazione terroristica è la n. 1373 (2001). Nel 2007 Ocalan (leader della formazione) ha presentato ricorso che è stato definito però irricevibile dalla Corte di giustizia dell’Unione europea;

la soluzione della questione curda è del resto strategica per l’assetto dell’intero Medio oriente e per una pace duratura in questa regione. Proprio dal Pkk, sotto la leadership di Abdullah Ocalan, è emersa la disponibilità a risolvere la questione curda con la via del dialogo e del confronto. Tra le proposte avanzate quelle del confederalismo democratico, che potrebbe costituire la base per la soluzione dei problemi della Turchia, della Siria, dell’Iraq e dello stesso Iran, superando i confini nazionali, non su base settaria, come pretendono i fondamentalisti dell’IS, ma in modo democratico, nel rispetto delle varie etnie e fedi religiose praticando l’autodeterminazione su base territoriale;

il tribunale di Roma ha riconosciuto ad Abdullah Ocalan (attualmente detenuto in stato di isolamento in Turchia), in base all’articolo 10 della Costituzione, l’asilo e lo status di rifugiato politico;

il Governo italiano, come stabilito dalla risoluzione Doc. XXIV n. 34 del 20 agosto 2014 delle Commissioni riunite 3a e 4a (Affari esteri e Difesa) del Senato, nonché come disposto dal comma 4-bis dell’articolo 4 del decreto-legge 1° agosto 2014, n. 109, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° ottobre 2014, n. 141, mentre è stato solerte a fornire “supporto militare alle autorità regionali curde”, non è stato altrettanto sensibile nel sostenere, nei consessi internazionali, il ricorso alla via pacifica e al negoziato per trovare una soluzione alla vicenda curda nel rispetto del diritto internazionale e quello dei diritti umani,

impegna il Governo:

1) a promuovere, anche in sede europea, azioni di confronto che permettano alle autorità regionali curde di raggiungere e garantire l’auspicata stabilità politica riappropriandosi al massimo della loro identità etnica, culturale, sociale ed economica;

2) a promuovere iniziative, anche in sede europea, al fine di ottenere garanzie di rinuncia alla lotta armata, da parte dei gruppi estremisti curdi, e che si impegnino a perseguire un processo politico e pacifico di riconciliazione interna, quindi l’avvio di un dialogo e di un negoziato tra le parti e con le autorità nazionali, teso a determinare una soluzione giusta, duratura e includente della vicenda curda, senza pregiudicare la loro autonomia e indipendenza politica, ma anche per rafforzare il fronte di difesa nei confronti di IS;

3) a promuovere iniziative, anche in sede europea, volte a determinare un periodo di osservazione durante il quale il Pkk potrà chiedere il congelamento della propria posizione internazionale, e trascorso il quale, in caso di esito positivo dell’osservazione, potrà essere cancellato dalla lista delle organizzazioni terroristiche.

(1-00354) (25 novembre 2014)

TONINI, CASINI, MARAN, COLUCCI, LUCHERINI, ZIN, RUSSO, D’ADDA, BERTUZZI (*). –

Il Senato,

premesso che:

la coalizione internazionale, composta da Paesi occidentali e arabo-musulmani, formatasi su richiesta del Governo iracheno con l’obiettivo di contrastare e arrestare l’avanzata dell’Isis, ha chiesto al popolo kurdo di assumere un ruolo fondamentale in questa impresa, in nome della difesa e della promozione dei medesimi valori di libertà e dignità delle persone e dei popoli;

i kurdi sono una delle popolazioni mediorientali nelle quali più fortemente sono avvertiti i valori di laicità delle istituzioni e di libertà delle persone, a cominciare dalla difesa e promozione dei diritti delle donne;

alcuni dei Paesi che hanno inizialmente sostenuto l’Isis, permettendo all’organizzazione di diventare una minaccia concreta e incombente, hanno perpetrato massacri ai danni del popolo kurdo: negli ultimi decenni 30.000 kurdi sono stati uccisi, decine di migliaia sono stati incarcerati e almeno 5.000 villaggi sono stati bruciati; molti di questi delitti contro l’umanità e gravi violazioni dei diritti umani sono stati condannati dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo;

la maggior parte delle organizzazioni politiche che difendono i diritti e gli interessi del popolo kurdo non chiedono la costituzione di uno Stato kurdo, ma la garanzia di ampi spazi di autonomia speciale, all’interno di tutti i 4 Stati ai quali appartengono: Turchia, Siria, Iraq e Iran;

uno dei partiti che rappresentano le istanze di libertà e autonomia del popolo kurdo, il Pkk, è tuttora inserito nell’elenco delle organizzazioni terroristiche internazionali a fianco dello stesso Isis,

impegna il Governo:

1) a sostenere in tutte le sedi politiche e diplomatiche la causa dell’autonomia politica dei kurdi, nell’ambito degli Stati di cui fanno parte e nel rispetto della loro integrità territoriale, in un quadro di piena tutela dei diritti umani;

2) ad adoperarsi per incoraggiare ulteriormente, anche per tramite della UE, uno sviluppo positivo dei negoziati in coso tra il Governo di Ankara e il Pkk.

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(*) Firma aggiunta in corso di seduta

(1-00356) (25 novembre 2014)

Paolo ROMANI, SCIASCIA, CONTI, LIUZZI, BRUNO, BRUNI, GIRO, BERTACCO, AMIDEI, MAZZONI (*). –

Il Senato,

premesso che:

la comunità internazionale si è mobilitata per sostenere la resistenza delle popolazioni curde, irachene e siriane contro gli attacchi distruttivi dell’IS (Islamic State), formando una coalizione che fornisce sostegno e assistenza primaria alle persone colpite, ma anche partecipazione attiva nei combattimenti aerei contro gli estremisti islamici dell’IS;

l’Italia ha preso parte a questa coalizione con l’invio di armamenti, di uomini e di mezzi militari, con compiti di ricognizione del territorio e di addestramento delle forze anti IS; il Governo italiano ha confermato tale orientamento anche nell’audizione del Ministro della difesa Pinotti davanti alle Commissioni congiunte Esteri e Difesa della Camera e del Senato dello scorso 20 novembre;

considerato che:

nella lotta all’IS le forze curde, sotto varie sigle ed organizzazioni (combattenti peshmerga, Pkk, Partito dei lavoratori del Kurdistan, PYD, Partito dell’unione democratica, PUK, Unione patriottica del Kurdistan, PDK, Partito democratico del Kurdistan, PDKI, Partito democratico del Kurdistan iraniano, YPG e YPJ), rappresentano una delle maggiori opposizioni ai tentativi di espansione del sedicente califfato;

la composizione dello schieramento delle forze che combattono sul campo l’IS si è progressivamente evoluta, arrivando a ricomprendere anche altri gruppi militari che possono essere ricondotti comunque ad una matrice d’ispirazione politica curda;

l’aggressività espansionistica dell’IS rappresenta una grave minaccia per la stabilità dell’intero assetto geopolitico della regione, andando ad innestarsi su equilibri storicamente fragili tra gruppi etnici, religiosi e tribali;

le analisi dei processi geopolitici dell’area mediorientale devono emanciparsi da categorizzazioni politiche tradizionali ormai inadatte a comprendere dinamiche sociali e politiche più complesse, interrelate e multiformi;

la comunità internazionale si trova ad affrontare questioni geopolitiche dai confini sempre più labili e delicati, in cui le contrapposizioni tra interessi rispondono a logiche spesso legate ad aspetti tribali e religiosi, aspetti che devono essere reinterpretati secondo criteri che tengano conto dell’evoluzione delle aspettative politiche e delle mutate esigenze delle parti in causa;

le missioni sul campo dei membri del Parlamento hanno evidenziato le concrete difficoltà tecniche in cui versano questi combattenti, per carenze nei mezzi a disposizione e nell’organizzazione;

i bombardamenti aerei mirati hanno dimostrato un’efficacia strategica fondamentale nel fermare l’avanzata del fronte islamico,

impegna il Governo:

1) ad esaminare una possibile riconsiderazione delle valutazioni sul Pkk, tenendo conto delle differenze tra le articolazioni politiche e partitiche in cui si declina la rappresentanza del popolo curdo nei diversi Paesi della regione;

2) a sostenere le forze curde di opposizione all’IS con l’invio di armi e mezzi adeguati al conflitto in atto, valutando l’opzione di una partecipazione diretta alle azioni di bombardamento aereo portate avanti finora dagli altri partner della coalizione internazionale;

3) ad implementare iniziative di assistenza umanitaria alle popolazioni curde per assicurare l’approvvigionamento di acqua e cibo, garantire la salute delle persone coinvolte e la creazione di nuovi alloggi, anche attraverso la realizzazione di un “campo Italia” nell’area di Erbil per l’accoglienza dei rifugiati.

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(*) Firma aggiunta in corso di sedut a

 

 

SENATO DELLA REPUBBLICA
—— XVII LEGISLATURA ——

 

360a SEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO STENOGRAFICO

MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014

(Pomeridiana)

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Presidenza della vice presidente FEDELI,

indi della vice presidente LANZILLOTTA

N.B. Sigle dei Gruppi parlamentari: Forza Italia-Il Popolo della Libertà XVII Legislatura: FI-PdL XVII; Grandi Autonomie e Libertà (Grande Sud, Libertà e Autonomia-noi SUD, Movimento per le Autonomie, Nuovo PSI, Popolari per l’Italia): GAL (GS, LA-nS, MpA, NPSI, PpI); Lega Nord e Autonomie: LN-Aut; Movimento 5 Stelle: M5S; Nuovo Centrodestra: NCD; Partito Democratico: PD; Per le Autonomie (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE: Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE; Per l’Italia: PI; Scelta Civica per l’Italia: SCpI; Misto: Misto; Misto-Italia Lavori in Corso: Misto-ILC; Misto-Liguria Civica: Misto-LC; Misto-Movimento X: Misto-MovX; Misto-Sinistra Ecologia e Libertà: Misto-SEL.

_________________

RESOCONTO STENOGRAFICO

Presidenza della vice presidente FEDELI

Seguito della discussione delle mozioni nn. 333, 352, 354 e 356 sul trattamento internazionale del PKK (ore 17,39)

Approvazione dell’ordine del giorno G1. Ritiro delle mozioni nn. 333, 352, 354 e 356

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione delle mozioni 1-00333, presentata dal senatore De Cristofaro e da altri senatori, 1-00352, presentata dal senatore Lucidi e da altri senatori, 1-00354, presentata dal senatore Tonini e da altri senatori, e 1-00356, presentata dal senatore Romani Paolo e da altri senatori, sul trattamento internazionale del PKK.

Ricordo che nella seduta antimeridiana i presentatori hanno illustrato le mozioni e ha avuto luogo la discussione.

Comunico che è stato presentato l’ordine del giorno unitario G1, a firma dei senatori Tonini, Paolo Romani, Lucidi, De Cristofaro ed altri, il cui testo è in distribuzione. Contestualmente, sono state ritirate tutte le mozioni.

Invito i presentatori ad illustrare l’ordine del giorno G1.

TONINI (PD). Signora Presidente, intervengo solo per dire che era evidente la convergenza dei documenti presentati, in particolare nell’individuare la questione curda come una questione di grandissimo rilievo che si intende affrontare nella sua complessità. All’interno di tale questione, poi, certamente c’è anche il problema del PKK, del quale tutti auspichiamo una soluzione positiva attraverso un negoziato con la Turchia.

Il testo dell’ordine del giorno unitario G1, quindi, impegna il Governo a sostenere in tutte le sedi politiche e diplomatiche la causa dell’autonomia politica dei curdi, nell’ambito degli Stati di cui fanno parte e nel rispetto della loro integrità territoriale, in un quadro di piena tutela dei diritti umani; ad adoperarsi per incoraggiare ulteriormente, anche per tramite della Unione europea, uno sviluppo positivo dei negoziati in corso tra il Governo di Ankara e il PKK, in modo che sia raggiunta una intesa che ponga le condizioni per la cancellazione dello stesso PKK dalla lista UE delle organizzazioni terroristiche; a promuovere, anche in sede europea, azioni di confronto che permettano alle autorità regionali curde di raggiungere e garantire l’auspicata stabilità politica riappropriandosi al massimo della loro identità etnica, culturale, sociale ed economica; infine, a promuovere iniziative, anche in sede europea, al fine di ottenere garanzie di rinuncia alla lotta armata, da parte dei gruppi estremisti curdi, e che si impegnino a perseguire un processo politico e pacifico di riconciliazione interna, quindi l’avvio di un dialogo e di un negoziato tra le parti e con le autorità nazionali, teso a determinare una soluzione giusta, duratura e includente della vicenda curda, senza pregiudicare la loro autonomia e indipendenza politica, ma anche per rafforzare il fronte di difesa nei confronti dell’IS. (Brusio).

PRESIDENTE. Chiedo un attimo di interruzione, senatore Tonini.

Per favore, chiedo a tutti quelli che stanno parlando in Aula – mi rivolgo in particolare all’emiciclo alla mia destra – di abbassare la voce, per favore, perché è veramente complicato. Ve lo chiedo per cortesia.

Prego, senatore Tonini.

TONINI (PD). Ho concluso, signora Presidente.

Naturalmente il Partito Democratico ha così ritirato la sua mozione e condivide l’ordine del giorno su cui sono confluiti gli altri Gruppi. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, al quale chiedo di esprimere il parere sull’ordine del giorno presentato.

PISTELLI, vice ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Signora Presidente, potrei limitarmi a dire che il Governo saluta il prezioso lavoro che abbiamo fatto in queste ore per giungere ad un testo unitario e limitarmi a dare l’adesione, ma non farò così.

Permettetemi di dire brevemente alcune cose, perché non capita spesso (ma capita più sovente al Senato, che alla Camera) di riuscire a dar vita a un dibattito (che poi è stato interrotto dall’ora di pranzo) che permetta di giungere ad un punto di conclusione, spero largamente condiviso (se non unanime) da parte di quest’Assemblea al fine di mettere alcuni punti fermi su vicende che hanno una loro importanza e attualità. Lo dico perché, avendo trascorso parecchi anni alla Camera dei deputati, so quanto è forte la tentazione, da parte dei singoli responsabili delle forze politiche, di targare e mettere in qualche modo una bandiera su temi che hanno a che fare con grandi battaglie di carattere internazionale. So invece oggi, lavorando da questa parte dei banchi del Parlamento, dalla parte del Governo, quanto è più prezioso e più forte avere posizioni su cui una vasta maggioranza delle forze politiche si riconosce. Questo dà tutta un’altra forza e impatto quando si tratta di lavorare per quelle medesime cause nelle sedi internazionali.

Nella fattispecie il dibattito di stamani, che ha anche avuto una certa attenzione, ha permesso di evidenziare l’esistenza di tre problemi diversi, ovviamente intrecciati tra loro (ma comunque diversi): quello che ha generato il dibattito, ovvero il tema del delisting del PKK; quello, più generale, a cui molti interventi si sono richiamati nella questione curda, che ovviamente non è una questione né solo turca, né solo del PKK; quella, più generale, del momento contingente in cui i curdi si inseriscono nella più generale lotta all’espansione del Daesh.

Credo che il dibattito permetta di raggiungere queste conclusioni, che sono molto ben rappresentate nel testo unitario che tra poco il Senato voterà.

In primo luogo, la più generale cornice, quella più ampia, della battaglia contro il Daesh, è chiaramente un tema che ha bisogno di essere valutato momento per momento, giorno per giorno, all’interno delle condizioni che si creano sul campo e nella vasta coalizione che oggi sostiene la battaglia contro questa minaccia estremista e jihadista. Ergo, non era a mio avviso adatto che un dibattito che nasceva su un obiettivo molto specifico (cioè quello del PKK) ponesse delle indicazioni al Governo; tali indicazioni, infatti, l’Esecutivo in realtà le raccoglie in altre sedi e in altri momenti ad esempio quando i Ministri degli esteri e della difesa rispondono alle Commissioni in sede congiunta di Camera e Senato e aggiornano periodicamente sull’esito di questa battaglia.

C’è un secondo tema su cui vorrei spendere qualche parola in più: mi riferisco al tema dei curdi, in generale. È stato opportunamente richiamato che siamo presumibilmente davanti al più grande popolo senza Stato che esiste oggi sulla terra; probabilmente sono oltre 30 milioni i curdi diffusi su quattro diversi Paesi (non su tre come spesso è stato richiamato): Iraq, Siria, Turchia e anche Iran. In tutti e quattro i Paesi questa presenza è a doppia cifra. Parliamo di minoranze che vanno dal più del 10 per cento a quasi il 25 per cento della popolazione di quei Paesi e parliamo anche di una storia molto diversa tra loro.

In termini molto sintetici, ci sono poche notizie di cronaca sul tema dei curdi in Iran, che sono una delle tante importanti minoranze, ma mediamente ben integrata nel tessuto iraniano e rappresentata politicamente.

Fino a poco tempo fa veniva prestata una modesta attenzione sul tema dei curdi siriani e oggi, invece, è emerso con tutta la sua forza in quello che i curdi siriani chiamano Rojava, ossia la parte occidentale della Siria, e da quando il PYD, cioè l’organizzazione politico e militare, è diventato uno dei principali fronti di resistenza al dilagare dell’ISIS.

Più note erano le altre due grandi minoranze, e una è quella in Iraq, che si configura come una vera e propria regione autonoma, che è quella con la quale, peraltro, questo Governo – come gli altri Governi occidentali – ha intrattenuto rapporti nel corso drammatico degli eventi di questa estate, per cercare di garantire, grazie al consenso del Parlamento, quel diritto all’autodifesa che ha accompagnato la protezione delle minoranze in fuga dalla città di Mosul e dalla piana di Ninive.

Il Kurdistan iracheno è quello flagellato – come richiamato più volte dai vostri interventi – dalla campagna di Saddam Hussein, nel corso degli anni Novanta, e poi protetto da una no-fly zone: una realtà molto strutturata e forte, anche con ambizioni ulteriori – come è noto – rispetto allo status di complessiva autonomia di cui già oggi Erbil gode rispetto a Baghdad.

È una dinamica politicamente strutturata da sempre su due grandi forze politiche, l’UPK e il PDK, dei due clan Talabani e Barzani, ma che già oggi vede – ad esempio – una dinamica tutta nuova, con la presenza nelle ultime elezioni di un terzo partito che ha sfidato questo duopolio.

Accanto a quella condizione vi è poi l’ultima, che è in realtà ha originato questo dibattito, che è quella della Turchia. Probabilmente è l’esperienza più importante e anche la più drammatica dal punto di vista politico. La costruzione progressiva dell’identità turca, infatti, all’indomani della caduta dell’impero ottomano, ha teso per molti decenni a comprimere le istanze, prima ancora che politiche, culturali e identitarie di questa importantissima componente.

In questa grande realtà ci tengo a ribadire una cosa che è stata sottolineata, ad esempio, dal senatore Tonini e che trova riscontro nell’ordine del giorno unitario: l’impegno italiano, europeo ed internazionale (quello europeo con due sole sono le eccezioni: una relativa al Kosovo e l’altra, sempre in divenire, relativa al futuro Stato di Palestina) ha sempre teso a garantire, nell’analisi della conflict resolution, l’integrità degli Stati territoriali. Ogni nostro sforzo, quindi, fatto in Macedonia, nelle numerose istanze che riguardano il Caucaso, il Nagorno Karabakh, i Balcani, la Bosnia Erzegovina o Cipro, ha sempre teso, quando c’era un conflitto fra minoranze diverse o fra maggioranze e minoranze, a trovare la misura complessiva del rispetto degli uni e degli altri in forme di autonomie e federalismo che tutelassero l’integrità territoriale dello Stato. Ripeto che sono solo due le eccezioni: quella del Kosovo e quella futura o futuribile della Palestina.

Per questa ragione noi alludiamo genericamente al Kurdistan come ad una entità geopolitica, ma siamo sempre davanti a quattro diverse entità che hanno quattro diversi percorsi e quattro diversi status, a seconda delle realtà in cui si trovano.

Vi è da ultimo il tema molto enfatizzato dalla mozione di Sinistra Ecologia e Libertà, centrato invece sul tema del PKK, il quale ha trovato nel Governo più che un’obiezione un’integrazione. Il PKK è l’esperienza più nota e visibile della militanza politica curda in Turchia; peraltro, chi ha esperienza parlamentare abbastanza lunga ricorda quanto la vicenda del PKK e quella personale di Abdullah Ocalan hanno incrociato anche le vicende parlamentari della fine degli anni Novanta. Oggi, però, non è più la sola esperienza politica in campo: ci sono almeno altri due partiti curdi rappresentati nel Parlamento di Ankara, che quindi contendono una pluralità di posizioni anche allo stesso PKK.

Per questa ragione l’ordine del giorno, secondo me, va nella giusta direzione perché, oltre che essere unitario, recupera il dato complessivo della questione curda non soltanto nella sua declinazione turca; colloca, legittimamente e giustamente, il dialogo, complicato ma costante, fra PKK e Governo di Ankara nella prospettiva di un riconoscimento delle ragioni politiche dei curdi, ma al tempo stesso nel processo di smilitarizzazione del PKK. È un tema, questo, molto complicato, che ha incrociato anche la cronaca recente di Kobane: si tratta quindi di come garantire, da un lato, un diritto di autodifesa, ma dall’altro che domani quella stessa formazione sia pronta ad essere smilitarizzata. E si colloca il ruolo dell’Unione europea sullo sfondo di questo più complessivo negoziato.

Credo dunque, se il Senato aderirà unanimemente o largamente su questo ordine del giorno che unifica le varie mozioni presentate, che il nostro Paese, il Governo e il Parlamento saranno più forti domani per poter portare e rappresentare queste istanze nelle sedi nazionali e internazionali.

Per natura mi sento favorevole a soluzioni consensuali, ma ripeto che questa è proprio una di quelle circostanze in cui raggiungere un buon compromesso, anche se abbassa di un livello l’asticella della visibilità delle singole forze politiche, consegna al Paese intero e al Parlamento un grado di forza in più per rappresentare quelle posizioni all’esterno. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Di Biagio e Orellana).

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione.

DIVINA (LN-Aut). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DIVINA (LN-Aut). Signora Presidente, senza voler ripetere tutto il ragionamento già illustrato in sede di discussione generale, voglio solo evidenziare che ci pare che nell’ordine del giorno siano state recepite tutte le osservazioni e le obiezioni che abbiamo avanzato riguardo ad una delle mozioni, anche se a nostro avviso sarebbe stato più dignitoso riconoscere la vera richiesta che fa da anni il popolo curdo, ovvero quella di essere riconosciuto come entità. È chiaro che per loro è importante essere riconosciuti come entità, come etnia, come area geopolitica, utilizzando l’espressione del Vice Ministro. Riconoscere quattro realtà autonome e pretendere che questo avvenga e che tutta la comunità internazionale si adoperi per questo, significa sicuramente fare un passo in questa direzione, ma anche lasciare aperto un problema, nel momento in cui ci sono fratelli si trovano ancora divisi da confini nazionali, magari avendo garanzie e tutele diverse, perché la Siria, l’Iraq, la Turchia e l’Iran riserveranno attenzioni diverse a queste regioni, a questi satelliti, che auspichiamo essere sempre più autonomi.

Ci sentiamo pertanto di condividere nella sostanza quello che si è scritto e magari anche di ricordare quello che ha già fatto questo popolo e quello che ha dato alla comunità internazionale: gli unici ad aver fermato l’avanzata dei tagliagole di quell’area, che ormai è diventata uno Stato terrorista, sono stati infatti questi curdi bistrattati, che con difficoltà hanno dovuto anche passare frontiere, che sono stati ostacolati e che, armati in modo sommario, hanno effettivamente ostacolato l’avanzata dell’ISIS.

Auspichiamo che possa essere coinvolto un altro Stato che può e che vorrebbe anche realizzare un intervento in questo senso, ma che viene tenuto alla corda, o sulla porta, dalla comunità internazionale: mi riferisco alla Russia, che si trova a combattere in casa propria gli atti terroristici in Cecenia, in cui si trovano altri movimenti fondamentalisti, che hanno provocato appunto atti terroristici e vittime e hanno massacrato le popolazioni dell’area russa. Se si coinvolgesse la Federazione Russa in questa operazione, tesa ad ostacolare l’avanzata dello Stato dei tagliagole, non sarebbe un fatto di poco conto. Di certo bisognerebbe coinvolgerla e non continuare a mantenere sanzioni irrazionali nei confronti della Russia, che penalizzano noi – popolo che sanziona – e l’Italia, come Nazione sanzionante, molto di più della Nazione sanzionata.

Presidenza della vice presidente LANZILLOTTA

 

(ore 17,56)

(Segue DIVINA). Pertanto dichiaro il voto favorevole della Lega sull’ordine del giorno G1, che raggruppa le quattro mozioni originariamente presentate. (Applausi dal Gruppo LN-Aut).

DE CRISTOFARO (Misto-SEL). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE CRISTOFARO (Misto-SEL). Signora Presidente, intervengo molto rapidamente perché non intendo ripetere le cose che ho già detto nella seduta antimeridiana, in occasione dell’illustrazione della mozione. Ovviamente voteremo a favore dell’ordine del giorno in esame, che reca anche la mia firma. Desidero ripetere un concetto che ho già espresso stamattina a proposito della vicenda degli studenti messicani: su alcune vicende molto serie e delicate di politica estera, io e il mio Gruppo siamo convinti – come ha detto il vice ministro Pistelli e in questo sono d’accordo con lui – che qualche volta convenga abbassare l’asticella e quindi non dire esattamente tutto quello che si pensa, ma raggiungere un buon compromesso. Questo è un caso esemplare, da questo punto di vista.

Noi pensiamo che il compromesso che è stato raggiunto sia positivo; esso introduce alcuni elementi di novità, che spero il Parlamento italiano e il nostro Paese sappiano valorizzare molto nel corso dei giorni che verranno. Pensiamo che sia stato finalmente squarciato un muro che è esistito nel corso di questi anni, un muro molto alto e molto difficile da rompere, e che in qualche modo si sia incrinata quell’ipocrisia che pure aveva contraddistinto tanta parte del nostro dibattito politico nel corso di questi anni.

Per queste ragioni, voteremo convintamente a favore dell’ordine del giorno G1, considerandolo un compromesso politico accettabile e politicamente positivo. (Applausi dal Gruppo Misto-SEL).

COMPAGNA (NCD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COMPAGNA (NCD). Signora Presidente, più che un compromesso, l’ordine del giorno G1, a prima firma del senatore Tonini, segna un punto di equilibrio. Credo che abbia fatto bene il rappresentante del Governo a segnalare tutte le ragioni perché, rispetto a stamattina, non si possa parlare tanto di un passo indietro rispetto alla mozione del collega De Cristofaro. Quel testo tendeva a limitare tutte le implicazioni odierne della questione curda all’aspetto turco (vengo al terzo fronte dell’intervento del vice ministro Pistelli), irrigidendo la rispettabile questione della storia e della vicenda del PKK.

Oggi la questione curda è tremendamente di attualità. Io accolgo pienamente, nell’intervento dell’amico Divina, la lode all’eroismo dei peshmerga, questo glorioso esercito di una regione autonoma. Mentre invece non accoglierei del tutto, non solo e non tanto – se me lo consente – il «putinismo» pregiudiziale ed esagerato, quanto il fatto che oggi la questione curda, proprio per le ragioni da lui sottolineate, è molto diversa da come si pose nei confronti della dissoluzione dell’impero ottomano, all’indomani della Prima guerra mondiale. La questione curda era allora, né più né meno, che una rivendicazione di Stato nazionale. Sconfitta. Forse sconfitta con l’inganno. Sconfitta al pari di un’altra grande questione di rivendicazione nazionale, quella dello Stato di Israele, che trovò soddisfazione solo nel successivo Dopoguerra.

Oggi, proprio riprendendo il fronte caro al collega De Cristofaro, il fronte turco, c’è stato un candidato curdo avversario di Erdogan alle elezioni presidenziali (il 10 agosto, con alcuni colleghi della Camera, eravamo lì come OSCE): si tratta del candidato curdo Demirtas. Con i colleghi della delegazione italiana scegliemmo di seguire le elezioni a Diyarbakir, che non è come la capitale della regione autonoma irachena Erbil, però nelle elezioni turche era la città più importante. Lì il candidato curdo arrivava al 70-75 per cento. Questo candidato non era del PKK, ma apparteneva ad una formazione politica che possiamo chiamare centrista, senza fare l’anamnesi del voto curdo (cosa che non so fare); egli probabilmente non fece il pienissimo di tutto il voto curdo in Turchia, ma arrivò al rispettabilissimo risultato del 10 per cento ed ovviamente si augurava che si andasse al ballottaggio per le presidenziali, per poter negoziare con maggiori argomenti un appoggio al secondo turno a Erdogan che rafforzasse autonomia, non nel senso di uno Stato nazionale, di unificazione di popolo, ma nel senso richiamato poco fa dal rappresentante del Governo.

Allora, da questo punto di vista, la presenza, fin da stamattina, della mozione del collega Tonini ci ha consentito l’approdo a un testo più equilibrato che rispetta tutte le implicazioni attuali della questione curda.

Se poi volessimo andare a prendere la questione della Turchia rispetto all’Europa, come ha fatto stamattina il senatore Divina (ma non in dichiarazione di voto), in quel caso lascerei stare, anzi starei attento. Quando gli Stati Uniti d’America premevano sull’Unione europea perché accettasse la Turchia in Europa (eravamo nel 2003), quella Turchia per tutto il secolo era stata Occidente, Occidente, Occidente. Venivano scherzosamente chiamati i bulgari della NATO; anzi, gli argomenti un po’ volgari con i quali da parte di Chirac, di Schroeder e di Prodi si lamentò che Berlusconi fosse andato al matrimonio della figlia di Erdogan furono: è un Paese troppo amico di Israele e degli Stati Uniti d’America. Poi Erdogan ha cambiato di spalla al fucile, però ho l’impressione che ci abbia ricavato così poco sul fronte dell’estremismo islamistico (in cui non è testa di serie, non è numero uno, né due, né tre, né quattro), che mi sembra non ci convenga sbatterlo fuori da qualsiasi prospettiva occidentale.

Di qui il convinto voto favorevole del Gruppo NCD al testo elaborato dall’amico Tonini. (Applausi dal Gruppo NCD e del senatore Mazzoni).

SERRA (M5S). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SERRA (M5S). Signora Presidente, intanto annuncio che il Movimento 5 Stelle voterà convintamente a favore dell’ordine del giorno G1 a cui abbiamo lavorato insieme al Vice Ministro.

Ad ogni modo ci terrei anche a spiegare o a dire che in ogni caso il terrorismo è un pericolo grave per tutta l’umanità e sempre più lo sarà se non ci attiviamo per una soluzione concreta, da affrontare con rigore giuridico e politico. E oggi magari iniziamo questo percorso.

Un vero e proprio paradosso, che va segnalato e corretto, è rappresentato dal Partito dei lavoratori curdi, che ormai da oltre trent’anni porta avanti, attraverso vari mezzi e strumenti, la lotta per i diritti del popolo curdo, da tempo schiacciato e represso dal Governo turco. La questione curda è del resto strategica per l’assetto dell’intero Medio Oriente. Proprio all’interno del PKK, sotto la leadership di Abdullah Ocalan, sono emerse le posizioni più proficue, condivisibili e interessanti al riguardo, basate sulla teoria del confederalismo democratico, che potrebbe senz’altro costituire la base per la soluzione dei problemi della Turchia, della Siria, dell’Iraq e dello stesso Iran, superando i confini nazionali. Ciò non su base settaria, come pretendono i terroristi dell’ISIS, ma in modo democratico, nel rispetto delle varie etnie e fedi religiose, praticando l’autodeterminazione su base territoriale.

Non è del resto casuale che uomini, e anche donne organizzate militarmente in apposite brigate femminili di combattimento, curdi e curde, siano da tempo in prima fila nella guerra contro il terrorismo fondamentalista, prima in Siria e ora anche e soprattutto in Iraq, combattendo per difendere tutte le minoranze cristiane. Le forze curde, come appunto il PKK, costituiscono il nucleo di resistenza nel campo contro lo Stato islamico; una resistenza che vede in prima fila le milizie organizzate delle donne in cui stanno confluendo gli abitanti delle regioni sotto attacco, rompendo le divisioni etniche e religiose.

In ogni caso, il Movimento 5 Stelle tiene a ribadire e qui anche a stigmatizzare l’ipocrita comportamento che però il Governo italiano ha tenuto, in quanto, come membro dell’ONU, ha approvato la risoluzione che definiva il PKK come organizzazione terroristica, ma poi, come membro della NATO, non ha avuto alcuna remora ad armare il PKK in azioni, appunta, contro l’ISIS.

Ad ogni modo, voteremo in maniera positiva l’ordine del giorno con i suoi quattro punti di impegno, fra i quali sottolineo il punto 3), in cui si auspica una stabilità politica, permettendo alle autorità regionali curde di riappropriarsi al massimo della propria identità etnica, culturale, sociale ed economica. Spero avremo la possibilità di addivenire a una soluzione immediata. (Applausi dal Gruppo M5S).

MAZZONI (FI-PdL XVII). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZONI (FI-PdL XVII). Signora Presidente, nel ringraziare il vice ministro Pistelli e i colleghi che hanno lavorato per arrivare ad un ordine del giorno unitario, ringrazio in particolare il collega De Cristofaro, che ha avuto il merito di portare in Aula questo importantissimo tema.

In poche parole, vorrei sottolineare che vi è un fattore storico, che costituisce una grande opportunità per i curdi dell’Iraq e della Siria: è l’indebolimento dei Governi centrali di questi due Paesi. Si apre, infatti, l’opportunità di ottenere il riconoscimento dei loro diritti civili e, auspicabilmente, la loro autonomia politica.

Per dare finalmente una soluzione stabile alla questione curda, occorre cogliere subito l’opportunità del moto di solidarietà internazionale che è seguito all’eroica resistenza posta in atto dai peshmerga contro l’ISIS nell’Iraq settentrionale, soprattutto alla resistenza nella città simbolo di Kobane da parte dei curdi siriani e delle loro Unità di protezione del popolo. Quella del popolo curdo – l’ha sottolineato poco fa il vice ministro Pistelli – è la più grande Nazione senza Stato esistente al mondo.

Nei mesi passati il Governo turco è parso comportarsi come l’armata di Stalin davanti alla presa di Varsavia da parte dei nazisti, assistendo impassibile all’attacco dei miliziani dell’ISIS, attacco fortunatamente respinto, anche grazie al permesso, poi finalmente accordato, che Kobane fosse rafforzata da un gruppo di 200 peshmerga fatti transitare in Turchia dal Kurdistan iracheno.

Questo ordine del giorno unitario è un forte invito al Governo italiano perché si mobiliti in tutte le sedi internazionali affinché venga risolta la questione curda. Sarebbe non solo un riconoscimento a questo popolo, che, pur senza avere uno Stato, ha saputo già darsi un assetto democratico, ma anche una vera e propria rivoluzione geopolitica in Medio Oriente.

Non si parla realisticamente della costituzione di uno Stato curdo, perché i circa 30 milioni di curdi sono divisi fra Turchia, Iraq, Siria e Iran, con piccole minoranze anche in Azerbaijan e in Armenia, ma almeno del riconoscimento di quel confederalismo democratico a cui il popolo curdo aspira in tutte le sue componenti. La premessa sta ovviamente anche nel superamento delle divisioni interne, che la minaccia del Califfato ha contribuito ad attenuare.

Per arrivare all’ordine del giorno unitario – lo devo dire – Forza Italia ha rinunciato ad un suo punto qualificante, come la richiesta della partecipazione diretta italiana ai bombardamenti occidentali contro l’ISIS. Noi pensiamo, infatti, che non bastino gli aiuti umanitari, né la consegna di armamenti ai combattenti curdi per vincere quella che è una vera e propria guerra di civiltà in atto contro i tagliagole dell’ISIS. Ma riteniamo più importante che oggi il Senato possa esprimersi in modo unitario per la causa curda. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVIIe del senatore Calderoli).

CORSINI (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORSINI (PD). Signora Presidente, vorrei muovere poche considerazioni, perché condividiamo lo spirito e la lettera dell’intervento del collega Tonini e della replica del vice ministro, onorevole Pistelli, che mi pare ancora una volta abbia dato ampia dimostrazione dell’alto grado di cognizione che coltiva dei problemi internazionali e dell’affidabilità con la quale gestisce il proprio ruolo.

Credo sia stata opportuna e persino preziosa l’iniziativa del collega De Cristofaro, che per primo ha presentato la mozione di SEL. Nel contempo, ritengo opportuno e doveroso riconoscere che semi di verità erano presenti in tutte le mozioni oggi sottoposte alla nostra attenzione. È sicuramente positivo il fatto che, con uno sforzo che ha caratterizzato tutti gli estensori, si sia addivenuti alla proposta di una mozione unitaria. Per molti versi, si è trattato di un compromesso, cioè di un impegno condiviso, e, per altri, sotto il profilo politico, del conseguimento di un punto di equilibrio che a noi pare largamente condivisibile.

In cosa consiste, a nostro avviso, questo punto di equilibrio? Nel fatto che si sia elaborata una riflessione (che sarà all’origine di un’iniziativa politica di Governo) che trova un equilibrio tra la tematizzazione più generale della questione curda e, al suo interno, il riconoscimento della specificità del problema costituito dal PKK, il partito dei lavoratori curdi. Crediamo che l’essere riusciti a trovare una sintesi tra questi due problemi costituisca certamente un punto d’approdo positivo, com’è dimostrato dal fatto che oggi quest’Assemblea parlamentare si impegna unitariamente nell’approvazione di una mozione condivisa.

Ora, non c’è dubbio che i curdi difendano la propria sopravvivenza, ma altresì che, combattendo contro le forze dell’Islamic State, secondo l’impegno che si sono assunti, conducano una battaglia in difesa della democrazia contro un terrorismo che si è fatto Stato e si è istituzionalizzato e contro un Califfato che è espressione di una teocrazia imperialistica ed aggressiva nei confronti dell’Occidente e dei valori della democrazia. Si tratta di una teocrazia che sta facendo terra bruciata anche di quella tradizione islamica che costituisce una grande risorsa di cultura e di civiltà.

Tematizzare la questione curda significa innanzitutto promuovere un impegno che sostenga la causa dell’autonomia politica dei curdi, perché è un punto d’approdo non scontato il fatto che questo popolo senza Stato – presente in Siria, Turchia, Iraq e Iran, ma con comunità anche nell’ex Unione Sovietica ed in Russia – abbia trovato sostanzialmente una posizione che non punta più ad un processo di State building, all’edificazione di uno Stato nazionale ed abbia acquisito la piena consapevolezza che l’orizzonte più avanzato della sua battaglia è il conseguimento di una piena autonomia politica, che rispetti la sovranità e l’integrità territoriale degli Stati di cui i curdi fanno parte.

Se questo è l’orizzonte più complesso della questione curda, anche la questione del PKK trova una sua collocazione più propria. Mi pare che tre punti successivi dell’ordine del giorno indichino una prospettiva di iniziativa politica che merita di essere coerentemente perseguita. Nel punto 2) si parla della necessità di favorire uno sviluppo positivo dei negoziati in corso tra il Governo di Ankara e il PKK, in modo che sia raggiunta un’intesa e siano poste le condizioni affinché si possa addivenire, lungo un itinerario processuale, alla cancellazione del PKK dalla lista UE delle organizzazioni terroristiche.

Ci sono poi gli altri due punti, il 3) e il 4), dell’ordine del giorno condiviso che mi paiono assolutamente rilevanti. Innanzitutto, si tratta di una mobilitazione delle risorse e delle energie della politica europea, in modo che l’Europa non si limiti ad assistere passivamente all’evolversi della situazione, ma assuma azioni che permettano alle autorità regionali curde di acquisire e garantire questa auspicata stabilità politica, riappropriandosi della loro storia, della loro autonomia, della loro tradizione e delle caratteristiche che contrassegnano la loro vicenda.

Infine, sulla vexata quaestio della lotta armata, mi pare che anche rispetto ad una tradizione di politica estera che si è consolidata negli ultimi quindici-venti anni, l’ordine del giorno introduca un elemento positivo di novità e cioè l’impegno a favorire un processo che porti le componenti radicali, estreme curde alla rinuncia alla lotta armata, in modo che si attivi un processo politico e pacifico di riconciliazione interna, nella prospettiva dell’attivazione di un dialogo e di un negoziato tra le parti e con le diverse autorità nazionali.

Sono queste le ragioni che in qualche misura definiscono il contemperamento di esigenze diverse, lasciando presagire, appunto, l’impegno per una positiva evoluzione della questione curda e, all’interno di questa, di quella del PKK. Sono queste le ragioni che portano i membri del Gruppo del Partito Democratico a votare con piena convinzione quest’ordine del giorno condiviso. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Procediamo dunque alla votazione dell’ordine del giorno G1.

GAETTI (M5S). Chiediamo che la votazione venga effettuata a scrutinio simultaneo mediante procedimento elettronico.

PRESIDENTE. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori.

(La richiesta risulta appoggiata).

Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell’ordine del giorno G1, presentato dai senatori Tonini, Romani Paolo, Lucidi, De Cristofaro e da altri senatori.

(Segue la votazione).

Il Senato approva. (v. Allegato B).

L’approvazione è all’unanimità, anzi, no, visto che è segnalato un voto contrario, che non so se è stato espresso volutamente o se non si tratta, piuttosto, di un errore.

PAGANO (NCD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAGANO (NCD). Signora Presidente, intervengo solo per segnalare che intendevo esprimere un voto favorevole.

PRESIDENTE. Invito gli Uffici a registrare il voto favorevole del senatore Pagano.

A questo punto possiamo dire che l’ordine del giorno è stato approvato all’unanimità. (Applausi).