Report della Delegazione- Basur/Shengal/Rojava: tra frontiere chiuse e resistenza

Il Basur o Kurdistan del sud, abbraccia buona parte del territorio iracheno ed in particolare il nord del paese. Dopo la seconda guerra del golfo nel 2003 e la caduta di Saddam, PDK e PUK, partiti guidati da Massoud Barzani e Celal Talabani, sono riusciti con il sostegno dell’occidente, e sotto la forte spinta degli Stati Uniti, ad ottenere dal governo centrale iracheno la formazione di una zona autonoma denominata Governo Regionale del Kurdistan (KRG).

A differenza di Bakur (Kurdistan del Nord in territorio turco) e Rojava (Kurdistan occidentale in territorio Siriano) la politica del KRG si è da subito contraddistinta per la sua forte impronta filo-occidentale (in particolare statunitense) ed un organizzazione prettamente tribale e decisamente capitalista, che ha visto Barzani (e la sua famiglia) accrescere il proprio potere imponendo un monopolio tanto politico quanto economico, anche e soprattutto grazie alla vendita di petrolio e agli stretti rapporti commerciali con i paesi occidentali, ma anche con gli alleati strategici nell’area mediorientale, prima fra tutti la Turchia.

Raggiungiamo Erbil (Hewler) nella nottata del 14 Marzo con l’obiettivo di passare da lì a poco la frontiera di Semelka, di fatto unica via legale per raggiungere il Rojava accerchiato dall’embargo imposto dalla Turchia che tiene blindati i 911 km che la dividono con la Siria. La nostra richiesta viene respinta. Di lì non si passa. I media rilanciano la notizia che il KRG ha deciso di chiudere a tempo indeterminato la frontiera, coerente in tutto e per tutto con la politica dell’alleato turco.

Prendiamo tempo e raggiungiamo Kirkuk, città liberata dalle milizie di Daesh (ISIS), grazie soprattutto all’intervento del PKK che sulle montagne del Basur ha storicamente impiantato le sue basi.
Dopo diversi check-point e relativi controlli da parte delle forze Peshmerga, arriviamo nella base di HPG e YJA Star, unità militari maschili e femminili del PKK. Veniamo accolti con la consueta ospitalità ed un inaspettata colazione che fa da contorno ad una piacevole chiacchierata sulla situazione nella zona e non solo.

Arrivati in città nell’Agosto 2014 per arginare l’avanzata di ISIS, il PKK si è rivelato fondamentale per la liberazione di Kirkuk e tuttora continua a combattere Daesh chilometro per chilometro, anche spingendosi nelle zone a maggioranza araba. Dall’arrivo a Kirkuk è iniziata una particolare e complicata convivenza con i Peshmerga, forze militari espressione dei due partiti che si sono letteralmente spartite il territorio del KRG. Nonostante Barzani non abbia mai nascosto il suo disprezzo verso il PKK ed i rapporti politici stiano a zero, sul campo si prova una difficile collaborazione che, come consuetudine consolidata, vede i guerriglieri e le guerriglieri fare “il lavoro sporco“ (che è comunque riconosciuto dalla popolazione tutta), ed il PDK di Barzani assumersi i meriti delle vittorie con tanto di propaganda mediatica in pompa magna.

L’attualità degli ultimi giorni riporta alla ribalta la necessità della liberazione della città di Mosul, luogo di grande importanza strategica (militare e soprattutto economica) occupato da Daesh.
A Kirkuk abbiamo parlato con Heval Selim, comandante della base HPG di Kirkuk:

“Tutti si stanno preparando per andare a Mosul, lo stiamo facendo noi, per i Peshmerga ed anche per la coalizione rimane una priorità. Il problema è che manca una strategia comune ed a lungo termine. Noi di fatto non abbiamo nessun tipo di rapporto con la coalizione, né formale né informale. Noi siamo pronti ad entrate a Mosul in qualsiasi momento e le nostre unità continuano ad avanzare ogni giorno di più.”

La coalizione occidentale e il PDK di Barzani utilizzano strumentalmente il PKK per imporsi all’opinione pubblica come principali protagonisti nella lotta contro ISIS, mentre buona parte dei paesi occidentali mantiene il partito fondato da Ocalan nella lista delle organizzazioni terroristiche.

“Questo per noi non è così importante. Non ci aspettiamo un riconoscimento da parte degli Stati-nazione. Per tutti e tutte noi, per il PKK, ciò che è fondamentale è il rapporto di solidarietà con i popoli e nonostante continuiamo a rimanere nelle liste terroristiche, siamo di fatto l’unica forza militare sul campo che combatte per difendere tutte le popolazioni oppresse e liberare le terre occupate, per poi riconsegnarle alla libera autodeterminazione degli abitanti.”

Il mattino seguente ci rimettiamo in marcia alla volta di Shengal, teatro del genocidio degli Ezidi compiuto da ISIS durante la scorsa estate. Prima di risalire la montagna che circonda la città ci fermiamo nel campo delle YBS, le unità di resistenza di Shengal, che si sono formate immediatamente dopo l’apertura di un corridoio umanitario da parte del PKK e che di fatto ha salvato decine di migliaia di uomini, donne e bambini dalla barbarie di Daesh.

Pubblichiamo parte dell’intervista che abbiamo realizzato con il comandante Serxwebun Azadi e rimandiamo a tutte e tutti ai prossimi report direttamente dal Rojava liberato.

“Mi chiamo Serxwebun Azadi, comandate YBS. Mi trovo a Shengal da prima dell’inizio della guerra di liberazione per richiesta di Serok Apo (Ocalan n.d.r.) e del partito. Inizialmente eravamo solo in 15 quando siamo venuti ad aiutare il nostro popolo. Il 2 Agosto 2014 è iniziato l’attacco dei fascisti e mercenari di Daesh contro Shengal ed abbiamo dovuto difendere il nostro popolo in quanto non era ancora pronto per farlo da solo. Per questo, sin dal primo momento, la priorità per noi è stata quella di addestrare all’autodifesa. Ad oggi la consapevolezza delle YBS è cresciuta diventando una forza di liberazione vera e propria che assumerà un ruolo centrale anche nella liberazione di Mosul. Sino ad ora 285 compagni e compagne sono caduti/e in battaglia, mentre il numero dei feriti ammonta a oltre 420 persone. Questa battaglia è diventata un mare di sangue, per questo continueremo finché l’ultimo fascista non sarà annientato.

Qual è la situazione attuale? Daesh sta ancora attaccando la città?

La città di Shengal è quasi totalmente distrutta. Gli abitanti pian piano stanno facendo ritorno nella propria terra, soprattutto nelle tende nei dintorni della città visto che pochissime abitazioni sono scampate alla distruzione. Al pari di Kobane oggi Shengal deve essere ricostruita, ma non possiamo farlo da soli, abbiamo bisogno del sostegno di tutti e questa è una richiesta che facciamo direttamente ai popoli, non agli Stati-nazione. Sul piano militare rimangono ancora tre-quattro villaggi da liberare nell’estrema periferia della città ed i compagni e le compagne si stanno preparando per sferrare un attacco che si rivelerà decisivo per tagliare le vie di comunicazione con Mosul.

Il 2 agosto sappiamo cos’è successo, e come ha giustamente ricordato, quanto sia stato fondamentale il ruolo del PKK. I paesi che fanno parte della coalizione sembrano però aver dimenticato in fretta quanto accaduto a Shengal. Nell’indifferenza generale la Turchia ha nuovamente iniziato una guerra contro il PKK e la popolazione curda in particolare nel Bakur. Cosa ne pensa di questa situazione?

Non ci possiamo aspettare più di tanto dagli Stati-nazione. Tutto il mondo conosce il ruolo che il PKK ha avuto nella difesa e nella liberazione di Shengal. Il PKK è un movimento dell’umanità, è sempre stato dalla parte dei popoli, degli oppressi e continuerà a farlo perché questa è la sua filosofia di lotta. I responsabili del massacro di Shengal siedono a capo dei governi, sono loro che hanno fatto scorrere il sangue, ma questa volta il PKK ha interrotto il loro gioco, ma nessuno, neanche gli Stati-nazione possono negare il ruolo che abbiamo avuto. La coalizione, a cui i Peshmerga riconoscono un ruolo fondamentale nella liberazione di Shengal, in realtà ha effettuato pochissimi bombardamenti e la resistenza è stata portata avanti con le sole armi leggere che abbiamo e con queste continueremo la battaglia.

Ieri eravamo degli eroi, mentre oggi siamo di nuovo definiti terroristi. Per noi questo non è un problema. E’ la società, l’opinione pubblica, che deve rendersi conto che questa è una strategia sporca.

Qual’è il futuro di Shengal?

L’unico nostro obiettivo rimane quello dell’autodeterminazione dei popoli. Se qui attecchisce il sistema del12795109_10153704544659355_1281416627979670312_o confederalismo democratico, allora potrà diffondersi in tutto il Basur. Shengal rimane un area strategica e pertanto non è ancora fuori pericolo. L’unica possibilità è la convivenza pacifica tra tutti i popoli, le culture e le religioni. Curdi, Ezidi, Armeni, Caldei, Sunniti, Sciiti, Assiri e così via. Tutti devono poter vivere in maniera autonoma nel rispetto delle reciproche differenze che per noi, da sempre, sono una ricchezza piuttosto che un problema.

Carovana per il Rojava – Torino
Coordinamento Toscano per il Kurdistan