Questione curda in medioriente:Democrazia dei popoli in antitesi alle barbaria fondamentalista
Intervento di Adem Uzun, Consiglio Esecutivo del Cogresso Nazionale del Kurdistan all’assamblea del Rete Kurdistan-Modena
Suddividerò il mio intervento in due parti: una più generale e una più pratica.
Anche se la guerra colpisce in particolare la nostra regione, essa influenza il nostro morale ovunque nel mondo. La guerra è una cosa molto negativa, perché porta dolore; la guerra porta violenze, traumi, torture.
Questa è una guerra che ci è piombata addosso dall’esterno, e noi siamo costretti a prendervi parte solo per difenderci. Non l’abbiamo iniziata noi. Con questa guerra vorrebbero farci arrendere, sconfiggerci, ma noi non lo accettiamo e ci opponiamo.
Questa guerra ha un motore: il nazionalismo. Il clima creato dal nazionalismo vuole rendere tutti uguali, omogenei; questa è la ragione della guerra. E’ una situazione creata dai regimi, ma quando uno di questi regimi non ha più appoggio dall’esterno, allora cerca una soluzione diversa, anche se ancora una volta questa soluzione non include mai il popolo.
Nella storia del mondo c’è sempre da una parte una guerra per conquistare l’egemonia, e dall’altra una lotta di resistenza a questa egemonia; è quello che sta succedendo a noi, e noi lottiamo contro l’egemonia. Vogliono farci scomparire all’interno di questo sistema egemonico e vogliono cancellare dalla storia la resistenza del popolo, vogliono farla scomparire. Noi rispondiamo che per perseguire questa tentativo di egemonia non possono cancellare la nostra geografia, la nostra demografia, non possono oscurarci. Noi lotteremo contro questo tentativo.
Ora, in questa resistenza ci sono tre attori principali:
1)le forze imperialiste, che prendono parte a questa guerra e cercano di disegnarne il profilo;
2)le forze coloniali, che usano qualsiasi strumento violento e sporco per non perdere il loro potere;
3)i popoli, che insieme resistono contro queste due forze.
Nell’agire delle prime due forze sono presenti contraddizioni; la nostra resistenza ha un carattere strategico e ideologico, ma consiste anche a volte nell’attivare soluzioni di tipo esclusivamente tattico per incunearsi fra queste contraddizioni.
Per molto tempo nella regione il nazionalismo ha avuto l’egemonia; adesso l’islam liberale vorrebbe prendere il sopravvento. Per far questo, le forze imperialiste usano i conflitti settari (sunniti, sciiti, ecc.), mettendo le popolazioni aderenti a confessioni religiose diverse le une contro le altre, in modo da indebolire i popoli e poi intervenire per far finta di salvarli.
Il secondo gruppo, le forze coloniali, cerca di guidare queste fazioni per prendere il potere. Nonostante si tratti di fondamentalisti ed estremisti, le forze che stanno dietro a tutto questo progetto aiutano dal punto di vista militare e politico certi gruppi come Al-Qaida, Al Nusra e Daesh (IS), per trarne vantaggio e prendere il potere. Questi gruppi non sono omogenei, ma tutti sono riforniti, guidati e fatti combattere come strumenti, sia dalle forze imperialiste sia dalle forze coloniali.
Noi pensiamo che anche se questi gruppi scomparissero, ne nascerebbero altri simili. Bisogna guardare la nostra resistenza e la nostra lotta da un punto di vista generale, per potersi correttamente collocare e combattere all’interno di questo quadro.
Gli strumenti usati contro di noi cercano di cambiare la demografia nella nostra zona, portare nuovo feudalesimo e arretratezza alle nostre popolazioni, eliminando una possibile cultura ecologica e ignorando la volontà dei popoli di convivere insieme in pace. Dobbiamo perciò considerare nella lotta questi tre aspetti tutti insieme: dobbiamo combattere contro il nazionalismo, contro il nuovo feudalesimo, contro lo stravolgimento della geografia e della demografia.
Noi dobbiamo impostare una lotta consapevole contro tutto questo. In passato, la guerra e le basi del potere sono state esercitate attraverso la forma degli stati-nazione; attualmente le cose stanno cambiando, ma ancora una volta si cerca di creare un nuovo caos per portare a una nuova guerra. La tattica è diversa ma il fine è lo stesso.
Questa è una vera e propria rivoluzione, non è una semplice resistenza di autodifesa o la riforma di un sistema. Bisogna vederla come una lotta globale, se possibile, non limitata alla nostra regione. Se proveremo a fare questa rivoluzione da soli, sarà impossibile vincere. In questo processo sono presenti elementi globali, e quindi serve una lotta globale; noi possiamo imparare qualcosa da voi e viceversa.
Siamo qui in questo momento per portare avanti questa lotta globale in modo da creare una fronte comune tra tutti i popoli. Adesso questa nostra lotta per la democrazia globale ha raggiunto una nuova fase. In passato abbiamo adottato un approccio “privativo” al processo globale di democrazia: denunciavamo la nostra realtà di popolo oppresso, le violazioni dei diritti umani, cercavamo di farci conoscere per questo. Ovviamente ancora oggi si verificano violazioni di diritti umani, colonialismo, torture, ecc.; però ora noi ci proponiamo come creatori di una nuova visione, come portatori di un progetto nuovo.
Prima eravamo solo un popolo oppresso, e lo siamo ancora. Però non siamo più solo un “fattore”: siamo anche attori, e la nostra visione è propositiva. In questo momento storico siamo diventati una chiave per la risoluzione di alcuni processi, e se non la vediamo così non potremo mai vincere.
Noi adesso non siamo soltanto attori nella lotta e nella resistenza, siamo anche fondamentali per il cambiamento. Questa è una fortuna, un’opportunità, e se non ce ne rendiamo conto è una cosa molto negativa.
Noi non abbiamo fatto questo da soli; siamo consapevoli che è una lotta comune portata avanti anche con voi; quello che serve è organizzarci meglio e, attraverso un’organizzazione collettiva, andare avanti in modo migliore ed efficace.
Abbiamo deciso che non faremo diventare i nostri popoli vittime di una guerra per il petrolio, per l’acqua, per l’arretratezza, per il feudalismo ecc. Per ognuna di queste cose dobbiamo proporre e sperimentare una soluzione alternativa. Abbiamo già proposte e progetti, per esempio gli scritti di difesa del presidente Öcalan e più in generale i suoi libri. Vogliamo mettere insieme questi progetti e proposte con la pratica, dobbiamo applicarli. Anche prima lo facevamo, ma la nostra mancanza è stata quella di non essere stati in grado di spiegarlo all’esterno.
Il Rojava e Kobane hanno reso tutto questo possibile e sotto gli occhi di tutti. Senza aspettare che gli altri attori in gioco ci concedano una parte nella guerra, noi mettiamo in pratica il nostro sistema e lo portiamo avanti. Questi nostri progetti sono scomodi, non sono accettati, e sia le forze imperialiste sia quelle coloniali vogliono distruggerle; soprattutto quelle coloniali fanno di tutto per distruggerli.
La lotta che abbiamo portato avanti in Rojava contro l’Isis, non è in realtà una lotta contro l’Isis, bensì contro lo stato turco.
Lo stato turco, non essendo riuscito a sconfiggerci all’interno dei suoi confini, ha iniziato un falso processo di pace per far credere che ci fosse una soluzione, e allo stesso tempo ha usato Isis per sconfiggerci fuori dai suoi confini. Per questo motivo Al-Nusra o altri gruppi, per quanto arretrati o violenti, sono stati formati, armati, sostenuti e mandati contro di noi dalla Turchia. In questo ha avuto il sostegno dell’Arabia Saudita, del Qatar e delle forze imperialiste del primo gruppo. Ma non sono riusciti a vincere, a raggiungere il loro obiettivo; ci proveranno ancora, ma l’unità tra teoria e pratica in Siria impedirà loro di farcela. Gli attacchi non diminuiranno: domani e ancora per anni ci saranno nuovi attacchi. Per rompere questo gioco, dopo averlo fatto in Siria, abbiamo dichiarato l’autonomia nel Bakur [Nord Kurdistan], dentro la Turchia.
Quello che noi abbiamo fatto non è un passo tattico, è un passo strategico, perchè siamo convinti che i popoli possano mettere in pratica l’Autonomia Democratica. Questo è un processo difficile, ma noi vogliamo farlo crescere e accelerarlo. Se guardiamo questa situazione solo dalla prospettiva dei curdi, perderemo.
Se in Siria difendiamo il Rojava ma non democratizziamo tutta la Siria, allora perderemo. Se lottiamo per liberare e creare l’Autonomia nel Nord Kurdistam, ma non democratizziamo tutta la Turchia, allora perderemo. Stiamo portando avanti due lotte parallele: l’Autonomia in Nord Kurdistan, ma anche il rafforzamento dell’HDP nella lotta politica nazionale.
L’HDP è un progetto attraverso cui tutti i popoli possono lavorare insieme per democratizzare la Turchia. É la stessa cosa che vogliamo fare in Siria, ma lì in primo luogo dobbiamo portare avanti una lotta fisica, militare. In Siria quello che possiamo fare è sostenere tutti i popoli che vogliono autodifendersi. Per questo abbiamo creato le forze di autodifesa democratica in Siria; non servono solo a liberare il Rojava, ma tutta la Siria.
C’è poi il Kurdistan del Sud, che è più libero dal punto di vista del riconoscimento giuridico internazionale, è più indipendente. Con alcuni partiti ci sono differenze idologiche; il sistema economico che loro portano avanti e il nostro non si accordanoo, lo stesso vale per il sistema di formazione ed educazione. Il loro punto di vista sull’Islam e il suo modo di interagire nella società e nei confronti delle donne non si accorda col nostro. Abbiamo però delle relazioni con loro, perché quando le potenze attaccano, attaccano tutti i curdi. Noi portiamo avanti un processo per capire come possiamo portare avanti una lotta nazionale insieme. Questa è una lotta per creare un’unità nazionale tattica, ma noi come base abbiamo la Nazione Democratica, cioè la creazione di una politica e una società democratica.
In questo momento, a causa degli attacchi, pratichiamo l’autodifesa; purtroppo gli altri curdi che sono presenti là non hanno agito come noi. Non hanno messo in pratica un’autodifesa come noi, perché i loro governanti hanno guardato solo ai loro tornaconti economici per proteggere i loro interessi, e non hanno avuto come riferimento un sistema generale come noi. Perciò gli ezidi, i cristiani, gli assiri, gli armeni sono stati massacrati e hanno subito un genocidio. Al contrario, noi ci siamo sentiti responsabili per i nostri popoli, li abbiamo difesi e continuiamo a difenderli, e nessuno potrà cacciarci da questa regione. Così come ho detto che in Kurdistan siriano e in Bakur non potrà esserci Autonomia Democratica se non c’è in tutta la Siria e in Turchia, lo stesso vale per i diritti di questi popoli della regione del Sud; noi siamo pronti a prendere parte a questa lotta. Perché la democratizzazione non è solo quella della maggioranza: dobbiamo lottare affinché l’identità, la voce e il colore di tutti i gruppi etnici e sociali possano coesistere insieme.
Dall’altra parte c’è l’Iran, una potenza regionale, che interviene in tutte le situazioni e che sta cercando di creare un proprio spazio di influenza. L’Iran non accetta i popoli altri che vivono nella regione, e noi questo non possiamo tollerarlo. La prima lotta da fare è organizzarsi in questi territori. L’Iran insieme alla Turchia si muove affinché la lotta nel Rojava non abbia successo; da fuori sembra che l’Iran non sia dalla sua parte, ma in realtà è complice della Turchia, perché vi è una convergenza di interessi. Se Assad ha intenzione di fare un passo in favore dei curdi, l’Iran interviene per bloccarlo. Né l’Iran, né Assad, né la Turchia hanno un atteggiamento diverso riguardo al fatto che i curdi possano avere uno status e un progetto realizzabile.
Le forze imperialiste ci vogliono utilizzare come pedine in questo gioco, e cercano di portarci dalla loro parte. Cercano di rafforzare le relazioni, e delle relazioni ci sono anche. Ma noi non dobbiamo mostrarci solo come una forza che fa la guerra; dobbiamo organizzarci in quella zona e in tutte le regioni con i popoli, contro tutto questo. E’ molto importante. Per questo in Rojava adesso c’è un’amministrazione che noi abbiamo creato e nella quale cerchiamo di coinvolgere tutti i popoli che vivono nella regione.
Se noi non creiamo un’alternativa politica, economica, sociale e di difesa, allora ci utilizzeranno solo come una forza militare. Abbiamo difficoltà, mancanze, lacune, abbiamo bisogno di aiuto, abbiamo bisogno di condividere questa lotta, facciamo cose imperfette? Si. Però dal punto di vista dell’ideologia e della prospettiva siamo a buon punto. Dobbiamo cercare di portarla a compimento; non vogliamo farlo da soli ma insieme a voi. Cercano di attaccarci di fronte all’opinione pubblica, per fare in modo che voi e noi non lottiamo uniti; perciò è molto importante lavorare sull’opinione pubblica. Se saremo in grado di spiegarvi l’ideologia che cerchiamo di creare, e se ci capirete, allora ci sarà ancora più sostegno.
La nostra prospettiva in Rojava è una prospettiva di sinistra; ci scontriamo con il liberalismo. Se noi riusciamo a organizzarci per creare questa prospettiva di sinistra, allora su questa base crescerà anche il Rojava. Il fatto che nel Rojava possano crescere valori di sinistra è una cosa che anche voi potete sostenere insistendo sull’opinione pubblica.
E’ necessario lavorare sul piano ideologico rispetto alla democrazia globale. Occorre organizzare seminari, conferenze, iniziative divulgative, distribuire libri, creare siti internet ecc., altrimenti avremo difficoltà. E’ molto importante far conoscere l’Autonomia democratica all’opinione pubblica, e portare avanti un progetto di democrazia globale.
Poi ci sono anche compiti pratici, tra cui ad esempio la ricostruzione di Kobane, oppure l’invio di delegazioni di osservatori per le elezioni e l’organizzazione di manifestazioni.
Per esempio, sulla ricostruzione di Kobane, quando abbiamo iniziato ci siamo basati sul fatto di essere non solo una forza di difesa, ma anche progettuale e di ricostruzione. Sapevamo di non poter creare tutto questo all’improvviso; sapevano che non era appropriato né giusto ricreare una città dal nulla durante una guerra. Il messaggio che volevamo dare serviva a rispondere alle necessità urgenti della popolazione in modo da non costringerla a fuggire, e convincerla a rimanere facendo capire che si può rispondere all’emergenza.
Ogni volta che abbiamo aumentato l’impegno nella ricostruzione, allora ci sono stati attacchi molto violenti. Dieci giorni prima di una grande conferenza in Europa per la ricostruzione di Kobane, ci sono stati attacchi che hanno provocato centinaia di morti. Lo stesso è successo in Turchia con l’attentato al Centro Amara. Non vogliono che dimostriamo di saper lottare e insieme garantire la sicurezza. Adesso nel distretto di Kobane non ci sono più problemi di sicurezza.
La Turchia non lascia entrare niente a Kobane; quando passa qualcosa è solo grazie alla vostra pressione. Cerca di sconfiggerci portandoci alla fame, non vuole accettare che ci possiamo sostenereda soli. Per questo ostacola l’arrivo di materiali per la ricostruzone, persone e aiuti. Noi combatteremo ancora di più contro questa situazione. Per questo dobbiamo liberare altre zone; se non ci riusciamo allora saremo ostaggi di questa loro strategia. Per questo dobbiamo essere pronti al fatto che questa lotta andrà avanti ancora per molto tempo. Non finirà domani o tra poco.
Adesso c’è la Russia, l’America, la Turchia, l’Iran, il Qatar; io penso che le contraddizioni tra questi ultimi si approfondiranno. Noi intratteniamorelazioni tattiche con alcuni di loro, ma non ci fidiamo di nessuno, neanche della Russia. Abbiamo subito molti attacchi.dalla Siria, dall’Iran e dalla Turchia, e da questi stati avremo ancora problemi. Per questo noi dobbiamo fidarci sempre e soltanto dei popoli.
Quando creiamo relazioni con i popoli, noi lo facciamo in questa prospettiva: se accetti me, io accetto te. Se accetti i miei colori, le mie idee, allora possiamo portare avanti queste relazioni. La resistenza e la lotta andranno avanti sulla base di questo patto.
Dopo il 1 novembre alcune cose si chiariranno, ma la situazione in Turchia non cambierà radicalmente. L’HDP avrà circa il 12-13 percento, ma l’AKP farà di tutto per lasciarlo al di sotto della soglia di sbarramento del 10%; per questo le elezioni sono molto importanti. Se l’AKP si troverà di nuovo in questa situazione, con l’HDP in parlamento, allora la guerra diventerà più intensa. Potrebbero inoltre creare una coalizione con il MHP, e allora ci sarà un governo della guerra, perché in Turchia c’è una mentalità che esiste da novant’anni: non accettare mai l’esistenza di nessun altro soggetto, e se necessario fargli la fine degli armeni.
La Turchia ha paura perché crede in una teoria politica secondo cui, nella storia, quando un grande stato ha affrontato problemi etnici e democratici, ne è uscito ridimensionato; ha paura che se considera la questione curda, finirà per ridursi solo all’Anatolia.
L’AKP ha il progetto di creare attraverso l’Islam un nuovo impero otttomano; l’altro progetto che circola è di non toccare la turchia, di lasciarla così com’è, con la stessa politica che perdura da novant’anni: questa mentalità è condivisa dal MHP e dal CHP. La terza teoria è la nostra: l’Autonomia Democratica per tutti i popoli. Siccome la prima è stata sconfitta nella società e nelle urne, allora si ripiega su una convergenza tra la seconda e la prima contro la terza. Mentalità democratica contro la vecchia Turchia e la sua mentalità fascista; questo è quello che succederà dopo le elezioni.
Dobbiamo rafforzare la nostra mentalità per vincere questa partita; per questo dobbiamo lottare insieme agli ezidi, ai cristiani, agli aleviti, ai lavoratori, alle donne, ai movimenti democratici, perché questi sono i soggetti oppressi. Se continueremo nella maniera giusta, questo fronte si rafforzerà e crescerà. Noi non porteremo avanti la politica di prima, cioè dateci i diritti, riconosceteci, e così via. Noi porteremo avanti la nostra politica. Noi vogliamo gestire la Turchia insieme ai suoi popoli, non soltanto resistere. Noi lavoreremo per diventare un’alternativa e affinché il pensiero vecchio e totalitario non riprenda il potere. Ma questo si può fare solo con i popoli…
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C’è l’embargo tra Turchia e Rojava, ma anche tra KRG e Rojava, e anche quello è da abbattere. Nell’autorità del sud del Kurdistan c’è un approccio negativo al Rojava; il problema viene dal fatto che il KDP vorrebbe installare in Rojava anche i peshmerga come forza militare indipendente dalle YPG. Questo lo vuole anche la Turchia, perchè non vogliono che la nostra ideologia si diffonda nel Rojava.
La Turchia sa che le relazioni economiche con il KDP sono molto forti, e grazie a questo potrebbe influenzare il Rojava. Anche l’America vuole questo, perchè ha relazioni molto forti con il KDP e con i peshmerga. Noi diciamo che dal punto di vista politico tutti possono far parte dell’amministrazione, ma non possono esserci due forze militari. Se vogliono aiutare militarmente possono farlo, e infatti sono già arrivati a Kobane durante l’assedio con un contingente. Noi possiamo fare altrettanto, come è successo a Kirkuk, ma nel Kurdistan iracheno ci sono due forze militari dal 1992 e questo genera confusione e caos. Se questa impostazione è già fallita là, perché dovremmo metterla in pratica in Rojava? Se i peshmerga vogliono venire in Rojava, possono entrare nelle YPG.
E’ un attacco per ridurci alla fame, è una cosa sbagliata, ingiusta, ma noi la supereremo. Adesso, parlando della Turchia, noi non vogliamo che sia così centralizzata; vogliamo decentralizzare questo stato. Facciamo propaganda in questa direzione cercando di formare una coalizione, un gruppo che la pensa in questo modo, e che sta crescendo sempre di più. Non vogliamo gestire la Turchia nel senso di diventare parte di un governo centrale: noi vogliamo che lo stato serva solo a coordinare, ma che ognuno nella sua zona, regione o città, attraverso consigli e assemblee, prenda le proprie decisioni, e che lo stato centrale sia solo un coordinamento di tutto questo. Non vogliamo sostituirci all’AKP andando al governo così com’è ora. In una Turchia decentralizzata il governo sarebbe solo funzionale.
L’imperialismo che agisce da noi non è diverso da altrove; il progetto è lo stesso, ma ci sono sfumature diverse nel modo che hanno di prendere il potere. Dal punto di vista economico hanno idee diverse, ma comunque vogliono continuare a far esistere stati coloniali; il modo di rapportarsi ai popoli è sempre lo stesso.
L’imperialismo cerca di dare una forma diversa ai regimi di quella regione, ma la sostanza è la stessa. Tra Putin e Erdogan ci sono molto differenze; Erdogan vuole creare un impero ottomano egemone, e anche Putin vuol essere egemone nella sua zona. Per ottenere l’egemonia usano nella pratica tattiche comuni; le contraddizioni che ci sono tra l’Occidente e la Russia non sono profonde, sono solo contraddizioni per la conquista dell’egemonia. E’ una lotta per chi sarà più egemone e prenderà il potere. Anche il conflitto tra Russia e Turchia è impregnato di questo. Perciò penso che la Russia nel futuro prossimo sarà sempre più attiva, e che farà molti sforzi per estendere il suo potere in Medio Oriente e in tutta l’Asia, oltre la sua zona d’influenza. Non penso che per quanto riguarda l’Europa, gli stati europei abbiano giocato un ruolo molto attivo in questo processo; esistono come sistema ideologico, ma nella pratica non sono molto attivi; vedono tutto dal punto di vista della sicurezza. Un’altra cosa che hanno a cuore è il problema del’immigrazione. Perciò avranno delle relazioni sempre più strette per evitare che i profughi arrivino in Europa.
Erdogan ha incontrato tutti i capi di stato europei e da loro non c’è stata una parola sui diritti umani; sono stati ipocriti, e anche quando viene Putin fanno la stessa cosa. Per quello di cui hanno bisogno, ci venderanno. L’Inghilterra ha detto: ricominciano a sostenere la Turchia, nonostante i suoi rapporti con ISIS. 25.000 miliziani provenienti solo dalla Turchia, che lo fa apertamente. L’Europa non lo sa? Sì. Fa qualcosa? No. Dobbiamo lavorare di più per denunciare questo.