Quadro teorico dei concetti della nuova paradigma di Ocalan

Una rivoluzione ha bisogno di solide basi teoriche e i rivoluzionari e le rivoluzionarie devono avere un vocabolario comune per intendersi.

Il movimento di liberazione del Kurdistan, con il suo carattere universale, offre il proprio spunto per questa intesa.Spesso non solo gli strumenti, ma anche concetti e termini a cui facciamo riferimento per combattere il sistema, appartengono al sistema stesso, che li ha fatti propri nel corso della storia da esso scritta e riscritta a difesa e sostegno dei propri interessi. Come ogni campo della vita, anche il linguaggio è stato espropriato alla società da parte dello Stato, che ne ha operato un ribaltamento di significato al fine di imporre il suo potere, e mantenerlo.

Ma per chi fa la scelta di vivere coerentemente ai propri principi etici, ai propri ideali, ristabilire quali sono i termini del discorso è di fondamentale importanza, perché ciò che si dice, poi si mette in pratica.

L’utilizzo improprio di determinati concetti, per l’analisi prodotta dal movimento kurdo, rientra nella sfera delle VERITA’ TRASFORMATE dal dominio a proprio uso e consumo, e la ricerca della verità (storica, fenomenica, culturale, …) è volta non solo ad un riconoscimento ma anche ad una riappropriazione di significato che guiderà le scelte nella pratica rivoluzionaria.
Cosa si intende allora per democrazia, politica, economia, …? Si intendono una serie di pratiche attraverso le quali le persone, per millenni prima della creazione della forma stato e le divisioni sociali, hanno organizzato la propria vita collettiva.

1) CULTURA
La cultura rappresenta tutta la realtà di una società: è la sua mentalità, che trova espressione nelle strutture attraverso cui la società stessa organizza la sua vita collettiva.

Quando si parla della società, definiamo la cultura in senso stretto come un universo di significati e principi etici, come la mentalità della società, la sua arte e la sua scienza.
A tale definizione generale di cultura bisogna però integrare la parte che si riferisce alle sue istituzioni politiche, economiche e sociali.

Infatti sarebbe abbastanza ingannevole parlare di una società solamente in termini di significato o solamente in termini strutturali (istituzionali).

Una volta che la società venga spogliata dei fattori istituzionali, non si può parlare del suo contenuto, della sua cultura in senso stretto. In tal caso, l’istituzione è come una tazza piena d’acqua. Una volta che la tazza si rompe, è evidente che non si potrà parlare dell’esistenza dell’acqua. E anche se se ne parlerà, l’acqua non sarà più acqua per quanto riguarda il suo rapporto con il padrone della tazza, bensì acqua come un elemento della vita, che fluisce verso altre terre o verso i padroni di altri contenitori.

D’altra parte, le conseguenze della perdita di significato, mentalità ed estetica sociale sono ancora più gravi. In questi casi, si potrà solo parlare delle convulsioni di un’esistenza, come accade con gli esseri viventi decapitati. Una società che perdesse il suo mondo in termini di mentalità ed estetica somiglierebbe a una carogna lasciata a putrefarsi, ad essere distrutta violentemente e divorata. Perciò, per definire una società, in definitiva è necessario valutarla all’interno dell’insieme di struttura e di significato.

L’esempio più semplice in proposito è quello della realtà della società curda, di cui viviamo intensamente le vicende drammatiche. La società curda, poiché vive una profonda frattura e una perdita della propria mentalità tanto a livello istituzionale quanto di significato, potrebbe essere definita come una “società vittima di genocidio culturale”.

2) LINGUA
La lingua è lo strumento di comunicazione di un popolo, di una comunità, è espressione delle sue radici. È ciò che ne garantisce l’identità culturale.

Il concetto di lingua è strettamente legato a quello di cultura, e in senso stretto costituisce uno degli elementi principali del campo della cultura. La lingua implica un’accumulazione sociale di elementi sentimentali e razionali all’interno di una mentalità, etica ed estetica, acquisita da una società. La lingua costituisce un’identità, esplicitata da un contenuto del quale si ha coscienza in un determinato momento della propria storia, che arriva poi a prendere forma in un’espressione. Il fatto che una società arrivi ad avere una propria lingua implica che abbia già una forte ragione di vita.

Il livello di sviluppo della lingua rappresenta il livello di sviluppo della propria esistenza. Allo stesso modo, quanto più una società abbia perso la propria lingua e sia stata sottomessa all’egemonia di altre lingue, tanto più ciò significa che è stata colonizzata, come se avesse subito un’assimilazione e un genocidio. È chiaro che le società che si trovano in questa situazione non possono avere una vita significativa in termini di mentalità, etica ed estetica, e sono condannate a una vita tragica, fino a quando non vengono cancellate e fatte sparire. È anche inevitabile che i progetti istituzionali delle società che subiscono tale perdita siano utilizzati come materia prima per istituire altri progetti, quelli delle società degli sfruttatori.

Di conseguenza, quando ci si trova in una situazione del genere, come ad esempio avviene per curdi, è piuttosto chiaro che una società in tali condizioni si impoverirà molto e cadrà in rovina, non potendo evitare di vivere in modo sgradevole e sbagliato, non solo dal punto di vista materiale, ma anche dal punto di vista dei valori, dell’etica e dell’estetica, di cui appunto viene espropriata.

3) CIVILIZZAZIONE

Per civilizzazione si intende il passaggio storico in cui avviene la trasformazione della società in senso autoritario: nascita del patriarcato, istituzione dello Stato, fondazione delle città, imposizione della divisione sociale in classi subalterne.

Le classi, l’urbanizzazione e lo Stato sono le categorie principali, i pilastri, di una società civilizzata.

Ci si può chiedere se il processo di civilizzazione implichi uno sviluppo positivo o negativo. Secondo coloro che hanno scritto la storia a favore degli oppressori e degli sfruttatori, la civilizzazione rappresenta un grande sviluppo storico, e non solo, è in questo momento che essi individuano l’inizio della propria storia. All’opposto, per quanto riguarda coloro che si riconoscono come settori sociali che vivono in condizioni di oppressione e sfruttamento, la civilizzazione è vista come una grande catastrofe e come la perdita dell’utopia del paradiso. Questo è il punto di vista corretto.

È un requisito della natura sociale il fatto che, all’interno di una società che vive questa contraddizione in maniera profonda, si formi una separazione tra etica ed estetica. La formazione di un universo di sentimenti e di strutture frammentate e contraddittorie è un requisito della civilizzazione.

Le guerre esprimono ancora meglio questa realtà. Il fatto che esistano pratiche sociali di annichilimento fisico come le guerre, può significare solo che esiste una società profondamente divisa. E la frammentazione del significato esprime una guerra ideologica, che non è altro che una guerra egemonica la quale è efficace tanto quanto la guerra materiale, che si vive in maniera intensa nella società civilizzata.

Un altro fenomeno che si osserva nello sviluppo della società civilizzata è il fatto che questa inghiottisce la società nel momento in cui la assimila, e in relazione con questo processo dissolve e distrugge il rapporto ecologico-simbiotico con la Natura. In questo modo, lo trasforma in un rapporto di mera utilità, solo come risorsa da sfruttare e da consumare gradualmente. In questo senso, è importante ed attuale la domanda “la società si disperderà a partire dalle sue contraddizioni interne o a causa delle contraddizioni ecologiche?”. È corretto affermare che, se non si sviluppa una trasformazione radicale e positiva nel processo di civilizzazione, c’è da aspettarsi che la Natura non possa salvarsi dal subire gravi catastrofi.

Le affermazioni secondo cui le società non possono vivere senza civilizzazione, e che le società che vivono in forme civilizzate sono ricche e forti, sono pura ideologia e non fanno altro che riflettere il paradigma dell’élite oppressiva e sfruttatrice.

Il livello a cui è arrivata la divisione in classi sociali, l’urbanizzazione e la statalizzazione è visto dai ricercatori più imparziali come un cancro della società, ed è significativo notare che anche il cancro biologico è legato a questa realtà. Su questo tema abbondano le prove: gli armamenti nucleari, la distruzione dell’ambiente, la profonda disoccupazione strutturale, la società dei consumi, l’aumento eccessivo della popolazione, i livelli di cancro biologico, le malattie a trasmissione sessuale e i genocidi, che sono in costante aumento, sono alcune delle principali manifestazioni di ciò.

La modernità democratica, che toglierà alla civilizzazione contraddittoria e cancerogena attuale i suoi caratteri di oppressione e sfruttamento, trasformandola, si dimostra sempre più come l’unica soluzione alternativa. Basta col ritenere la distruzione della civilizzazione della società come una grande perdita! Bisogna ritenere questa distruzione come uno sviluppo fortemente positivo se permette di ottenere lo sviluppo della cultura, tanto a livello strutturale quanto di significato. Se questo sviluppo conduce a una trasformazione della civiltà, potremmo anche interpretarlo come una salvezza e come il raggiungimento di una vita libera.

4) POTERE

Il potere è l’esercizio di un’egemonia imposta e mantenuta con l’uso della forza, sia essa fisica o intellettuale. Potere e stato-nazione dunque coincidono, ma non sono la stessa cosa, poiché il potere si esercita anche altrove, per esempio in famiglia.

Il potere costituisce uno dei concetti basilari che presenta le maggiori difficoltà nell’analisi della realtà sociale; esso è contraddittorio, causa equivoci, e molti evitano di definirne il suo contenuto e la sua forma. La sua natura repressiva si riflette anche nella sua definizione, in quanto resiste ad essere definito nella realtà, non si lascia svelare. Esso si generalizza e si assolutizza, come se fosse neutro ma irrinunciabile, come se fosse un fenomeno divino.

La definizione più corretta di potere è quella di possibilità, di potenziale, di forza, e di sfruttamento economico intensivo. Il potere è un potenziale in termini di forza e un’accumulazione di sfruttamento che ha acquisito caratteristiche quasi genetiche, come un DNA, in tutti i centri strutturali e intellettuali della società. E le forze che si appropriano di questo meccanismo sono costituite storicamente dallo Stato, dai élite oppressive e sfruttatrici e dalle loro classi sociali.

È molto importante essere capaci di dare sempre senso al potere in quanto possibilità di accumulazione potenziale delle formazioni statali e di classe. Quando il potenziale del potere si concretizza, esso è rappresentato da qualunque Stato e dalla classe sociale sfruttatrice, che sia questa schiavista, feudale, borghese, etc., nella quale sono inserite l’élite che dominano lo Stato. Potremmo anche immaginare il potere come un potenziale in termini di forza, tanto fisica quanto intellettuale. Un altro aspetto importante che il potere impone alla società, come se fosse imprescindibile, assoluto e costantemente necessario, è il fatto che si identifica con la necessità naturale di amministrare la società. Così il potere si rende irrinunciabile, identificandosi strettamente con il fenomeno dell’amministrazione. In realtà il potere si è infiltrato nell’organismo sociale come un cancro.

Inoltre, è importante essere in grado di comprendere la differenza tra potere e Stato. Il potere è molto più esteso all’interno della società, e penetra in tutti i suoi pori, mentre lo Stato esprime un’identità del potere in senso più stretto e con regole concrete. Lo Stato è una forma di potere, certo sottoposta ad alcuni controlli, normata da alcune regole, che gradualmente si è vestito di leggi e continuamente si legittima.

Potremmo analizzare il potere come una situazione di dominio e sovranità generale, mentre potremmo definire la mancanza di libertà come una situazione di schiavitù generalizzata. Forme distinte di potere e di schiavitù sono vincolate alle caratteristiche generali dello Stato, e si ispirano ad esso. Potremmo anche definirle come un’opposizione alla libertà. Quanto più potenziale di potere è presente nella società, tanto più si soffrirà una mancanza di libertà. Quanto più venga ridotto il potere, tanto più si potrà sviluppare la libertà.

Bisogna fare molta attenzione al desiderio di potere all’interno della società. Quanto più tale desidero è esteso, tanto più faranno la loro comparsa piccoli despoti che soffocheranno del tutto la democrazia. Il dispotismo, che è una malattia del potere, quando è fuori controllo si trasforma facilmente in un mostro, come si riscontra in esempi quale quello di Hitler.

Il dispotismo, che è apparso nella storia sotto forma di amministrazioni arbitrarie e che si sviluppa come alcune malattie del fascismo sociale, cresce velocemente all’interno dei processi del potere capitalista, estendendosi a tutte le parti della società e concretizzandosi in un’amministrazione totalitaria. La sua formazione come Stato-nazione è vincolata al regime capitalista-fascista e rappresenta la sua premessa, la sua forma precedente.

5) AMMINISTRAZIONE
L’amministrazione è l’organo di autogestione attraverso il quale la società si organizza, dal basso, secondo le sue esigenze.

È importante definire correttamente l’amministrazione per poter superare la sua accezione negativa derivata dalla commistione col potere cui siamo abituati. L’amministrazione, come la cultura, è un fenomeno che garantisce continuità all’interno della società. Generalizzando, potremmo paragonarla allo sviluppo cerebrale dell’universo e, soprattutto, alla concentrazione dei nervi nell’universo biologico. L’amministrazione rappresenta la regolarità nell’universalità, e la sua messa in ordine di fronte al caos. La forma sviluppata della natura semantica dell’intelletto flessibile porta con sé la possibilità di un’amministrazione avanzata.

Il cervello sociale, se è lecito usare questa espressione, potrebbe coincidere con il sistema di amministrazione di una società. In questo senso è molto importante analizzare i due concetti distinti di amministrazione: quella propria e quella calata dall’alto. L’amministrazione interna, l’auto-organizzazione, garantisce l’ordinamento, il controllo e la supervisione del potere nella natura sociale, assicurando in questo modo la continuità della società, la sua difesa e la sua riproduzione. L’amministrazione imposta, invece, è un potere che, autodefinitosi “naturale”, vuole sedurre la società, disperdendone l’intelletto, con l’obiettivo di colonizzarla e di dirigerla. Perciò, una propria amministrazione è di vitale importanza per la società. Una società che sia rimasta priva della sua amministrazione non solo non potrà evitare di diventare una colonia, ma sparirà inevitabilmente o sarà annichilita nel corso del tempo da assimilazioni e genocidi, come risultato lineare di questo processo.

Le amministrazioni estranee all’essenza della società rappresentano la forma più tirannica e sfruttatrice del potere. Perciò arrivare ad avere una capacità di autoamministrazione è per ogni società il dovere più vitale, etico, scientifico ed estetico. Una società che non voglia adeguarsi a questa premessa non solo non potrà svilupparsi in maniera etica, scientifica ed estetica, ma subirà anche la perdita del proprio sviluppo e delle proprie istituzioni politiche ed economiche. È molto importante sia non trasformare l’amministrazione in potere, sia sradicare i privilegi amministrativi che vanta il potere costituito.

Quanto più l’amministrazione del potere nella società è antidemocratica, tanto più l’autoamministrazione sarà democratica. Quanto più le amministrazioni del potere puro rappresentano il contrario della democrazia e l’allontanamento delle persone dall’amministrazione della società, tanto più le autoamministrazioni rappresenteranno la democratizzazione, nel senso che coinvolgeranno la società nell’ amministrazione di se stessa. In questo senso la democrazia si può definire come la società che partecipa alla propria autoamministrazione.

La democrazia fa parte della natura dell’autoamministrazione, poiché essa non può che essere partecipativa. Le autoamministrazioni rappresentano l’autorità decisionale che parte dalle più piccole società tribali e si estende fino alle più grandi società nazionali, con caratteri di continuità. Una delle principali crisi delle scienze sociali è che esse non sono in grado di analizzare le deviazioni del potere e dell’amministrazione statale, ed è questo che mantiene tutte le analisi strutturali ed intellettuali in una condizione di caos, prolungando così la portata della crisi. Il risultato è che il potere divora l’intera società e l’ambiente, e allo stesso tempo lascia la democrazia senza contenuti e la riduce a una formalità che si ripete in maniera insignificante. Finché le scienze sociali non slegheranno i concetti di potere e amministrazione democratica, e finché non estenderanno tali soluzioni alla storia e alle altre scienze, non sarà possibile superare né strutturalmente né semanticamente la crisi in ambito scientifico e sociale.

6) POLITICA
La politica è il luogo in cui la società riesce a discutere e ad auto-organizzarsi.

Come il concetto di potere, anche quello di politica rappresenta un fenomeno sociale difficile da comprendere. La politica, che fa pensare sia all’amministrazione sia al potere, ha origini nell’Antica Grecia, e significa “amministrazione della città”. Nonostante ciò, quando ci si riferisce ad essa come fenomeno sociale, la si potrebbe definire sia come sviluppo della società che viene amministrata liberamente, sia come sviluppo dell’individuo. Sebbene contenga in sé il fenomeno dell’amministrazione, la politica non può essere ridotta a quest’ultima. Non può essere identificata né con l’autoamministrazione né con l’amministrazione del potere. Interpretare la politica come un terreno di libertà della società e come un ambito di creazione, dove il progresso si sviluppa grazie al significato e alla volontà, rappresenta un punto di vista più vicino alla sua vera realtà. Inoltre si potrebbe identificare la politica con la libertà, poiché si tratta del fatto che la società arrivi ad avere una consapevolezza della propria esistenza e della propria identità, nel momento in cui le sviluppa e le difende tanto tramite il pensiero quanto tramite l’azione. Quando la politica prende la forma di autoamministrazione, acquisisce un’identità di politica democratica; al contrario, quando viene imposta sotto forma di amministrazione del potere, essa si allontana dalla propria realtà ed essenza e nega se stessa. Il terreno del potere è quello dove viene negata la politica. L’amministrazione statale non può mai essere definita come politica, in quanto è un tipo di potere con certe regole e norme, e il potere in senso stretto è in ogni caso una negazione della politica.

Il terreno in cui le scienze sociali fanno più confusione è quello del potere, dell’amministrazione e delle relazioni politiche. I concetti vengono utilizzati in maniera confusa, come se fossero identici, e di conseguenza tutto il panorama delle scienze sociali risulta erroneo. Le scienze sociali, ispirate all’ideologia liberale, costituiscono un’enorme grattacapo. Prima di tutto, chiamano “politica” tutte le azioni e le pratiche dei sistemi oppressori, mentre gli elementi veramente politici vengono disprezzati ed accusati di essere amministrazioni tribali primitive, espressioni di tendenze locali, che non possono rappresentare gli interessi nazionali all’interno e all’estero. Il grattacapo e la confusione in merito hanno raggiunto dimensioni incredibili. Sebbene la politica sia stata espulsa dalla società da ormai molto tempo e, al suo posto, siano state imposte le regole del potere, il che equivale ad un tradimento, si afferma con incoerenza che si è registrato un gran progresso politico, e che si è raggiunto un livello moderno e civilizzato di politica. Al contrario, in un’area sociale dove è presente la politica, ciò che conta sono gli interessi vitali della società, il suo sviluppo e la sua prosperità tanto a livello strutturale quanto semantico. Le società senza politiche imposte, o con politiche deboli, non possono non essere vittime di poteri coloniali e di annichilazioni esterne, o anche di oppressioni e sfruttamento da parte di élites che nascono al suo interno. Il più grande beneficio che si potrebbe offrire a qualunque società è di portarla al livello di società politica. E ancora meglio far sì che abbia luogo una democrazia continua e strutturale dove la politica democratica funzioni con continuità.

7) ETICA
L’etica è la coscienza, l’insieme condiviso di valori, di una società.

L’etica potrebbe essere definita come la forma della politica forgiata da una tradizione strutturale storica. Si potrebbe anche considerare l’etica come la memoria politica della società. Il fatto che ci siano società che hanno abbandonato l’etica o che sono carenti di etica, significa che hanno perso la propria memoria politica, e perciò la loro forza in termini di regole e istituzioni tradizionali. Per una società questo significa rimanere senza autodifesa e cadere in una situazione a rischio di oppressione, sfruttamento e assimilazione, operate tanto dall’esterno quanto dall’interno.

Il motivo principale per cui i sistemi di potere e le forme statali distruggono costantemente l’etica e cercano di sostituirla con l’imposizione, unilaterale e dall’alto a tutta la società, delle proprie volontà giuridiche (il che rappresenta la forma dell’etica di chi è al potere), è che considerano imprescindibile esporla all’amministrazione e allo sfruttamento del potere in maniera continua e strutturale, distruggendo l’autoamministrazione e la politica.

Una società che sviluppa fortemente la propria etica non si arrende facilmente al potere e allo sfruttamento. Per qualunque società l’etica, comprese le sue forme più negative, primitive o arretrate, è sempre migliore della giurisprudenza e delle amministrazioni “più avanzate” dei poteri e degli Stati. Lì dove esiste una società etica e politica, non solo si rendono innecessari il potere e il diritto, ma diventano un peso difficile da sopportare. Quanto più si voglia rendere una società etica e politica, tanto più la si renderà libertaria ed egualitaria, e dunque resistente agli abusi dei élite del potere e dei monopoli del capitale. Il fatto che le scienze sociali ispirate al liberalismo definiscano la politica come una ragione dell’esistenza dei partiti dello Stato, e la riducano al livello di demagogia, non rappresenta solo una grande menzogna e un tradimento della scienza stessa in nome dello scientismo, ma è proprio la missione che viene loro, alle scienze sociali, assegnata come serve dei monopoli del potere.

8) LEGGE
La legge è l’etica codificata dello stato e strumento di imposizione, protezione e mantenimento del suo potere.

Nonostante tutti i suoi collegamenti alla giurisprudenza e alla giustizia, la funzione principale del diritto è di rafforzare ulteriormente il potere dello Stato e restringere gradualmente l’ambito sociale. Si fa molta propaganda del diritto, però la sua funzione principale non viene rivelata al pubblico proprio per questo stesso motivo: attraverso il diritto si sostituisce la vita con le regole, e mediante la loro difesa e riproduzione, la società rimane senza la propria autoamministrazione e il proprio spazio politico. La società rimane in questo modo sottomessa all’oppressione e allo sfruttamento di classe tramite il diritto e l’amministrazione del potere dello Stato, elementi elaborati unilateralmente dall’alto. Per questo motivo il termine diritto, almeno tanto quanto i termini potere e politica, costituisce un terreno di grande ambiguità molto conveniente per aumentare la confusione.

Lo sviluppo eccessivo del diritto in una società, oltre a rappresentare un retrocedere dell’etica, è un’espressione che rivela l’esistenza di un violento conflitto di classe, e perciò di oppressione e sfruttamento. Le leggi non riflettono né la forza della ragione, né la rappresentazione della giustizia, come si sostiene di solito, bensì la sistematizzazione degli interessi codificati dei monopoli oppressori e sfruttatori. Il fatto che il diritto venga sviluppato in dimensioni così terribili nello sfruttamento capitalista sistematico ha a che fare con la tendenza del sistema a cercare il massimo guadagno possibile in forma illimitata. Se investighiamo storicamente il termine diritto, troveremo il monopolio del potere che si autoproclama re-dio. Il termine diritto rappresenta qui tanto la legittimazione della volontà e l’azione unilaterale del monarca, quanto il suo carattere divino. Il fatto che i concetti di diritto, divinità e dio siano stati identificati proprio per adempiere a questa funzione, dimostra questa realtà.

Potremmo anche definire il diritto come l’etica dei monopoli del potere e dello sfruttamento. L’etica tradizionale contempla molto più il terreno di ciò che esiste a nome della società, mentre il diritto si trasforma nel terreno dell’azione regolamentata dal potere dello Stato, che restringe sempre più il terreno della società. Il fatto che addirittura l’aria e l’acqua diventino temi di diritto, nel quadro della modernità capitalista, concretizza ulteriormente il contenuto del termine diritto, rendendolo più comprensibile.

Il fatto che il diritto sia arrivato gradualmente all’apice delle scienze sociali deriva dalla profonda necessità di coprire le ingiustizie commesse in nome della giustizia, le bugie diffuse in nome della realtà sociale, e il vile incatenamento della vita in nome della vita normata dalle leggi. È per questo motivo che il diritto è uno strumento fondamentale di legittimazione della modernità capitalista.

9) DEMOCRAZIA
La democrazia è il sistema di auto-organizzazione della società precedente all’organizzazione statale, a cui anche oggi si contrappone. Dunque, secondo questa visione, il concetto di “stato democratico” non può esistere.

Il fatto che il concetto di democrazia si utilizzi tanto frequentemente dandone un’interpretazione totalmente contraria alla sua essenza, rende importante arrivare ad una definizione corretta. La democrazia in senso ampio può essere definita come l’autoamministrazione delle comunità che non conoscono Stato né potere. Si include in questa categoria l’autoamministrazione delle comunità di clan, etnie e tribù. Nelle società in cui si sviluppano intensamente lo Stato e il potere, le autoamministrazioni che restano al di fuori dell’amministrazione del potere e dello Stato possono essere definite come democrazia in senso stretto. Nelle società statali non ci sono amministrazioni democratiche né dispotiche in forma pura, bensì vi sono amministrazioni in cui si fondono i due aspetti, e ciò genera regimi esposti alla degenerazione del potere e anche della democrazia. In linea con la sua natura, il potere statale fa regredire la democrazia e la limita nei suoi rapporti con la società. Le forze della democrazia cercano sempre di ampliare i propri limiti disconoscendo e disobbedendo allo Stato.

L’essenza del problema deriva dal conflitto tra lo Stato che si finge democrazia, e la democrazia che cerca di trasformarsi in Stato. Questa confusione si è sviluppata in maniera sistematica nella civiltà europea. Nonostante ciò, nelle società orientali sono più profonde le differenze tra la natura sociale e lo Stato. Il fatto che il potere dello Stato venga limitato dalle Costituzioni e che anche la società sia limitata dalla democrazia rappresentativa, stempera lo shock dei violenti conflitti tra i due, e rende possibile un certo livello di convivenza tra essi. In realtà l’obiettivo di questo modello, sviluppato dalla modernità capitalista, è comandare appianando le contraddizioni di classe. Da un lato la modernità capitalista applica una forma più intensa ed estesa di potere statale su tutte le forze sociali, come vediamo nello Stato-nazione, e d’altro lato finge di consentire agli oppressi dal sistema di accettare la democrazia parlamentare come specchietto per le allodole, in cambio del loro silenzio. Dev’essere questo fenomeno quello che viene definito democrazia liberale.

Salvare la democrazia sociale da questo processo è possibile solo sviluppando le autoamministrazioni democratiche. Sviluppare tali amministrazioni, senza identificarle con il potere dello Stato né con il nome di dittatura popolare o del proletariato, è il modello che più si avvicina ad una soluzione corretta. L’essenza e il privilegio dell’autoamministrazione democratica è che essa non viene statalizzata in nome del popolo, né si trasforma in una semplice articolazione dello Stato. Al di fuori di questo cammino è difficile superare le deviazioni a destra e a sinistra della democrazia liberale. La forza essenziale dell’amministrazione del liberalismo si trova nel monopolio dello Stato e dell’economia, indipendentemente dal fatto che essa si mostri come democrazia liberale classica o come democrazia popolare di stampo socialista reale. La missione che ricade sulla società è la costruzione delle proprie forze di modernità democratica contro le forze della modernità capitalista nel presente, e contro le forze della civilizzazione nel corso della storia. Il ruolo storico della modernità democratica non è la distruzione dello Stato né il costruirsi come Stato bensì, senza dissolversi nello Stato né trasformarsi in un suo prolungamento civile, dotarsi di significato e struttura in tutti i campi della società.

10) ECONOMIA
L’economia è l’organizzazione tesa al soddisfacimento dei bisogni di una società.

È molto importante poter individuare una definizione che limiti il concetto di economia, soprattutto perché essa viene elevata a feticcio. Il liberalismo rende impossibile arrivare a una definizione corretta di economia poiché, riducendo tutto ad essa, finisce per considerare “economia” tutti i fenomeni che in realtà sono ad essa contrari. Potremmo definire l’economia come l’insieme di azioni necessarie perché la società possa soddisfare i propri bisogni materiali imprescindibili. La sua espressione istituzionale e regolamentata sarebbe la definizione di economia in senso ampio, mentre in senso stretto potremmo definirla come lo scambio di beni materiali all’interno del mercato. Sebbene l’economia di mercato, che si basa sul valore di scambio e non sul valore d’uso, sia la definizione comunemente adottata. Bisogna comprendere che il capitalismo, allo stesso modo in cui fa degenerare il terreno della democrazia, così svuota di contenuto il terreno dell’economia, collocandolo sotto l’oppressione e lo sfruttamento dei monopoli capitalistici e statali.

La definizione di economia viene fatta coincidere con l’attività dei monopoli capitalisti sui mercati stabiliti sotto la protezione dello Stato-nazione. In questo modo l’economia è negata e sostituita dal sistema monopolista di massimizzazione del profitto commerciale, industriale e finanziario, che non solo non è economia ma è proprio la negazione della vera economia dei bisogni. È questo sistema viene presentato in maniera molto pomposa, legittimato nel quadro della “scienza dell’economia”, come se l’attività economica da tempi immemorabili fosse stata costituita da questi monopoli. Questa attività potrebbe anche essere interpretata come attività di terrorismo economico, poiché la società viene distrutta economicamente, il mercato è occupato e trasformato in un terreno di profitto, e i monopoli capitalisti sono ancora una volta una macchina speculativa che guadagna denaro dal denaro, distruggendo ed eliminando le relazioni della società con l’economia per mezzo degli strumenti finanziari. In realtà questa è la più grande catastrofe sociale, senza precedenti nella storia.

L’era del capitale finanziario è quella dell’apice della distruzione dell’economia e della società. Ci troviamo di fronte a un mostro che costringe quasi metà della società alla disoccupazione, che trasforma la produzione di armi in un settore economico fondamentale con il nome di industria degli armamenti, che hanno come unico obiettivo i profitti e non contemplano nessuna relazione con le necessità imprescindibili della società, che distrugge l’ambiente, che trasforma in merce e profitti tutti i beni comuni della natura e della società, che ha un carattere antisociale, anti-umano e anti-naturale. L’aspetto più grave e preoccupante è che le vittime principali di tutto ciò sono le donne e i giovani, obbligati a vivere esclusi dalla vita economica, situazione in cui il loro lavoro smette di essere riconosciuto come utile alla società. La contraddizione arriva al grottesco nel momento in cui gli Amministratori Delegati delle società per azioni sono presentati come i baroni dell’economia, quando in realtà non hanno nulla a che fare con essa in quanto non sono altro che lupi molto eleganti provenienti dall’amministrazione del potere. I monopoli oligarchici provocano cancri sociali al punto tale da far impallidire quelli provocati dal potere statale, in quanto allontanano la maggior parte della società dalla vera economia, rompendo i tessuti sociali e trasformando l’affanno per il profitto nell’unico istinto sociale. Tenendo questi aspetti in considerazione, insieme al fatto che le loro relazioni con la società hanno come unico obiettivo quello di costruire e propagare i propri monopoli di sfruttamento, è di vitale importanza non solo non considerarli economia, ma anche considerarli chiaramente l’effettiva negazione dell’economia.

Dobbiamo dunque definire correttamente i sacerdoti moderni e smascherare le loro vere funzioni, poiché essi mitizzano e nascondono gli interessi delle forze antisociali mille volte di più di quanto facevano le invenzioni mitologiche nell’era dei sacerdoti Sumeri, ai giorni nostri nel nome della scienza dell’economia politica, nell’era della modernità capitalista. Vanno inclusi tra questi gli A.D. delle aziende, senza sottovalutare lo Stato-nazione che rappresenta un sistema di forza di questo moderno ordine sacerdotale.

Il Capitale di Marx, scritto per creare una scienza del sistema come se questo avesse una base legittima, deve essere reinterpretato. Il suo autore è stato colui che più ha affrontato il capitalismo in nome della scienza, e nonostante abbia tentato di smascherarlo in molti campi lo ha presentato come un sistema storicamente inevitabile, ed è questo il principale motivo per cui il marxismo è stato abbandonato. Il fatto che il socialismo reale abbia occupato il suo posto nel sistema offrendo un gran servizio al liberalismo, come abbiamo potuto vedere con l’esperienza sovietica e con quella cinese, è strettamente collegato a questa questione. Ridurre le scienze sociali all’economia e destinare l’economia all’analisi del sistema capitalista, il che significa una continua negazione dell’economia, è l’essenza della crisi in campo scientifico. Finché non sarà superata la crisi dell’economia politica, che porta tutte le scienze sociali alla crisi, non sarà possibile superare la crisi sociale generale né la follia della modernità capitalista.

11) ASSIMILAZIONE
L’assimilazione è la pratica colonialista statale di annientamento di una società, tesa all’assoggettamento e la resa in schiavitù della società stessa, messa in atto da una parte con l’uso della forza fisica, della violenza, della repressione, dall’altra provocando condizioni di vita sempre più precarie.

Il concetto di assimilazione descrive le relazioni e le azioni unilaterali che i monopoli del potere e del capitale effettuano nei confronti dei gruppi sociali da assimilare, che vengono sottomessi in condizioni di schiavitù o ridotti a proprie articolazioni. L’aspetto essenziale dell’assimilazione è la formazione di schiavi per la macchina del potere e dello sfruttamento al minor costo possibile. Il gruppo che viene disperso, poiché viene distrutta la sua identità e la sua resistenza, viene sottomesso in una condizione dove gli schiavi migliori vengono scelti per servire l’élite dominante. La funzione principale degli schiavi assimilati è di assomigliare il più possibile ai propri padroni, fino a mettere in campo qualunque sforzo pur di dimostrare di essere articolazioni e prolungamenti dei propri padroni al fine di ottenere un posto per se stessi nel sistema. Non hanno altra possibilità. Per poter vivere, l’unica opzione che hanno è di abbandonare la propria identità sociale e adattarsi al meglio alla cultura dei propri padroni. La società che subisce l’assimilazione è costituita da macchiette di persone senza etica né mentalità, che sono le più docili, lavoratrici e competono per essere i migliori lacchè. Questi individui non prendono alcuna decisione né effettuano alcuna azione in maniera libera. Sono stati costretti a tradire tutti i valori della loro identità sociale, e sono ridotti ad animali con abitudini di esseri umani, poiché vivono con il solo obiettivo di riempirsi lo stomaco. L’élite dominante utilizza due armi fondamentali per imporre l’assenza di identità alla società da assimilare: la prima è la forza fisica, la violenza vera e propria, che prima di qualunque tentativo di ribellione mostra continuamente la spada pronta ad uccidere. La seconda è la costrizione a fronteggiare la fame e la disoccupazione, così da rendere valida la seguente legge di ferro: “se insisti con la tua identità culturale e non ti trasformi in un servo come vuole il tuo padrone, o morirai decapitato o morirai di fame”.

Il meccanismo fondamentale che l’élite dominante utilizza per questo obiettivo è di chiudere tutte le strade dello sviluppo culturale, strutturale ed intellettuale di quelli che si interessano alla cultura assimilata, e di quelli che vivono in essa, così che non abbiano alcuna possibilità di vivere. Oltre a chiudere tutte le porte dello Stato a quelli che hanno rapporti con la cultura assimilata e alle persone, gruppi ed istituzioni che lavorano per la sopravvivenza di questa cultura, vengono prese tutte le misure, con metodi segreti o pubblici, morbidi o duri, perché vengano espulsi anche dai terreni sociali non statali. Le persone e le istituzioni che inizialmente lavorano con la cultura assimilata, quando comprendono che vengono loro chiuse tutte le porte e che la loro vita sarebbe in pericolo se insistessero, o si adattano alla società dello Stato-nazione dominante oppure cercano di salvarsi organizzando la resistenza. Questo meccanismo non si applica solo ai popoli e alle comunità etnicamente oppresse, ma anche a specifici gruppi etnici e classi oppresse della nazione a cui appartiene l’élite dominante, che ricevono parte del castigo nel processo di assimilazione che subisce la società, e allora sono messi di fronte alla possibilità di perdere i propri dialetti e i propri valori culturali ancora liberi.

Il popolo curdo, che è la maggiore vittima di assimilazione in Medio Oriente, rappresenta un chiaro esempio in questo senso. Insistere nel mantenere l’identità curda significa rischiare un processo che arriva fino al genocidio. Una persona di origine curda, per quanto competente o abile, finché non adotti volontariamente le politiche culturali dello Stato-nazione dominante vedrà chiudersi davanti a sé tutte le porte per il proprio sviluppo personale e istituzionale. Oppure vedrà che le porte si apriranno, fino anche a diventare Presidente della Repubblica, se decide di arrendersi volontariamente, altrimenti dovrà essere in grado di sopportare tutti i problemi e le catastrofi che le accadranno, che potranno arrivare fino al genocidio, se non si arrende e decide di resistere.

12) GENOCIDIO
Il genocidio è la pianificazione di sterminio, fisico e/o culturale (“bianco”), di un gruppo specifico di persone, e rappresenta il passo successivo all’assimilazione, laddove questa ha fallito.

Il genocidio, come seguito del fenomeno dell’assimilazione, ha come obiettivo la liquidazione completa, fisica e culturale, dei popoli minoritari, dei gruppi religiosi ed etnici di tutti i tipi, quando non possano essere tolti di mezzo con l’assimilazione. A seconda della situazione si utilizza l’uno o l’altro metodo. Il metodo del genocidio fisico si utilizza contro i gruppi culturali che si trovano in una posizione di superiorità rispetto alla cultura dell’élite dominante, ovvero la cultura dello Stato-nazione. Il tipico esempio è quello dei genocidi messi in atto contro le culture e i popoli armeni ed ebrei. In particolare gli ebrei, che nel corso della storia sono stati in posizione di superiorità culturale a livello materiale e morale, sono stati sottomessi a colpi di stato, annichilazioni, pogrom e genocidi.

I genocidi culturali, ovvero il secondo metodo, sono applicati ai popoli, alle comunità etniche e ai gruppi religiosi deboli e poco sviluppati in confronto alla cultura dello Stato-nazione dominante e dell’élite. Per mezzo del genocidio culturale, che è il meccanismo fondamentale, si vuole liquidare completamente questi popoli e gruppi etnici e religiosi all’interno della cultura dell’élite dominante. Il genocidio culturale è una forma di genocidio più dolorosa dell’eliminazione fisica, poiché può essere portata avanti a lungo termine. Le sue conseguenze sono più catastrofiche di quelle del genocidio fisico, poiché rappresentano la più grande catastrofe che un popolo possa subire nel corso della propria vita. La rinuncia forzata all’esistenza, all’identità e a tutti gli elementi culturali della propria natura sociale è uguale ad una crocifissione di massa che si protrae nel lungo periodo. Si potrebbe quindi parlare di un’agonia nell’angoscia, invece di vita, poiché i valori culturali vengono sottoposti a genocidio. Gli illimitati tormenti che la modernità capitalista fa soffrire alle classi e ai popoli oppressi, abbandonati alla disoccupazione al fine di massimizzare i profitti, non partono solo dal fatto che essi vengono sfruttati materialmente, ma anche dal dolore che provano per la crocifissione dei propri valori culturali.

Il genocidio culturale curdo, che a volte ha anche caratteristiche di genocidio fisico, è uno degli esempi più scioccanti e tragici che mostra il vero volto della modernità capitalista.

Nota: I testi in corsivo ridotto relativi ai 12 CONCETTI sono tratti dallo scritto di A. Ocalan “La questione curda e la soluzione della nazione democratica” del 2010. Quindi i riferimenti alla società curda riguardano quell’epoca. Oggi il paradigma del Movimento di Liberazione del Kurdistan risuona in tutto il medio-oriente e nel resto del mondo, e gode di un’altissima attenzione non solo per la repressione che subisce in quanto esempio a noi contemporaneo di sperimentazione rivoluzionaria, ma anche per l’interesse che per lo stesso motivo suscita in tutti e tutte coloro che si battono per una vita libera, pacifica e solidale.

a cura del Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia