Processo a Selahattin Demirtas
Selahattin Demirtas (*), l’ex membro del parlamento nazionale della Turchia, è in carcere dal 4 novembre 2016 e ha difeso la sua posizione dal 2 all’8 gennaio nel contesto del maxi processo Kobane, dove figura come uno dei 108 imputati.
L’ex co-presidente del Partito Democratico dei Popoli, avvocato, Selahattin Demirtas, è stato parlamentare dal 2007 al 2014. Nel 2014 si è candidato per la presidenza della Repubblica, ottenendo il 9,7% dei voti. Nonostante la sua attuale situazione penitenziaria, ha tentato nuovamente nel 2018, raccogliendo l’8,4% dei consensi. Prima della sua carriera politica, Demirtas, avvocato e cittadino curdo di Diyarbakir/Amed (Turchia), si è dedicato ai processi legati alla violazione dei diritti umani nel sud-est della Turchia.
La detenzione di Demirtas rappresenta forse uno dei processi più singolari nella storia della Repubblica. Demirtas è stato preso in detenzione provvisoria presso la sua abitazione e è stato portato con un elicottero militare al carcere lo stesso giorno. Nel 2020, la Corte Costituzionale turca ha affermato che nel processo a carico dell’ex parlamentare sono stati violati diversi diritti, pur considerando la sua detenzione “giuridicamente corretta”. Nello stesso anno, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) ha definito “politica” la sua detenzione, chiedendo immediatamente il suo rilascio. Questa decisione è stata confermata alla fine del 2020 anche dalla Grande Camera della Cedu. Tuttavia, nonostante le decisioni, vincolanti anche a livello costituzionale, esse sono state ignorate dalla magistratura turca e contemporaneamente il governo non ha mai smesso di criminalizzare Demirtas, definendolo un “terrorista”.
Nel corso degli anni, Selahattin Demirtas è stato assolto diverse volte o condannato a breve detenzione. Nonostante sarebbe potuto essere scarcerato, dopo ogni decisione a suo favore, il collegio dei giudici avanzava nuove accuse, aprendo un nuovo processo e confermando la sua detenzione.
In questo ultimo procedimento che riguarda gli scontri (46 morti) avvenuti dal 6 al 7 ottobre del 2014, in diversi angoli della Turchia durante le manifestazioni solidali con la resistenza di Kobane(Rojava) contro l’organizzazione terroristica ISIS, Selahattin Demirtas è sotto processo con “l’accusa di incitamento all’odio”, e non solo. Demirtas è sotto processo anche per via dei discorsi pronunciati all’interno del parlamento nazionale, godendo dell’immunità parlamentare. Nell’ultima udienza, Demirtas non è stato portato in aula ma ha partecipato tramite videoconferenza dal carcere di alta sicurezza di Edirne, collegandosi con il tribunale penale numero 22 di Ankara, situato nel campus del carcere di Sincan.
Di seguito sono riportati alcuni passaggi del suo lungo discorso, che forniscono un’analisi utile anche per comprendere alcuni aspetti giuridici e politici del processo.
“Sono qui per rispondere alle accuse relative a un mio discorso tenuto nel 2013 in cui parlo di un personaggio storico, Seyh Said (1865-1925), e vengo accusato di ‘apologia di reato’. Inoltre, mi si imputa il sostegno alle organizzazioni terroristiche in base a foto scattate presso le montagne di Kandil con alcuni membri del PKK. Tuttavia, va precisato che in quel periodo facevo parte della Commissione di Imrali e siamo stati inviati lì proprio per incontrare alcuni membri del PKK. Ciò che oggi è definito ‘propaganda terroristica’ era stato svolto con la benedizione del governo e dei servizi segreti. Ora mi trovo qui per difendermi riguardo ai discorsi che ho pronunciato anni fa durante i congressi ordinari del mio partito. Dopo tanti anni, oggi mi si accusa per ciò che ho detto all’epoca come ‘propaganda terroristica’. Non credo che rispondere a tali accuse sia necessario, ma userò il mio diritto alla parola.”
“Mi trovo qui sotto processo a causa delle mie idee. Potete criticare le mie idee, ma non potete processarle. Negli anni, decine di sindaci eletti del mio partito sono stati sospesi e sostituiti da commissari straordinari, che ho definito figure antidemocratiche e simbolo di un colpo di stato. Oggi mi si sta processando per queste parole, e io mantengo la stessa opinione anche oggi.”
“In Turchia, la politica deve essere democratizzata. I partiti politici, man mano che acquisiscono potere, si allontanano dal popolo. Dobbiamo costruire una democrazia diretta, una democrazia radicale. I partiti politici devono consultarsi con i loro iscritti, e le richieste devono arrivare fino al consiglio del partito. Il potere deve tornare nelle mani del popolo. Anche per la soluzione della questione curda, è fondamentale coinvolgere direttamente la popolazione.”
Demirtaş ha anche delineato sette suggerimenti per risolvere il problema curdo:
1. Assicurare la fine della lotta armata attraverso negoziati con gli interlocutori. Ottenere risultati rapidi, efficaci e permanenti mediante l’adozione di norme giuridiche in merito.
2. Rimuovere tutti gli ostacoli giuridici e amministrativi alla politica democratica, adeguando le manifestazioni, gli scioperi, le marce, i presidi, la libertà di associazione e la libertà di espressione agli standard internazionali.
3. La soluzione definitiva della “questione curda” è nelle mani della Grande Assemblea Nazionale turca. A tal fine, tutti i partiti politici dovrebbero impegnarsi per la soluzione, con l’obiettivo principale di risolvere non solo la “questione curda”, ma tutti i problemi sociali mediante una nuova costituzione civile e libertaria.
4. Accettare i curdi come popolo, garantendo il libero uso della loro lingua madre in tutti gli ambiti sociali, preservando e sviluppando la propria storia e cultura, e garantendo la loro organizzazione con una propria identità, con la costituzionale riconoscenza del diritto all’autogoverno.
5. Investigare sui dolori vissuti in passato e sui crimini commessi, garantendo che la verità venga affrontata.
6. Abbandonare l’ideologia ufficiale e l’imposizione della storia ufficiale, riorganizzando lo Stato con un modello scientifico e storico oggettivo per costruire una Repubblica democratica, con transizione a un’educazione pedagogica e scientifica critica.
7. Abbandonare le azioni penali connesse alla questione curda, abolire la legge antiterrorismo (TMKK) e liberare tutti i prigionieri politici.
“In questo modo, ciò che verrà tolto dalle tasche e dai tavoli di 84 milioni di persone sarà investito in sviluppo, anziché in guerre, sangue e lacrime. Attraverso il sostegno della popolazione curda, la Repubblica di Turchia rafforzerà la sua missione di pace regionale. Tutti i curdi, specialmente quelli che vivono in Siria, Iraq e Iran, assisteranno al rafforzamento della democrazia e dell’economia turca. La cosa più importante è che non ci saranno più morti, funerali di giovani, né cuori di madri e padri spezzati. La polarizzazione sarà fuori dall’agenda, e vivremo insieme in una Turchia più pacifica, trasformando la vita in un’affermazione onorevole e virtuosa per tutti.”
“Rivolgo il nostro appello principalmente ai nostri fratelli turchi di Edirne, Izmir, Samsun, Adana, Kırşehir e soprattutto di Ankara. Noi curdi sosteniamo la convivenza in tutte le 81 province. Vogliamo solo garanzie politiche attraverso il rispetto della nostra lingua, cultura e volontà politica. Questi sono i nostri diritti più naturali, fondamentali e umani. Se il popolo turco si considera fratello, dovrebbe difendere i diritti del popolo curdo più fortemente di noi. Ora dobbiamo risolvere i nostri problemi di identità e fede, lottando insieme contro la povertà e la disoccupazione. La vera lotta di classe è la lotta per il lavoro e per il pane. Finora abbiamo cercato di portare avanti entrambe le lotte intrecciate, ma se risolviamo i problemi legati all’identità nazionale e alla fede, la lotta di classe può essere condotta con maggiore forza.”
“A questo scopo, ci rivolgiamo alle forze socialiste e di sinistra turche, sperando che contribuiscano a una soluzione pacifica della ‘questione curda’. Anche il nostro partito, il Partito DEM, dovrebbe essere sicuro di sé e avere spirito di iniziativa nel garantire la pace. Deve utilizzare al massimo la sua competenza e volontà per trovare una soluzione pacifica. Noi, il popolo curdo, cerchiamo una soluzione da 150 anni, pagando un prezzo alto per questa soluzione. Questo processo è uno di questi. Giunti alla fine di questa seduta, vorrei dirlo ancora una volta con tutto il cuore. Lasciamo che il prezzo che paghiamo porti alla pace; persino rinuncerei alla mia vita per questo. Spero che tutti traggano le giuste lezioni da tutto questo. Ritorniamo al tavolo delle trattative. Raggiungeremo la pace che abbiamo promesso al nostro popolo.”
“Infine, desidero ringraziare tutti coloro che durante queste udienze ci hanno dimostrato la loro solidarietà altruistica e sincera. Tutti i prigionieri politici nelle carceri ci hanno dimostrato una grande solidarietà. Un ringraziamento speciale va a tutta la nostra gente che non ci ha lasciato soli, a tutti i politici del mio partito, agli avvocati amici che gestiscono questo caso forse più complicato della storia, agli avvocati del nostro partito detenuti nel carcere di Sincan e che speriamo saranno liberati quando questo processo sarà concluso, alle mie figlie, a mia moglie, ai miei consiglieri, un ringraziamento infinito ai miei avvocati, ai compagni di cella e ai compagni di processo. È un onore essere processato. Ci vediamo nei giorni liberi. Viva la nostra lotta per la libertà.”
Di Murat Cinar
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(*)
Abbiamo avuto il privilegio di conoscerlo proprio nella sua città Diyarbakir/Amed (Turchia), con Amed a volte scritto in caratteri più grandi, perchè il cuore, in quella parte di Anatolia orientale, ha i colori del Kurdistan. In una grande piazza con palazzoni ai lati e un vecchio autobus come palco ha ripetuto quel che l’amico Murat ci ricorda: “Mi trovo qui sotto processo a causa delle mie idee. Potete criticare le mie idee, ma non potete processarle. Negli anni, decine di sindaci eletti del mio partito sono stati sospesi e sostituiti da commissari straordinari, che ho definito figure antidemocratiche e simbolo di un colpo di stato. Oggi mi si sta processando per queste parole, e io mantengo la stessa opinione anche oggi.” Parole semplici, dirette che ben rappresentano la situazione attuale della Turchia. Persona misurata e affabile, mai rissosa, attenta a mantenere buoni rapporti con le autorità turche e con le forze di Polizia. Persona che non ha mai inneggiato alla lotta di armata, che ha seguito ( e segue) i principi della “resistenza non-violenta“. Proprio per questo è ancora più pericoloso e, purtroppo, si trova a trascorrere buona parte della sua vita in carcere, con la massima delle privazioni possibili…quella di poter discutere e fare riflessioni con qualcuno. Solo anonimi muri metallici e luci continue… Freddezza e senso di inutilità.
Quindi… l’intervento di Murat Cinar diventa ancora più prezioso. (n.d.r.)
da Città Futura Online