Piantar alberi lungo le rive del Tigri

È ormai mezzo secolo che i governi turchi minacciano di cancellare Hasankeif, un villaggio kurdo di 12 mila anni dal valore culturale inestimabile, sommergendolo sotto trenta metri d’acqua. Il progetto della diga Ilisu non è stato archiviato e 55 mila persone continuano a vivere sotto la minaccia di una devastazione sociale, ambientale e culturale che il mondo conosce da tempo. Grazie alla straordinaria resistenza del popolo kurdo e al tenace impegno di persone innamorate della dignità di quella gente perseguitata. Alla vigilia di un nuovo viaggio di solidarietà, una di loro racconta l’emozione del prossimo incontro con l’albero che ha piantato per dire che Hasankeif deve vivere.

È l’alba il momento migliore per cogliere tutta la magia. Il silenzio è rotto solo dal rumore delle greggi che si avviano al pascolo e dallo sciabordìo dell’acqua. I raggi del sole fanno capolino dai monti mentre, nelle case e nelle grotte ancora abitate, le donne iniziano a cucinare e a preparare i figli per la scuola. Tante volte sono stata ad Hasankeif, l’ultima nel 2013. Alla vigilia di un nuovo viaggio, ecco il racconto di uno di quei giorni.

Mi avvio verso il sito archeologico, mentre sul minareto rivedo il nido delle cicogne, salgo piano piano e ogni tanto una donna mi invita a casa sua per un ciai (the). Non parliamo, non abbiamo una lingua comune,  ma ci abbracciamo e, con le poche parole di kurdo (lingua vietata in Turchia)  che ho imparato, le faccio capire che condivido la sua lotta. Poi proseguo fino ad arrivare in cima. Non sono sola, anche gli altri compagni e compagne della delegazione italiana di solidarietà col popolo kurdo sono arrivati. Srotoliamo lo striscione  su cui è scritto “Hasankeyf deve vivere”, mentre due elicotteri dell’esercito sorvolano la zona e alcuni militari in borghese ci seguono. Lo faranno per tutta la giornata.

Il pomeriggio è dedicato a riunirci con i tanti Kurdi e le tante Kurde della zona per piantare degli alberi lungo le rive del Tigri. Quegli alberi servono a mostrare in forma simbolica la volontà di dare un futuro a questa terra. Ognuno dà un nome a una di quelle esili piante che, in fretta e furia, collochiamo  nelle buche che gli abitanti ci hanno già scavato. La mia si chiama Azadì, libertà (so che oggi è ancora viva e ha fatto  foglie e fiori). Ripartiamo velocemente, perchè  i militari, questa volta anche in divisa,  ci urlano qualcosa che non sembra preludere a nulla di buono.

So, per esperienza, che gli idranti, i lacrimogeni e i gas urticanti dell’esercito turco lasciano un brutto ricordo, ma è sempre un ricordo momentaneo. Negli occhi e nel cuore, porto la lotta e la speranza di questo popolo fiero e ribelle: il popolo senza una terra più numeroso del pianeta. La maggior parte dei Kurdi vive nella Turchia orientale. Dal 1920 chiedono sia riconosciuto il loro diritto ad esistere e che la loro lingua, la loro storia e la loro cultura vengano finalmente rispettate. Non l’hanno ancora ottenuto. Hanno cercato il dialogo, hanno usato le armi per difendersi, hanno proposto una soluzione negoziata… La Turchia non li ha mai ascoltati scegliendo invece sempre la violenza e la spietatezza… eppure i Kurdi continuano a resistere e a gridare “Biji (viva) Kurdistan”.

Sotto trenta metri d’acqua

Hasankeyf è un villaggio kurdo nel triangolo compreso tra Diyarbakir, Batman e Mardin, nella Turchia sud orientale; è un museo all´aperto che ha 12mila anni, arroccato sulle sponde rocciose del Tigri. Le sovrapposizioni di civiltá e culture dell’intera regione si mostrano nelle tracce di antichissimi insediamenti umani, con le centinaia di grotte, l’elegante minareto della moschea El-Rizk e, sulla riva opposta, le tombe monumentali, una cupola su cui sono visibili le tessere di ceramica azzurra che ricordano la vicina arte persiana. Oggi tra le vestigia di Hasankeyf vivono pastori e agricoltori kurdi, ma anche artigiani, venditori di souvenir, e qualche ristoratore, di fronte ad una vista mozzafiato.

Nel 1954 il governo turco ha iniziato a elaborare il progetto di una diga, Ilisu, che una volta completata sommergerebbe Hasankeyf sotto 30 metri d´acqua.
 Ilisu fa parte del progetto Gap, Progetto Idrico per l’Anatolia Sud-Orientale, che prevede la costruzione di dighe e centrali idroelettriche lungo l’alto corso del Tigri e dell’Eufrate, parte del progetto è già stato realizzato.
 Ilisu sará la seconda diga del paese, con una capacitá di circa 12 MW e una superficie di 313 km2, sommergerá 6mila ettari di terre arabili e il bacino idrico che si formerá inonderá una valle lunga 136km.
Sparirà anche Hasankeyf   e più di 200 insediamenti umani  costringendo in tutto 55mila persone allo sradicamento, alla perdita del lavoro, delle case, al trasferimento forzato, senza riallocazione, in altre zone del paese, esposte all’esclusione sociale e all’emarginazione.
Inoltre Ilisu nascerá a soli 65 km dal confine con la Siria e l´Iraq, dove il controllo delle acque del fiume da parte della Turchia avrá particolari ripercussioni su equilibri geo-politici giá delicati e sulle popolazioni civili.

Ora Hasankeyf,  sta diventando zona proibita, mentre proseguono gli sforzi per farla includere nel patrimonio mondiale dell’Unesco. Nonostante la sentenza del Consiglio di Stato abbia  sospeso i lavori sul progetto a causa dell’assenza di una relazione  ambientale, sono stati messi sbarramenti intorno al ponte della città vecchia di 12.000 anni per impedire l’accesso ai visitatori. che non potranno nemmeno recarsi nelle grotte  del sito archeologico, dopo la caduta di una roccia.

La polizia ha messo un posto di blocco sulla strada, impedendo l’accesso. E infine vigilanti della ditta incaricata del progetto fermano i turisti che vogliono fotografare il vecchio ponte che è stato circondato di sbarramenti per proteggerlo dall’acqua che salirà una volta che sarà costruita la diga.

di Nelly Bocchi