Mahsum Korkmaz, “Agit”: lo spirito del 15 agosto

Si ritiene che il corpo di Agit, comandante del PKK, riposi a Newala Kasaba. Camminare in quel luogo fa rivivere la storia.

Newala Kasaba: due parole che il popolo curdo conserva nella propria mente come se vi fossero state scolpite. Ed è davvero così.

Newala Kasaba concentra forse in sé moltissimo di quello che è la sporca guerra contro il popolo curdo. Insieme con Kobane ed Afrin, così come molti altri nomi…

Newala Kasaba è un ampio campo collinare, nelle immediate vicinanze di Siirt. Potrebbe essere una discarica e, di fatto, vi si può [anche] trovare dell’immondizia. Ma basta percorrere un paio di metri per capire che questa terra nasconde qualcosa di più orribile e terrificante.

Emergono alla superficie, dal di sotto, borse nere simili a quelle dell’immondizia. Ma non contengono rifiuti. Vengono fuori parti di indumenti, a rivelare ciò che è davvero nascosto sotto questo campo. Salgono alla superficie delle ossa. La gente di Siirt sa da molto tempo ciò che nascondono questi campi.

[Sa] quale verità sia stata sepolta qui per non venire più alla luce, nelle intenzioni di chi ha commesso il crimine orribile del rapimento, della tortura, delle uccisioni e che, infine, ha gettato via quei corpi come fossero spazzatura.

Newala Kasaba è un enorme fossa comune, o meglio un cimitero. Un cimitero in cui sono stati sepolti gli orrori delle forze dello stato turco contro i curdi. Eppure la verità non può essere sepolta per sempre. E infatti chi è stato sotterrato laggiù sta lottando per venire fuori, per ricordare a tutti gli orribili e crudeli crimini commessi dallo stato turco.

Si ritiene che oltre 100 corpi siano sepolti a Newala Kasaba. Alcuni affermano che possano essere addirittura 200. Tra questi ci sarebbe uno dei fondatori del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), Mahsum Korkmaz. Qualcuno indica persino il luogo in cui riposerebbe: una cinquantina di metri dall’ingresso del sito.

Un uomo anziano, barba e capelli bianchi, racconta la storia di questa tragedia continua. “Mio figlio fu portato via dai gendarmi e condotto alla stazione di gendarmeria.

Fu torturato per giorni e alla fine morì. Sapevamo che era stato portato alla stazione e abbiamo chiesto di lui. Ci dicevano che non si trovava lì. Ci dissero che in realtà non aveva mai varcato la soglia della gendarmeria. Eppure sapevamo che si trovava lì.”

I giorni passarono e l’anziano signore non riusciva ad avere nessuna risposta. Non perdette le speranze di trovare suo figlio, sebbene col passare del tempo sapesse che la situazione non era buona, non era affatto buona. “Alla fine scoprì che era morto per le torture. Ritornai alla gendarmeria per richiedere il suo corpo. Mi dissero ancora una volta che mi sbagliavo, mio figlio non aveva mai varcato quel cancello.”

Girava voce dalla fine degli anni ’80 che a Newala Kasaba, insieme alla spazzatura, fossero state gettate nei campi anche borse contenenti i resti della gente uccisa dalla famigerata Jitem (un corpo speciale dell’esercito).

La realtà di Newala Kasaba alla fine venne alla luce e dall’inizio degli anni ’90 i parenti delle persone scomparse reclamano il proprio diritto a ritrovare [i corpi de]i propri cari.

Ma i giudici non concedono il permesso di eseguire scavi nel sito. E così chi è stato seppellito laggiù è iniziato a tornare in superficie. È davvero emotivamente molto difficile camminare lungo Newala Kasaba sapendo che lì sotto sono state sepolte così tante persone, in fretta e furia e senza alcun riguardo. Ed è proprio questo che colpisce: lo stato turco ha commesso crimini tremendi sapendo che avrebbe goduto della totale impunità.

Hanno ucciso della gente sapendo che non avrebbero mai dovuto renderne conto. Ma i tempi stanno pian piano cambiando. Le associazioni della società civile, con l’aiuto del BDP (Partito della Pace e della Democrazia), hanno avviato una forte iniziativa per chiedere al governo di aprire le fosse comuni (si ritiene che vi siano tra i 200 e le 3000 persone [sepolte]).

Mahsum Korkmaz, “Agit”, è stato il primo comandante del PKK. Condusse le azioni del 15 agosto 1984 che diedero inizio alla ribellione armata nel Bakur. Perse la vita il 28 marzo 1986, cadendo da martire.