Le donne di ReteKurdistan: La Rivoluzione delle donne comincia in Rojava e non ha confini

Nel nord nella Siria c’è una regione che da più di tre anni ha proclamato l’autogoverno: il Rojava. In quella regione le donne kurde – che combattono contemporaneamente contro la violenza di Isis/Daesh, dello stato turco e dell’intero sistema
patriarcale – sono protagoniste della trasformazione in tutti i campi e da loro ci arrivano importanti suggestioni.

Dall’autodifesa, all’economia, all’educazione, ci hanno mostrato come sia possibile essere presenti in tutti gli ambiti senza perdere la propria specificità di genere; la gineologia ha fornito un nuovo paradigma per rifondare le scienze e la vita comunitaria in senso non oppressivo, cercando di ristabilire i legami tra conoscenza e libertà che erano stati lacerati; l’autodifesa ha confermato che l’unica vera sicurezza per le donne è autodeterminata e solidale.

Donne per il confederalismo democratico, contro iL patriarcato

Lo stato–nazione è l’istituzionalizzazione del dominio patriarcale e capitalista, nei paesi occidentali come in quelli mediorientali e in tutto il resto del mondo. Al contrario, la rivoluzione in atto nel Rojava si fonda sul confederalismo democratico, cioè sulla convivenza pacifica e non gerarchica tra diversità e sul rispetto e la tutela dell’ambiente naturale come fonte di vita per tutte e tutti. E, soprattutto, sull’abolizione di ogni forma di schiavitù, a partire dall’asservimento delle donne che è il modello di ogni altra schiavitù: “L’assoggettamento e la violenza sono ritratti come se appartenessero alla natura dell’umanità e sono presentati come fatti insormontabili. La scienza viene utilizzata in questo senso e i pilastri del sistema vengono così rafforzati”, spiega l’approccio della gineologia.

Le donne Kurde ce L’hanno insegnato: iL patriarcato va eliminato!

In Turchia, il corpo della guerrigliera kurda Ekin Van, orrendamente profanato dopo esser stato ferito a morte, così come gli stupri, le torture e le esecuzioni sommarie di attiviste politiche nelle proprie case, nelle strade, nelle carceri e nelle caserme, dimostrano che la violenza femminicida è sia uno strumento della guerra contro le donne, che uno strumento per controllarci e renderci remissive attraverso il terrore.

A Genova nel 2001, così come in Valsusa, nelle caserme, nei tribunali e nei Cie, la violenza dello stato patriarcale contro le donne si è mostrata in tutta la sua crudezza, legittimando le violenze quotidiane che le donne vivono in famiglia, nelle strade, nei posti di lavoro e di studio, così come nelle relazioni. La gestione statale della “sicurezza delle donne”, in nome della quale sono state militarizzate le strade, ha portato all’aumento di molestie e stupri da parte di uomini in divisa, come all’Aquila. I giudici che condannano le donne che reagiscono alla violenza domestica uccidendo i mariti per autodifesa, e quelli che si permettono di processare le donne stuprate per i loro comportamenti ci dicono molto della “giustizia” patriarcale.

Per questo non ci stancheremo mai di ripetere che la lotta delle donne contro la violenza maschile non può che essere autodeterminata e che la liberazione delle donne sarà la liberazione della società da ogni forma di oppressione.

Milano, 28 novembre Manifestazione
contro La violenza maschile, al fianco delle donne Kurde
ore 16.30, partenza dai giardini di via palestro

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