La verità dei curdi: «In Turchia c’è una guerra»

Una guerra senza eco flagella il Kurdistan turco dal 7 giugno 2015, data dell’affermazione del Partito democratico del popolo (Hdp) alle elezioni, che ha superato la soglia di sbarramento anti-democratica del 10% voluta da Recep Tayyp Erdogan. Il sultano mancato, grazie agli 80 parlamentari dell’Hdp, non ha potuto modificare la Costituzione e attribuirsi i poteri semi-dittatoriali a cui mirava. Così, mentre i curdi delle unità maschili Ypg e di quelle femminili Ypj combattono l’Isis al confine turco-siriano, Erdogan riprende la sua guerra contro il Pkk e i civili. Il caso di Cizre è emblematico: secondo l‘Ufficio per l’informazione sul Kurdistan in Italia (Uiki), che ha portato sul posto una squadra di giuristi europei, in 9 giorni di coprifuoco sono morti 21 civili, a cui è stato vietato persino il trasporto in ospedale. I genitori di Cemile, 13 anni, hanno dovuto conservare il corpo morto della figlia in freezer per 3 giorni, perché non si deteriorasse. A Sirnak un veicolo militare ha trascinato per la strada il corpo morto Haci Lockman Birlik, 24 anni, cognato della deputata HDP Leyla Birlik, che è stato prima ferito e poi finito con 28 proiettili dalla polizia. In questo video girato dall’interno del blindato, c’è chi grida all’indirizzo del corpo senza vita: “Fanculo tua madre e tua moglie, figlio di una cagna!”.

Abbiamo raggiunto Ozlem Tanrikulu, presidente dell’Uiki –che lunedì 12 ottobre, alle 17, manifesterà a Roma in piazza della Repubblica– subito dopo la notizia della strage di Ankara.

Avete sospetti sugli attentatori di Ankara?

«I responsabili di questo attacco sono gli stessi del massacro del 5 giugno ad Amed (Diyarbakir), del 21 luglio a Pirsus (Suruç). Fanno parte di quella strategia dello Stato turco che dal 24 luglio attacca la zona di difesa di Media a Qendil e tutte le città del Bakur massacrando la popolazione del Kurdistan. La responsabilità di questo attacco è di coloro che hanno fermato il processo di pace per una soluzione della questione curda, di coloro che attaccano il popolo e le sue conquiste per la propria egemonia. Di coloro che vogliono la guerra. Qualunque sia il gruppo utilizzato come esecutore materiale di questo massacro, i mandanti sono Recep Tayyip Erdogan, il partito dell’AKP e lo stato turco».

Nel post-attentato il governo ha bloccato Twitter e ha vietato ai media di parlare dell’accaduto.

«Non solo, molti feriti sono rimasti in attesa delle ambulanze per essere portati in ospedale. Dopo le esplosioni è arrivata sul posto la polizia, che invece di aiutare i soccorsi ha attaccato i superstiti con gas lacrimogeni. Mentre i canali di informazione liberi lanciavano appelli a donare urgentemente il sangue per i feriti gravi, la gente che si recava in ospedale veniva cacciata via dalla Croce rossa turca. Poi il governo ha dichiarato la censura totale dell’informazione e ha bloccato Twitter».

Sono mesi che denunciate un’escalation della violenza di stato, dalle elezioni del 7 giugno che hanno visto l’affermazione del partito curdo Hdp.

«In Turchia c’è una guerra. Ci sono morti, violazioni dei diritti umani, torture, arresti indiscriminati, i carri armati per le strade, cecchini sui tetti e bambini uccisi. Il successo dell’Hdp è avvenuto dopo la liberazione di Kobane e di Gire Spi, che ha significato l’unificazione dei cantoni di Kobane e Cizre in Rojava. Il successo dell’Hdp ha impedito a Erdogan e all’Akp di conquistare la maggioranza che gli avrebbe permesso di cambiare la costituzione in Turchia e trasformarla attraverso il presidenzialismo centralista in un sultanato. Per questo motivo il 24 Luglio, lo stato turco con la scusa di prendere parte alla lotta contro il terrorismo di Isis, ha iniziato a bombardare il Pkk sui monti di Qendil colpendo anche villaggi abitati da civili, nel villaggio di Zergele sono morti 8 civili. Erdogan ha dichiarato lo stato di emergenza e il coprifuoco nel nord del Kurdistan, ha bombardato montagne, città e villaggi massacrando 113 civili tra cui più di 20 bambini, bruciando boschi e animali. A questi morti si aggiungono le vittime del massacro di Ankara. A Silopi, Cizre, Nusayibin, Sirnak, Amed, Silvan, Bismil, Gever e Colemerg è stato dichiarato il coprifuoco, i cecchini hanno sparato contro i civili che in risposta all’abuso da parte di uno stato che ha preso il potere in maniera illegittima negando la volontà espressa dal popolo nelle elezioni hanno dichiarato l’autogoverno. Le manifestazioni pacifiche sono state represse nel sangue».

Avete stilato un rapporto sui fatti della città di Cizre, dove avete portato una delegazione di giuristi internazionali.

«Cizre è un caso emblematico perché il coprifuoco che è durato 9 giorni ha fatto 21 vittime tra cui molti bambini, la maggior parte morti dissanguati perché è stato ostacolato il loro trasporto in ospedale. Chi tentava di soccorrere i feriti uccisi nelle loro case dai cecchini veniva ucciso. Molti sono stati costretti a tenere i cadaveri dei loro cari e dei loro bambini e bambine nel frigorifero per giorni. Cemile Çaĝirgan (13 anni) è stata uccisa i durante il coprifuoco di Cizre, e il suo corpo senza vita è stato ”conservato” per 3 giorni in freezer dalla madre per evitare che si deteriorasse. La piccola Elif Simsek di soli 8 anni uccisa da un mortaio lanciato dall’esercito contro la sua abitazione a Bismil. A Sirnak un veicolo militare ha trascinato per le strade il corpo senza vita di Haci Lockman Birlik, 24 anni, cognato della deputata HDP Leyla Birlik, che dopo essere stato ferito dalla polizia, prima è stato colpito a morte da 28 proiettili».

Che significato ha il 9 ottobre per il popolo curdo?

«Il 9 ottobre è l’anniversario del complotto internazionale che portò al rapimento e alla deportazione di Abdullah Öcalan, il più importante rappresentante politico delle curde e dei curdi nel carcere di Imrali in Turchia in cui è ancora rinchiuso da quasi 17 anni in condizione di totale isolamento. Dal 5 aprile sono state impedite visite sia ai suoi avvocati che ai parenti e nessuno ha potuto avere informazioni sul suo stato di salute».

Quelli curdi, ad oggi, sono tra i pochi eserciti che fronteggiano l’Isis sul campo. Non vi sentite abbandonati dalla comunità internazionale?

«Le Ypg (Forze di Difesa del Popolo) e le Ypj (Forze di Difesa delle Donne) praticano l’autodifesa in Rojava come le Hpg, le Yia-Star la praticano in Bakur (Nord Kurdistan). La lotta al terrorismo dibattuta a livello internazionale è ostaggio degli interessi e degli equilibri tra le potenze internazionali di cui lo stato turco fa parte. La Turchia è un membro del Consiglio d’Europa che viola costantemente il diritto internazionale in merito ai diritti umani. Il sostegno dello Stato turco all’Isis è largamente documentato. I membri dell’Isis sono passati indisturbati attraverso il confine turco in Rojava, i loro feriti sono stati curati negli ospedali turchi e lo stato turco attraverso il confine gli ha fornito rifornimenti. Ma la Turchia è prima di tutto un membro della Nato e questo condiziona fortemente il comportamento dei suoi alleati, che da una parte dichiarano di voler combattere il terrorismo dall’altra non eliminano dalla lista delle organizzazioni terroristiche il PKK che lo combatte e propone una soluzione democratica della questione curda».

Che cos’è la “Carta del contratto sociale del Rojava”?

«È una Carta per l’autogestione democratica nelle Regioni Autonome di Afrin, Cizre e Kobane e rappresenta un patto sociale tra i popoli delle Regioni Autonome. La Carta si rifà al nuovo paradigma formulato da Abdullah Öcalan che propone il sistema politico del Confederalismo Democratico per l’autogoverno di tutti i popoli che abitano il Kurdistan attraverso l’Autonomia Democratica. Consente la partecipazione di tutte le etnie e religioni attraverso una democrazia partecipata dal basso, in cui le decisioni sono prese direttamente nelle assemble popolari. I suoi pilastri sono Democrazia, Ecologia e Parità di Genere. I popoli che vivono nelle Regioni Autonome Democratiche del Rojava, una confederazione di curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni hanno adottato questa Carta, con l’intento di perseguire libertà, giustizia, dignità e democrazia, nel rispetto del principio di uguaglianza e nella ricerca di un equilibrio ecologico».

HANKABU