La Resistenza e’ Nuda e Kurda tutt’al piu’ e’ ricoperta di Stracci

di Angela Maria Spina – Le torture inflitte alle combattenti kurde da parte delle forze turche, devastano l’anima, sbrindellano e lacerano la mente, offendono l’intelligenza; come quelle di tutti gli individui sottoposti a violenze, in paesi in cui la guerra – non importa se dichiarata o silente – afferma da sempre il disvalore della Disumanità attraverso gli orrori.

Sono immagini di corpi straziati spesso non di pubblico dominio, che molti giornali e giornalisti si rifiutano di pubblicare. Sono le vite di donne anche senza un nome e cognome, magari con uno pseudonimo, a ribaltare o schiaffeggiare la meschinità del silenzio del pubblico dominio, per ragioni spesso diverse e contrastanti. Sono le ragioni non solo di un popolo, ma quelle di generazioni di dispersi.

La Resistenza delle donne -kurde- in questo caso, si svolge sulle montagne nelle città nei quartieri; oppure ha la voce ed i dialetti di migliaia di pianti di donne che, nel Kurdistan turco, stanno insorgendo di fronte all’orrenda doppia profanazione dei “loro” stessi corpi e delle “loro” menti – prima da parte della Turchia e, poi, dal voyeurismo della rete che, guarda, s’indigna, ma non se ne convince.

“Ekin Wan è la nostra resistenza nuda”. Questo è uno degli slogan con cui le donne di Nusaybin (provincia di Mardin) sono scese in strada per esprimere la rabbia contro l’esposizione del corpo nudo e martoriato della guerrigliera Kevser Eltürk nome di battaglia Ekin Wan, delle YJA Star, uccisa in uno scontro dalle forze di sicurezza turche nel distretto di Varto provincia di Muş.

Dopo averla uccisa, l’hanno completamente spogliata e trascinata per strada legata ad una corda, per poi abbandonarla nella piazza del paese. Una fotografia del suo corpo nudo e martoriato ha iniziato a circolare sui social media, durante questi giorni, in origine condivisa probabilmente dalla polizia di Varto; ad oggi, ancora mostrata con qualche riluttanza.

Una delle donne che ha lavato per il funerale, il corpo di Ekin straziato, ne ha descritto i segni di tortura, tra cui una profonda ecchimosi sul collo e le gambe e la pelle lacerate. Anche lividi lasciati da una corda stretta intorno al suo collo e usata probabilmente per trascinarla. In risposta a questa disumana vicenda, i/le guerriglieri/e, hanno preso il controllo della città di Varto, mentre “la gente armata di guardia in trincea ha detto che questa azione era una rappresaglia per l’uccisione di una guerrigliera, uccisa pochi giorni fa a Varto da un team operativo speciale, il cui corpo nudo è stato messo in mostra dalla stampa”.

Le Giovani donne rivoluzionarie (YDGK-H) hanno rinnovato il loro appello a tutte le donne affinché si uniscano agli sforzi di autodifesa e alla lotta rivoluzionaria in Kurdistan, per vendicare l’uccisione e la profanazione del corpo di Ekin.

Per anni, essersi vergognate dei corpi, non è servito alle donne a negare le atrocità; oggi quel corpo/i, anche se cadaveri, fanno urlare di rabbia ed alimentano il rancore, ma possono diventare l’ostensione della lotta infame, che resiste ed è destinata a vincere. Evoca la vergogna di doversi vergognare, invoca disprezzo per i carnefici, per la profanazione; Inchioda a responsabilità indicibili della comunità internazionale. Per anni le hanno brandite con stupri, molestie e uccisioni le donne delle popolazioni senza terra, oggi proprio quando cercano di spaventarle con l’ostensione della morte, ne resuscitano e rendono immortale, il loro strano potere eversivo di rivoltose, ribelli, “brigantesse” di una resistenza dell’ affermazione delle loro dignità negate, ma anche di quelle di tutte le altre, quelle cioè che questo riscatto non hanno ancora assaporato.

Questo è uno dei tanti ancora non troppo desueti modi, per mettere a tacere le donne: prendono le loro case e le distruggono, le rendono prigioniere, le violentano, le torturano e poi fanno scempio dei corpi. Aspettano di inchiodare con gli orrori il tempo spezzato e sospeso del dolore, della paura e del mistero.

Ma i corpi come quello della guerrigliera Kevser Eltürk, nome di battaglia Ekin Wan, eternizzano la vita, cristallizzano la paura e scavano nuove trincee, per abbattere l’indifendibile: lo stato coloniale, oscurantista e tiranno.

Le militanti di Nuova donna democratica (YDK) in un comunicato scrivono: “Non siamo spaventate” e certamente non c’è da crederlo: quello è un grido di battaglia ma è ancor prima un grido di Dolore, Resistenza e Ribellione. Perché dai villaggi prima hanno evacuato e poi hanno ucciso o condotto in stato di arresto le donne sopravvissute allo sterminio degli uomini; e poi hanno inferto col terrore l’urlo della battaglia negli occhi dei bambini e delle bambine Kurde, che sono come deserti di rugiada.

L’idea che nella Turchia contemporanea si possano consumare assassini per oscena bieca volontà politica dello sterminio di massa, usando le donne come strumento e arma della deflagrazione della guerra in corso, ha frustrato ed avvilito generazioni di giovani e vecchi kurdi ancora in cammino – non si comprende per quanto ancora -senza pace.

Le Donne, storicamente bottino e trofeo delle guerre, o strumento d’inseminazione etnica, adesso sono anch’esse sul campo di battaglia, sarà il loro fine a giustificarne la causa, quel fine che ne perpetuerà indistintamente, gli orrori e le oscenità che non si intendono per ora fermare e non è dato sapere sino a quando.

Perché dalle donne a cui hanno tagliato i seni sotto tortura, alle donne a cui hanno cercato di spezzare la volontà con lo stupro, alle donne abbandonate alle torture sessuali in stato di arresto e in prigione; alle donne, resta un’unica cosa da guadagnare: Perdere un tale stato abominevole che è esso stesso uno stupratore.

Le guerre sono sempre sporche, sono sempre guerre ingiuste, ma questa lo è più delle altre, è la guerra contro tutto: il tempo, la storia, la paura e la pace, sin anche il riposo eterno.

E’ il Tempo in cui non ci vergogneremo dello scempio della carne e della volontà dei corpi ammazzati, quei corpi dovrebbero farci solo vergognare della orribile disumanità che si accresce. Kevser Eltürk, nome di battaglia Ekin Wan, è il nuovo simbolo della Resistenza, quella autentica e non presunta del popolo Kurdo, che in molti ancora credono non esista. Kevser Eltürk, nome di battaglia Ekin Wan, è il contenuto della moderne storie “brigantesche”, quelle del nostro tempo infame che pensa alla nostra storia passata più di quella recente come il miraggio delle guerre in cui le donne si accompagnano ai loro uomini per le cause infelici.

Oggi però molti di noi rifiutiamo di vedere ancora l’oscena misoginia, che è diventata però un delitto insostenibile, una condanna imperscrutabile, poiché considera le donne, sempre all’ombra di qualcos’altro: magari gli uomini, i bambini e le bambine, i veri protagonisti ed artefici di nuovi destini rivoltosi, che spingono alle scelte ed alle ribellioni moderne; egualmente eroi ed eroine valorose quanto gli adulti.

Le Ribellioni quelle che vengono dalle donne, che lottano sulle barricate, nelle carceri e sulle montagne, come quelle che conducono la resistenza silente nelle famiglie, sui posti di lavoro, per strada e nelle società a capitale umano, quelle sono ribellioni eternizzate dalla passione, fanno paura a tutti a Noi stessi, agli altri: alle nostre figlie, sorelle, amiche e madri. Ci vergogniamo dei nostri corpi, ma non delle nostre anime, quando non sappiamo riconoscere e sostenere le Ribellioni importanti e degne di essere sostenute.

Intanto a Silvan – città della provincia di Diyarbakır, nel Kurdistan turco, che ha dichiarato l’autogoverno dopo Silopi, Cizre, Nusaybin, Yüksekova e Varto – le giovani donne curde sono in prima linea nella resistenza della città e hanno assunto un ruolo-chiave nel tenere la polizia fuori dai quartieri, stando di guardia in trincea e difendendo l’area. Sono loro l’essenza del Brigantismo e delle vere nuove Rivoluzioni.

Ecco perché occorre che di Donne, Ribellioni e Rivoluzioni si parli a voce alta e non sommessa, per vendicarne lo scempio, affermare la giustizia, per difendere ed affermare il Valore delle Resistenze. E allora che rivolta Sia e possa continuare ad essere: Contro il dominio delle mentalità patriarcali, retrive ed oscurantiste nel mondo intero, per preparare alle vittorie o forse alle “utopie” del riscatto, attraverso il sostegno alla forza ed al coraggio. Qualità che le donne storicamente sanno più o meno inconsapevolmente trasmettere ed insegnare.

Abbiamo tutti bisogno di vedere le nostre resistenze e forze, per far affermare e vincere le nostre guerre impopolari, talune rivoluzionarie altre poco più che meschine ma tutte indispensabilmente svolte da donne che segnano la storia alla vittoria. La guerra la si dovrebbe dichiarare solo alla crudeltà e solo a lei; oppure alla disumanità che ogni giorno guadagniamo per strada sui sentieri delle nostre vie.

Forse non solo la Turchia soddisfa tutte le esigenze dei militanti dell’ ISIS – come ha testimoniato un emiro catturato dalle YPG a Kobanê lo scorso 25 giugno – ma il binomio AKP-ISIS, con la sua mentalità maschile dominante, concretizza oggi il volto più feroce di quelle forme di femminicidio, che restano come un’offesa solo alla viltà degli oppressori.

La strada magari sarà ancora lunga, ma come hanno dichiarato le organizzazioni di donne curde residenti in Europa a proposito della profanazione del corpo di Ekin, aggiungendo che come le YPJ, stanno abbattendo il regno barbaro delle bande ISIS.

Le donne curde spero e voglio crederlo, sapranno rovesciare la mentalità selvaggia dell’AKP; la mentalità stupratoria manifestata contro tutte le donne, sulla persona di Ekin Wan, che però è destinata a rivivere nel mito di un immaginario collettivo sia pur povero e prostrato.

Si è dato inizio ad una guerra basata sul femminicidio, per abbattere la legittima difesa che le donne kurde hanno intrapreso, in un modo che vorrebbe fioca e lieve la luce dei riflettori, riservate a queste donne. Ma Ekin Wan, è una speranza per tutte le donne del mondo, quella che saprà vederle resistere e non perdere.

L’orrore del silenzio per la rivoluzione in Rojava, ha il suo doppio in quello per la rivoluzione delle donne, fatta per loro stesse, ma anche per noi Altre, di una umanità dolente, che invece sceglie ancora di torturarle, vorrebbe annichilirle e cancellarle, colpendone alcune per educarne tutte le altre.

Queste DONNE con nomi impossibili, dal coraggio ineludibile, sono simbolo di Resistenza e autodifesa in una parola, sono simbolo della bellezza della rappresentanza femminile nel mondo. Donne che aspirano alla libertà ed alla piena autonomia, ma con il loro sacrificio hanno affermato il primato della libertà e della effettiva autonomia di tutti, anche attraverso i loro corpi straziati presi di mira, quelli che in tutte le guerre di ogni tempo, ricordano solo la conquista della disumanità.

Le donne Kurde in Europa hanno concluso la loro dichiarazione invitando tutte le donne a partecipare con forza a tutte le azioni contro la guerra sporca dell’AKP, il loro è anche un invito ad evocare la storia recente degli anni ’90, quando in Kurdistan le forze di sicurezza turche violentavano, torturavano ed esponevano nudi i corpi delle donne dopo la loro esecuzione. Questa è anche la nostra battaglia ONORE a loro, noi evviva la Ribellione delle donne Kurde.

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