La pace provvisoria del PKK con la Turchia

Jake Hess/Montagne di Qandil, Iraq – Il volto baffuto di Murat Karayilan si è inasprito mentre leggeva il rapporto quotidiano d’intelligence preparato dai suoi comandanti di campo del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), il gruppo ribelle che ha combattuto la Turchia dal 1984.

L’esercito turco fa volare elicotteri d’attacco di tipo Cobra anche mentre i guerriglieri del PKK si ritirano dalla Turchia verso i campi dell’Iraq Settentrionale, ha detto il rapporto. Droni americani ancora ronzano sopra le roccaforti montagnose del PKK. Le operazioni militari turche continuano vicino al confine iracheno, hanno scritto i militanti.

Karayilan, Presidente del Consiglio Esecutivo dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK), la formazione-ombrello che comprende il PKK, ha denunciato queste ed altre “provocazioni”, ma ha insistito che la sua organizzazione non turberà il processo di pace provvisorio con Ankara finchè non ci saranno attacchi. L’ampio sostegno popolare al PKK e l’impenetrabile fortezza montagnosa al confine iracheno con l’Iran offrono all’organizzazione la scelta di continuare la rivolta. Ma Karayilan vede il futuro del PKK nelle città della Turchia, non nei nascondigli dei ribelli dai quali ha condotto il conflitto per quasi trent’anni.

“Se la Turchia effettua riforme, se il processo ha successo, il nostro obiettivo è di essere legali e legittimi, non illegali nelle montagne”, ha detto Karayilan a Foreign Policy in un’intervista avvenuta presso un rifugio del PKK nelle montagne di Qandil.

Circa 40.000 persone sono state uccise nel conflitto, la maggior parte di loro kurde. Il PKK ha abbandonato il suo obiettivo originario di istituire uno stato kurdo indipendente negli anni Novanta. Adesso sostiene ufficialmente una soluzione negoziata che si basa sui diritti dei Kurdi ed una qualche forma di autonomia all’interno degli esistenti confini della Turchia.

I colloqui tra la Turchia ed il leader incarcerato del PKK Abdullah Öcalan sono ripresi nell’autunno del 2012, in seguito a mesi di sanguinosi combattimenti e ad un drammatico sciopero della fame, attuato da migliaia di prigionieri politici kurdi.

Entrambe la parti hanno ottemperato ad un cessate il fuoco, e il PKK ha cominciato a ritirare i suoi guerriglieri in Maggio. Karayilan ha affermato che sono tutti “in cammino” verso Qandil, dove i guerriglieri si riparano in campi di tende bizzarramente pittoreschi immersi in rigogliose valli.

“Abbiamo compiuto i nostri doveri nella prima fase del processo. Se il Governo turco e lo Stato desiderano risolvere la questione kurda, dovrebbero fare quanto loro richiesto”, ha detto Karayilan. “La palla è nelle mani di Ankara. I due o tre mesi a venire sono molto importanti”.

Il corpulento ribelle ha snocciolato una lista di riforme quando gli è stato chiesto cosa si aspetta dalla Turchia nella prossima fase del processo. “Ci sono cose he dovevano essere realizzate prima di adesso in favore della democratizzazione della Turchia ma ció non è accaduto, purtroppo”, ha dichiarato. La prima sulla lista: il rilascio di “migliaia” di rappresentanti politici kurdi, attivisti, ed intellettuali incarcerati con l’accusa di terrorismo.

Successivamente vi è una serie di modifiche legislative che il Governo potrebbe emanare senza modificare la Costituzione – “una pulizia della strada”, con le parole di Karayilan.

Ció include la revisione della famigerata legge Anti-Terrorismo turca, utilizzata per punire il dissenso non-violento, e la riduzione della soglia elettorale del 10%, che ha ostacolato la rappresentanza dei Kurdi all’interno del Parlamento turco. “Se il Governo vuole, puó fare tutto questo subito. Il fatto che non lo abbia realizzato stimola la riflessione”, ha affermato  Karayilan.

Ma Karayilan è stato pragmatico, rifiutandosi di descrivere uno qualsiasi di questi passi come “linee rosse” o requisiti minimi per la partecipazione continuativa del PKK nel processo di pace. Né ha cercato di fissare un termine per le mosse che il Governo dovrebbe effettuare. “E’ possibile che non tutti i nostri obiettivi siano immediatamente realizzati all’interno del processo di soluzione in corso”, ha detto. “Se ci viene aperto un percorso politico, possiamo raggiungere i nostri obiettivi attraverso mezzi politici”.

Nello scenario ideale di Karayilan, il PKK sposterà in seguito la sua attenzione dalla lotta armata all’insurrezione culturale. Ha affermato che un futuro, legittimo PKK lascerà l’ambito elettorale al Partito filo-kurdo della Pace e della Democrazia (BDP). “Il PKK ha l’obiettivo di dar forma alla società, non di governarla. Intaprenderà vari progetti per condurre la società ad un livello più alto. Il PKK aprirà accademie, effettuerà attività culturali e filosofiche, compierà lavoro ideologico, sensibilizzerà le persone”.

Torneranno alla violenza se il processo di pace fallisce? “C’è possibilità. Speriamo che non ce ne sia necessità, ma se c’è un vero e proprio crollo, ci difenderemo, certo”.

L’ultimo round del dialogo Turchia-PKK ha avuto luogo dal 2008 al 2011. In seguito a contatti esplorativi mediati da un ignoto garante internazionale, sono state convocate delle serie parallele di colloqui ad Oslo, all’interno dei quali ufficiali dell’intelligence turca hanno incontrato una delegazione del KCK presso il carcere di Imrali, in cui Öcalan sta scontando l’ergastolo.

La parte kurda ha presentato al Governo turco tre protocolli per una soluzione nel Maggio 2011. Ha anche fornito proposte dettagliate per una nuova Costituzione. Karayilan ha affermato che il Governo non le ha mai “messe in pratica nè mai rifiutate”, né ha presentato proposte scritte di sua volontà. Il Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan ha in seguito dichiarato che la Turchia ha interrotto i colloqui a causa della “mancanza di sincerità nella comunicazione”.

Ci sono scarse indicazioni sul fatto che la Turchia sia stata mai sincera sul raggiungimento di una soluzione negoziata con il PKK. Durante gli anni dei colloqui di Oslo ha detenuto o arrestato migliaia di rappresentanti politici kurdi. Le aggressioni militari contro i guerriglieri sono continuate. Nel 2009, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) al Governo ha avviato “un’apertura” che si è presto conclusa con pochi risultati. In un dispaccio diplomatico, Doug Silliman, vice Capo Missione presso l’ambasciata degli Stati Uniti in Turchia dal 2008 al 2011, ha affermato che i funzionari di sicurezza turchi avevano ripetutamente descritto l’obiettivo del Governo in merito alla sua “apertura” come l’isolamento e la sconfitta della leadership del PKK attraverso un mix di riforma e repressione.

Ankara si è mossa per ottenere l’approvazione di questo appproccio da Washington. Ray Odierno, l’allora comandante in capo delle forze statunitensi in Iraq, ha cominciato a preparare un “piano d’azione” anti-PKK in comune con la Turchia nel Febbraio 2010.  Odierno ha descritto come obiettivo “l’isolamento dei veri ideologi [del PKK], rendendoli inefficaci”. La Turchia ha presentato agli Stati Uniti due suoi propri piani, con la speranza che Washington li avrebbe incorporati nel finale. Il primo aveva l’obiettivo di “metter fine nel più breve tempo possibile alla presenza armata dell’organizzazione terroristica [PKK] nel Kurdistan Settentrionale” interrompendone la logistica e le comunicazioni. Il secondo evidenziava le mosse che il Governo Regionale del Kurdistan doveva intraprendere contro il PKK. La Turchia, gli Stati Uniti e l’Iraq hanno annunciato il piano in Aprile, sebbene le sue condizioni fossero oscure. Sul fronte politico, Washington ha imposto sanzioni personali a due dei tre membri della delegazione kurda ai colloqui di Oslo. Nell’Ottobre del 2009, il Dipartimento del Tesoro ha dichiarato il membro del KCK Zubeyir Aydar un “Significativo Trafficante di Narcotici Esteri” insieme a Karayilan. Nell’Aprile 2011, ha qualificato il co-fondatore del PKK Sabri Ok come un “Trafficante di Narcotici Appositamente Designato”.

Le dichiarazioni dell’amministrazione Obama in sostegno all’attuale processo di pace lasciano Karayilan ottimista sul fatto che questa volta potrebbe andare diversamente. Spera che l’Occidente utilizzi la sua influenza per migliorare le prospettive in favore di una soluzione. “Vedo un ammorbidimento. Ritengo importante il sostegno del mondo esterno, ed in particolare quello degli Stati Uniti. Penso che lo sviluppo di un atteggiamento più attivo dalla loro parte permetterebbe al processo di accelerare”, ha detto. “Vogliamo che gli Stati Uniti e l’Unione Europea sviluppino politiche per risolvere la questione kurda. La via più importante in favore di questo consiste nel rimuovere il PKK dalla lista delle organizzazioni terroristiche”.

Il leader del KCK ha affermato che gli interessi occidentali verrebbero raggiunti attraverso relazioni più cordiali con i Kurdi. “Risolvere la questione kurda spianerebbe sicuramente la strada alla democratizzazione e alla normalizzazione in Turchia. Inoltre, ció avrebbe un impatto simile sul Medio Oriente. Penso che l’Occidente ne sia interessato”, ha detto.

Karayilan ha citato la Siria come esempio. Il KCK possiede un’influenza sul Kurdistan siriano grazie alle sue relazioni con il Partito dell’Unione Democratica (PYD), l’organizzazione più potente del luogo. “I kurdi siriani possiedono le politiche più laiche, moderne e democratiche in quella società. I Kurdi sono i più vicini all’Occidente. Ma a causa del veto della Turchia, [l’Occidente] non ha nemmeno rapporti con loro. L’opposizione armata ha una prospettiva completamente islamista”. Ma ha fatto capire che le relazioni stanno migliorando. “Sento dire che l’America e l’Europa stanno appena adesso guardando al PYD ed ai Kurdi siriani. Ci sono anche sviluppi positivi su questo fronte. Ci sono contatti più cordiali ma penso che l’America e l’Europa giungano in ritardo su questo”.

Karayilan ha aggiunto che il KCK prevede di sfruttare le nascenti opportunità diplomatiche create dal processo di pace. “Come primo passo, vogliamo effettuare attività informative nell’Unione Europea e in America. Finora, il pubblico americano non ha appreso di noi da noi stessi; hanno appreso di noi dalla Turchia. Desideriamo che questo cambi. Spero che nascano opportunità in futuro e che avremo progetti più efficaci. Vogliamo effettuare attività di diplomazia ma ci sono ostacoli. Per esempio, l’America non ci darà il visto perché siamo membri del PKK”.

Karayilan ha sostenuto che le parti hanno raggiunto un accordo verbale significativo. All’interno di una registrazione che è trapelata da un incontro ad Oslo, si sente il funzionario dell’intelligence turca Hakan Fidan dire che Erdogan ed Öcalan erano d’accordo “dal 90 al 95%” sulle loro opinioni. Karayilan ha affermato che le parti si sono avvicinate ulteriormente da allora: “In termini di dialogo e delle nostre discussioni, posso dire che ció è ancora più avanzato [oggi] di allora. Il nostro leader dice di avere fiducia nella delegazione che lo sta incontrando. Ma non è chiaro fino a che punto lo Stato ed il potere governativo presente alle spalle della delegazione terranno fede alle discussioni”.

Per ora, il PKK ha intenzione di aspettare per vedere cosa accadrà.

“Quanto sono seri questa volta? Non lo so. Il PKK non costituisce un bersaglio immobile. Non possiamo essere semplicemente eliminati”, ha affermato Karayilan. “Se l’America e la Turchia lo hanno finalmente visto, se sono veramente sincere riguardo ad una soluzione e non hanno intenzione di affrontare il processo come hanno fatto ad Oslo, noi siamo pronti. Il tempo mostrerà le loro intenzioni”.

19.06.2013

*Jake Hess, giornalista che vive a Washington D.C. Puó essere contattato a questo indirizzo jakerhess@gmail.com).

Foreign Policy

http://mideast.foreignpolicy.com/posts/2013/06/19/the_pkk_s_tentative_peace_with_turkey

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