La disinformazione e la denigrazione dei pennivendoli

Le guerre, è risaputo, si vincono con le armi ma anche con la politica, la diplomazia, il controllo dell’informazione…

Anche nel caso dell’eroica e finora vittoriosa resistenza del PKK e del PYD con le loro armate di difesa del popolo, si prova a tutelare gli interessi degli aggressori e dei loro complici utilizzando la censura (in Turchia in modo particolare), la disinformazione e l’opera di denigrazione attraverso vere e proprie macchine del fango.

La testata online “East Journal” (http://www.eastjournal.net/turchia-il-pkk-riprende-le-armi-per-il-narcotraffico-non-per-la-causa-curda/63638) titola il suo pezzo di oggi “Il PKK riprende le armi. Per il narcotraffico, non per la causa curda”, nonostante le gesta di una resistenza eroica siano ormai ben note a tutto il mondo e ammesse di norma dalla stampa internazionale e dai commentatori.

“East Journal” si rifà ad una serie di menzogne,costruite nel tempo a giustificazione della persecuzione dei kurdi anche in Europa, attribuisce al PKK la responsabilità di aver rotto il cessate il fuoco e quindi di scegliere la via della guerra, nascondendo la dura repressione e l’uccisione manu militare di decine e decine di civili, da quando Ocalan il 21 marzo 2015 lanciò dal carcere di Imrali il suo famoso appello affinchè le armi lasciassero il posto al dialogo e particolarmente dopo l’attacco a Kobane e le immense proteste popolari che seguirono.

Ma non basta, l’autore Matteo Zola, si spinge fino a definire il PKK “un gruppo di criminalità organizzata dedito al narcotraffico”.

Le sue fonti sono naturalmente americane e sempre dall’intelligence della Nato apprende che “Il coinvolgimento del PKK nei traffici è dimostrato anche dall’alto numero di arresti per traffico internazionale di eroina che dal 2008 colpisce i suoi membri”. Sarebbe interessante avere l’elenco degli arrestati e il loro numero di tessera del PKK!

Per avvalorare le sue tesi, l’autore cita anche l’Europol che “nel proprio report annuale del 2012, scrisse chiaramente che “estorsione, riciclaggio di denaro sporco, traffico di persone e traffico di droghe restano i principali crimini commessi dai membri del PKK nonché la principale fonte di profitto” .

In verità ci sono stati in Europa, a seguito delle pressioni turche, innumerevoli tentativi di criminalizzare i militanti della resistenza kurda, non necessariamente del PKK, ma nonostante gli arresti e le campagne diffamatorie, non c’è memoria di una sentenza di condanna a danno di un militante del PKK o di organizzazioni ad esso vicine. C’è memoria, invece, dei crimini commessi a danno del movimento kurdo, della sua libertà e della vita dei suoi militanti, come dell’assassinio di Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Soylemenez, avvenuto a Parigi nel non lontano 9 gennaio 2013, i cui autori rimangono coperti, mentre ci sono pesanti indizi di responsabilità a carico dei servizi segreti turchi e la collaborazione di quelli francesi.

Anche in Italia, più volte si è tentato di colpire la resistenza kurda con accuse farlocche senza che mai ci sia stato un conferma della Magistratura.

Il giornalista fa un uso astuto delle fonti ufficiali che giustificano, proprio in Italia, un tentativo di criminalizzazione e scrive: “ … apprendiamo dall’operazione Dugun, condotta dalla Questura di Venezia nel 2010, che può tuttora ritenersi una pietra miliare nelle indagini di contrasto del terrorismo internazionale legato a particolari conflitti regionali. L’operazione Dugun consentì di scoperchiare la struttura italiana del PKK dedita al reclutamento, indottrinamento e addestramento di giovani turchi da inviare a combattere per la causa separatista curda, entrando nel meccanismo di raccolta fondi destinati all’organizzazione. Le raccolte di denaro presso le comunità curde di tutta Europa, che avvengono anche con metodi estorsivi, rappresentano infatti l’irrinunciabile linfa vitale per finanziare l’azione terroristica …” Ho riportato quasi interamente la citazione perché è interessante notare come il giornalista riporti con dovizia la tesi accusatoria, “dimenticandosi” guarda caso di informarsi e di citare l’esito di quel processo.

Il signor Zola evita di dire che anche quella inchiesta, la sua “pietra miliare”, si sgonfiò come una bolla di sapone!

Fino a prova contraria, sulla colpevolezza decidono i giudici: ma di sapere come sono andati a finire tutti i processi non importa a questo giornalista, gli basta citare la Questura ed Europol come se già fossero condanne…..e facendo perfino ironia: il campione di giornalismo, quello che cita le fonti ufficiali, immagino autocompiacendosi, ci tiene a specificare che: “L’estorsione, naturalmente, è chiamata “tassa rivoluzionaria“.

Non manca nemmeno un richiamo positivo al successo di Masud Barzani, di ispirazione liberale e filoamericano, oggi a capo del primo governo autonomo (non dagli USA) della storia kurda, ovviamente in contrapposizione alla linea dei “gruppi neomarxisti”,

Secondo lui, le immagini delle donne in armi di kobane sono soltanto un paravento per nascondere la verità sul PKK.

Per chiudere in bellezza (dipende dal punto di vista), dopo citazioni e citazioni di rapporti polizieschi o dell’intelligence, rivela tutta la sua ignoranza, quando stoltamente si domanda “Qualora l’ISIS venga sconfitto, che tipo di stato sarà quello curdo? E se l’indipendenza curda non dovesse essere raggiunta, contro chi si rivolgeranno i kalashnikov di quelle giovani donne?”. Così dimostra di essere davvero male informato. E’ un fatto arcinoto che il PKK sia poco interessato ad un proprio Stato artificiale e che Abdullah Ocalan, nei suoi libri e non nella lista delle partite di eroina, scrive della impossibilità storica di realizzare stati nazionali ed anzi propone una federazione di regioni anche all’interno dei confini degli attuali stati e che l’autodeterminazione di un popolo non dipende dallo Stato. Peccato che il PKK sia l’organizzazione politica kurda fortemente maggioritaria nell’insieme del Kurdistan; che esso è l’anima principale della resistenza popolare e Ocalan, (quello stesso Ocalan imprigionato a Imrali e non, come scrive l’ignaro, a Istanbul) è il leader di riferimento per milioni di persone.

Alla faccia dell’imperialismo e dei suoi servi!

Di Antonello Pabis – Rete Kurdistan