La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo chiede l’immediato rilascio di Demirtaş

La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha ordinato il rilascio immediato dell’ex co-presidente dell’HDP Selahattin Demirtaş. Trovando diverse violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel caso della detenzione del politico curdo, la Corte ha stabilito che la Turchia sta incarcerando illegalmente Demirtaş e ha invitato le autorità turche “a prendere tutte le misure necessarie” per garantire il rilascio immediato di Demirtaş.

La Corte ha rilevato in particolare che le interferenze con l’esercizio della libertà di espressione da parte del ricorrente, vale a dire la revoca dell’immunità parlamentare di Demirtaş a seguito dell’emendamento costituzionale del 20 maggio 2016, la sua detenzione preventiva iniziale e continuata e il procedimento penale contro di lui per reati connessi al terrorismo sulla base di prove comprendenti i suoi discorsi politici – non era state prescritte dalla legge ai sensi dell’articolo 10 della Convenzione.

Per quanto riguarda l’articolo 5, nessun fatto specifico o informazione che avrebbe potuto far sorgere un sospetto che giustifichi la custodia cautelare del ricorrente era stato avanzato dai tribunali nazionali in qualsiasi momento durante la sua detenzione, e non vi era quindi stato un ragionevole sospetto di aver commesso i reati in questione.

Le stesse osservazioni hanno portato anche alla constatazione di una violazione del diritto di Demirtaş di essere eletto e di sedere in Parlamento. La Corte ha ritenuto che le autorità giudiziarie non avessero rispettato il loro obbligo procedurale ai sensi dell’articolo 3 del Protocollo n. 1 per accertare se Demirtaş avesse o meno diritto all’immunità parlamentare per le dichiarazioni contestate.

Né avevano soppesato gli interessi concorrenti o tenuto conto del fatto che Demirtaş era uno dei leader dell’opposizione politica nel suo paese. Infine, la Corte ha ritenuto stabilire che la detenzione del ricorrente, soprattutto durante due campagne cruciali relative al referendum del 16 aprile 2017 e alle elezioni presidenziali del 24 giugno 2018, aveva perseguito l’ulteriore scopo di soffocare il pluralismo e limitare la libertà del dibattito politico, che era al centro del concetto di società democratica.

La Corte ha ritenuto che lo Stato doveva adottare tutte le misure necessarie per garantire l’immediato rilascio del ricorrente.