“Io, contadina scampata all’Isis creo orti nelle scuole di Kobane”

Berivan, delegata di Terra Madre: servono corridoi umanitari

«La nostra terra è fertile, ha un colore rosso intenso e un profumo speciale. È una terra ricca di minerali e se fosse possibile coltivarla sarebbe in grado di fornire il cibo a tutta la Siria, ma per i nostri contadini è quasi più semplice avere petrolio che non trattori, semi e anti-parassitari. Abbiamo bisogno non solo degli aiuti dei popoli, ma anche dei governi internazionali: Kobane e la sua area per vivere e rinascere hanno bisogno di un corridoio umanitario». Berivan Al Hussain è una dei 7000 delegati di Terra Madre, provenienti da 143 Stati, che da ieri hanno iniziato a invadere le strade di Torino. Nei mesi scorsi una missione di Slow Food ha avviato con l’amministrazione Democratica del Rojava un progetto per realizzare orti nelle scuole – gli orti della nostra libertà», spiega lei – di dieci villaggi intorno a Kobane. Berivan ha 27 anni e per arrivare a Torino con un visto di sette giorni ha dovuto entrare in Iraq, imbarcarsi su un volo che da Baghdad l’ha fatta passare dall’area internazionale dell’aeroporto di Instanbul per poi sbarcare in Italia. Berivan veste all’occidentale con un chiodo nero e una camicetta bianca. Quando parla del progetto degli orti sorride, ma i suoi occhi neri lasciano intuire le sofferenze del suo popolo durante la battaglia contro l’Isis ma, soprattutto le difficoltà della ricostruzione.

Perché gli orti nelle scuole?
«Perché noi abbiamo bisogno di ricostruire non solo la nostra libertà ma anche di ridare la libertà a una terra che è conosciuta come la culla della civiltà. Una terra coltivata rende possibile anche la libertà economica e il sostegno alle famiglie. Se riusciamo a insegnare ai nostri bambini il valore della terra, a coltivarla e rispettarla e se riusciamo a farlo con bambini curdi, arabi, armeni, ceceni e turcomanni gettiamo i semi di un futuro dove sarà possibile vivere in pace».

Che cosa serve per realizzare questo progetto?
«Abbiamo iniziato un percorso con Slow Food che interessa dieci villaggi intorno a Kobane e qualche migliaio di ragazzi. Per noi è stato importante, importantissimo entrare in una rete internazionale di solidarietà, questo ci dà speranza ma abbiamo bisogno non solo dei popoli ma anche dei loro governi».

Dal punto di vista dell’agricoltura che cosa vi serve?
«Abbiamo bisogno di acqua perché l’Isis ha distrutto tanti pozzi e la Turchia con le dighe controlla i fiumi. Abbiamo ripreso a coltivare ciò che non richiede molto sforzo idrico. E poi ci sono le mine. Ogni settimana, purtroppo, ci sono contadini che muoiono saltando in aria mentre scavano la loro terra. E ci mancano macchinari agricoli, antiparassitari, semi che non riusciamo ad acquistare per colpa dell’embargo e per l’intervento militare della Turchia».

Che cosa si aspetta dalla partecipazione a questa grande assemblea internazionale dei contadini del mondo?
«Scambio di esperienze, ascolto e solidarietà concreta. Dobbiamo coltivare la terra anche per soddisfare le esigenze alimentari dei tanti siriani che stanno lasciando le città ancora in guerra. Abbiamo bisogno di poter vendere i prodotti della nostra terra. Dobbiamo dare continuità alla solidarietà che ci è stata dimostrata. Dal mio punto di vista tocca ai governi».

Perché?
«Kobane è stato il simbolo della resistenza contro l’Isis, tutto il mondo ha fatto il tifo contro di noi che abbiamo pagato in prima persona con morti e tanti esuli. Adesso chi è andato via sta tornando, vogliono ricostruire le loro vite a partire dalla terra. Credo che ci sia un debito internazionale nei confronti del nostro popolo ed è per questo che abbiamo bisogno che venga aperto un corridoio umanitario che permetta di importare ed esportare i prodotti della terra ma non solo quelli».

Berivan Al Hussain è una dei 7000 delegati di Terra Madre, provenienti da 143 stati, che da ieri hanno iniziato a invadere le strade di Torino. Nei mesi scorsi una missione di Slow Food ha avviato con l’amministrazione Democratica del Rojava un progetto per realizzare orti nelle scuole – gli orti della nostra libertà», spiega lei – di dieci villaggi intorno a Kobane. Berivan ha 27 anni e per arrivare a Torino con un visto di sette giorni ha dovuto entrare in Iraq, imbarcarsi su un volo che da Baghdad l’ha fatta passare dall’area internazionale dell’aeroporto di Instanbul per poi sbarcare in Italia.

http://www.lastampa.it/2016/09/22/esteri/io-contadina-scampata-allisis-creo-orti-nelle-scuole-di-kobane-oD66S3eB5xAZMVJhY1jhfI/pagina.html

Riprese Dario Nazzaro (Reporters), intervista di Maurizio Tropeano
di Maurizio tropeano, La Stampa