Intervista alle Sdf in Siria: “Aleppo e Raqqa i prossimi obiettivi”

Le forze siriane democratiche, ad oggi uno degli attori più importanti del conflitto siriano, se non il più importante, agiscono da un anno nel nord del paese, costituendo il maggior pericolo per l’integrità politica e militare dello stato islamico. Costituite su impulso delle Ypg-Ypj (unità di protezione popolare maschili e femminili), che raccolgono decine di migliaia di combattenti curdi, assiri e arabi, oltre che foreign fighters da decine di paesi nel mondo, le Sdf (o Hsd, secondo l’acronimo curdo) raccolgono svariati altri battaglioni, tra cui i combattenti assiri Sutoro e Askari Syriani e quelli arabi di Jaish Al-Shwaar (esercito rivoluzionario), Al-Sananid, Tagamuh Alwyat Al-Jazeera, Katab Shams Al-Shimal, Katab Twar Al-Raqqah, Tagamuh Alwyat Al-Firat, Liwan Al-Tahirir.

Le Sdf non sono interessate dall’attuale cessate il fuoco in Siria, perché l’organizzazione politica che le rappresenta, il congresso democratico siriano (che unisce rappresentanti politici da tutta la Siria e si batte per una soluzione confederale nel paese), è stata esclusa dai colloqui di Ginevra principalmente a causa del veto turco e dell’ostilità saudita, kuweitiana e qatariota (stati che prediligono l’instaurazione di un governo d’ispirazione religiosa e reazionaria in Siria). Le Sdf combattono in prima istanza, d’altra parte, una delle principali forze escluse dai colloqui di Ginevra, lo stato islamico. Infoaut e Radio Onda d’Urto hanno incontrato ad Hasakah, nel sud del cantone di Cizire (regione autonoma del Rojava, nord-est della Siria), il portavoce ufficiale delle Sdf Heval Talal, combattente di origine turcomanna, e gli hanno rivolto alcune domande sulla situazione attuale della guerra in Siria.

Heval Talal, nelle scorse settimane le Sdf sono state impegnate nella regione di Shaddadi, a sud di Hasakah, dove anche di recente non sono mancati scontri con lo stato islamico. Qual è il vostro giudizio sull’attuale stato delle cose nel sud di questa provincia?

La situazione è buona, ma stiamo procedendo verso il sud del paese e siamo impegnati a pacificare la città di Mergada, dove ancora ci sono delle resistenze. Nell’ultima settimana siamo stati impegnati due volte in combattimenti da parte dell’Is in quella zona. Inoltre non bisogna dimenticare che l’area più calda da queste parti è quella al confine con l’Iraq, dove subiamo attacchi ogni giorno.

Avete intenzione di avanzare verso Deir El Zor, a breve [il bastione dell’Is nell’oriente siriano, Ndr]?

Non ora. Al momento le nostre priorità sono altre. C’è il problema rappresentato dal cantone di Afrin, che è a tutt’oggi isolato dal resto del Rojava e circondato da forze ostili. Inoltre più importanti per noi attualmente sono le città strategiche di Aleppo e Raqqa. Forse successivamente muoveremo su Deir El Zor.

Sono quindi fondate le voci che danno un’operazione su Raqqa non lontana nel tempo?

Non è detto. Al momento le nostre forze si trovano a trenta chilometri da Raqqa, ma stiamo ancora studiando la situazione. È anche possibile che decideremo di concentrarci in prima battuta sulla parte settentrionale di Aleppo.

In Rojava circolano accuse nei confronti dell’Enks (consiglio nazionale curdo in Siria, alleato del Pdk curdo-iracheno di Massud Barzani) riguardo ad aggressioni, da parte di gruppi armati di quel partito, alle Ypg di stanza a Sheik Massud, il quartiere curdo proprio nel nord di Aleppo. Sono voci fondate?

Anche a noi sono arrivate queste voci, ma se devo essere sincero le forze di Barzani, ad Aleppo, non le abbiamo viste.

Nella zona tra Aleppo e Jarablus, quindi anche nella striscia di terra che separa i cantoni di Kobane e Afrin, si muovono anche i cosiddetti “Nipoti di Saladino”, un gruppo curdo d’ispirazione musulmana che ha minacciato varie volte le Ypg-Ypj.

Sì, sono presenti in quella zona. Sono un gruppo curdo che ci è ostile, lavorano per la Turchia e ottengono il suo supporto. Si tratta tuttavia di un gruppo piccolo e inconsistente, che in origine faceva parte dell“esercito libero siriano” [il controverso coordinamento di bande armate oggi militarmente in crisi, Ndr].

Alcuni combattenti delle Ypg ci hanno detto che sarebbero felici di sconfinare in Iraq per partecipare alla liberazione di Mosul. Pensate che una partecipazione delle Sdf all’operazione sia possibile?

No, le Sdf opereranno esclusivamente in Siria; ma ci sono delle forze curde impegnate nella lotta per la liberazione di Mosul in questi giorni: si tratta della guerriglia del Pkk.

Diverse volte, durante i combattimenti con l’Is, forze aree hanno supportato l’avanzata delle Sdf. Le voci sono discordanti, tuttavia, sulla provenienza di questi attacchi. Provenivano esclusivamente dagli Stati Uniti o anche dalla Russia?

Quando è in corso un’operazione militare delle Sdf, gli Stati Uniti offrono il loro supporto bersagliando obiettivi dello stato islamico, se necessario. Non è mai esistito, invece, un coordinamento con la Russia.

Circa due settimane fa il Rojava ha proclamato l’autonomia, e tanto il governo siriano quanto quello turco si sono affrettati a negare legittimità a questa dichiarazione. Temete si possano verificare scontri armati con queste forze, in futuro?

Il popolo siriano ha bisogno del federalismo. La soluzione federale è necessaria per il benessere della popolazione. Il regime siriano non può opporsi a questa necessità, e non soltanto per ragioni politiche: dal punto di vista militare esso è debole, e non è in grado di impensierirci con le forze residuali che mantiene in Rojava [in alcuni quartieri di Qamishlo e Hasakah, Ndr]. Anche mosse di altro genere verrebbero respinte.

Per quanto concerne la Turchia, è una forza a noi avversa, non è un mistero. Ciononostante, la proclamazione dell’autonomia del Rojava è un fatto interno al contesto siriano e la Turchia non può in alcun modo interferire, né oltrepassare il confine che la divide dalla Siria.

Tuttavia la Turchia interferisce, se è vero che ha da tempo comunicato il suo diktat riguardante il non oltrepassamento delle Sdf dell’Eufrate a ovest, oltre la cosiddetta “linea rossa”.

È vero, intenzione della Turchia è bloccare il nostro progetto nell’area compresa tra i cantoni di Kobane e Afrin, a ridosso del suo confine. Tuttavia la Turchia deve fare i conti con due dati di fatto: in primo luogo, quell’area è territorio siriano, non turco; in secondo luogo, quella zona è occupata dallo stato islamico.

Ora noi stiamo conducendo una lotta contro lo stato islamico, e piaccia o no alla Turchia, noi ripuliremo anche quella zona, non ci fermeremo affatto a Kobane e Afrin. La Turchia supporta l’Is, ma noi libereremo la regione in questione da quelle forze, per le quali proprio quell’area è strategica, appunto perché è lì che ricevono supporto logistico e militare dal governo turco.

Sono ormai quasi due anni che vi confrontate militarmente con lo stato islamico. Oltre alla Turchia, quali sono le forze che lo sostengono?

Molti dei militanti dell’Is provengono dall’Asia centrale e dai paesi arabi. Molti sono anche i combattenti dell’Is che provengono dal Rojava, in particolare da alcuni villaggi arabi dove ha attecchito l’ideologia dell’Islam radicale. Daesh era parte dell’esercito libero siriano, all’inizio, poi se ne è staccato grazie a un ingente afflusso di denaro e armi, e si è segnalato come forza preponderante nella regione che occupa. Tuttavia, non siamo in grado di dire di più su chi al momento stia fornendo supporto militare a questa forza.

Lo stato islamico esercita un’attrattiva anche all’interno della popolazione curda?

Sì, ci sono combattenti curdi in Daesh, in particolare provenienti dal Kurdistan iracheno. Soltanto pochi giorni fa Daesh stesso ha diffuso un video di propaganda rispetto alla sua guerra contro le forze curde, in cui tra l’altro si vedono le immagini della decapitazione di un soldato peshmerga, e l’uomo che commette questo atto si rivolge agli spettatori in curdo, è chiaramente un miliziano curdo.

Un grosso problema per la resistenza del Rojava, ma anche per quella del Bakur [Kurdistan turco, Ndr] è rappresentato dalle relazioni politiche che la Turchia di Erdogan riesce a intrattenere con l’Unione Europea. Cosa volete dire al riguardo?

Non possiamo che ricordare che non soltanto Erdogan supporta Daesh, ma che fornisce appoggio a molti altri gruppi radicali, oltre a massacrare civili e distruggere intere città in Turchia. L’Europa dovrebbe come minimo intimargli di interrompere le stragi che compie e i suoi atti di terrorismo.

In questo momento gran parte dell’attenzione europea è rivolta agli effetti dell’attentato commesso dall’Is a Bruxelles; quale messaggio vuogliono mandare le Sdf alla popolazione belga?

Le forze siriane democratiche si stringono attorno ai familiari delle vittime della strage. Porgiamo loro le nostre condoglianze ed esprimiamo il nostro auspicio che il Belgio possa tornare ad essere un paese pacifico. Ciò che possiamo fare in prima persona è continuare a combattere Daesh in territorio siriano, e non cessiamo di aver bisogno di aiuto su questo fronte.

Dal corrispondente di Infoaut e Radio Onda d’Urto ad Hasakah, Rojava