Elezioni Turchia: un colpo alla democrazia, ma non definitivo

Certamente l’aspirante sultano Erdogan è molto determinato a instaurare la sua personale dittatura in Turchia. Una sorta di Renzi in versione ottomana, forse meno furbetto ma con una ben più consistente dote di ferocia e spregiudicatezza antidemocratica. Per vincere le elezioni non ha certo lesinato mezzi di ogni genere. Anzitutto, ha rilanciato in grande stile il conflitto con il Pkk nel Sud-Est, buttando alle ortiche anni e anni di aperture e negoziati. In tal modo ha raggiunto vari obiettivi con un solo colpo: ha fatto incetta di voti della destra nazionalista del Mhp, spaventato i kurdi moderati che hanno in parte abbandonato l’Hdp e più in generale creato un clima di terrore applicando in modo egregio gli insegnamenti della strategia della tensione, oramai un classico per ogni aspirante autocrate che si rispetti.

Elezioni in Turchia, trionfa Erdogan: scontri tra polizia e curdi

Il prezzo di questa scelta lo pagano ovviamente kurdi e turchi. Erdogan sa benissimo che non ci può essere vittoria militare raggiunta schiacciando le formazioni armate kurde, per quanti sforzi compia bombardando villaggi e provocando stragi fra la popolazione civile. Un forte aiuto l’ha avuto come prevedibile dall’Isis, dai cui ranghi probabilmente provengono gli autori materiali delle tre efferate stragi terroristiche compiute negli ultimi mesi, l’ultima delle quali, senza precedenti per numero di vittime, ha colpito, ad Ankara, proprio una manifestazione pacifista.

Se la ripresa del conflitto con i kurdi costituisce il pezzo forte della sua strategia, Erdogan non ha disdegnato l’attacco alla libera stampa, condotto attraverso la chiusura dei media, il blocco dei social media come Twitter e Youtube, e il pestaggio dei giornalisti non allineati, nonché l’attacco all’avvocatura e in genere alle organizzazioni democratiche. Gravi violazioni sono del resto avvenute anche nella sede propriamente elettorale, come denunciato dall’Osce. Nelle conclusioni preliminari redatte dalla missione inviata sul luogo dall’organizzazione europea, infatti, si parla senza mezzi termini di “intimidazione degli elettori” e “illegittime restrizioni del diritto di libera espressione”. Numerose violazioni delle regole elettorali sono state rilevate anche dai giuristi democratici, che avevano inviato in Turchia una folta delegazione di osservatori elettorali. Lo stato d’assedio instaurato soprattutto nelle regioni del Sud-Est, dove maggiore è la forza elettorale dell’Hdp, partito di kurdi e turchi che costituisce il principale antagonista di Erdogan e dei suoi disegni autoritari, non costituisce certo una cornice atta a consentire l’esercizio del diritto di voto e degli altri diritti democratici.

A fronte di tante e tali violazioni risulta assolutamente scandalosa e inaccettabile la posizione assunta dall’Unione europea. Mogherini (che pure pochi mesi fa aveva auspicato la continuazione del processo di pace) e C. sempre pronti a stracciarsi le vesti per ogni starnuto del governo venezolano o di altri governi non allineati all’Occidente, mantengono un singolare distacco nei confronti delle vicende turche, astenendosi rigorosamente dal rilevare ogni genere di violazione. In parte tale atteggiamento pare dovuto alla certamente sconsiderata scelta di affidarsi al regime turco per risolvere il problema dei profughi su cui i governi dell’Unione, a cominciare da quello tedesco, sembrano avere abbandonato l’atteggiamento di prudente umanitarismo assunto verso la fine dell’estate. Non è dato sapere quali siano state le annunciate reazioni dell’Unione europea di fronte al rapporto preliminare dell’Osce. Più rispettabile pare, almeno per il momento, l’atteggiamento del Dipartimento di Stato che, pur auspicando la continuazione della collaborazione con la Turchia, non nasconde critiche precise agli atteggiamenti autoritari di Erdogan. Una dimostrazione in più, insomma, dell’ingiustificabile miopia politica e mancanza di coraggio che stanno portando l’Europa alla tomba.
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Erdogan ha segnato un punto a suo favore, ma non si può certo parlare di vittoria definitiva dell’aspirante sultano e dei suoi progetti autoritari. La Turchia resta un Paese complesso, ricco di energie democratiche e contraddizioni di ogni genere che non mancheranno di farsi sentire nei mesi a venire. Nonostante la complicità dell’Unione europea, che gli fornisce un enorme aiuto, non è detto che Erdogan riesca a dare attuazione al suo disegno.

di Fabio Marcelli, Il Fatto Quotidiano‎