Efrîn* non è sola!

Non si era probabilmente mai visto sino a ora che un popolo – anziché fuggire da una città bombardata da aerei da guerra e colpita da missili e razzi – si mettesse in marcia per raggiungere proprio quella città a dare man forte ai suoi abitanti: e si parla di migliaia di persone anziani e giovani, uomini e donne, che hanno percorso centinaia di chilometri per arrivare sin nel cuore pulsante di Efrîn.

Nel cantone di Efrîn, nella Siria del Nord, vivono circa 700.000 civili e sono stati accolti oltre 200.000 rifugiati, fuggiti da molti altri cantoni e governatorati della Siria, in cui era scoppiata in maniera più cruenta la guerra civile siriana e più violenti erano gli scontri tra le forze armate siriane regolari e le diverse fazioni armate “moderate”, radicali e jihadiste.

Efrîn è sottoposto – ormai da tre settimane (20 gennaio 2018) – a dozzine di attacchi aerei, bombardamenti di artiglieria pesante come carri armati, granate, missili e razzi e tentativi d’invasione via terra da parte delle forze armate turche e di un “contingente” composto da oltre venticinquemila (25.000) miliziani islamisti, votati alla cosiddetta “guerra santa” e a tale scopo addestrati in Turchia (reduci dalle formazioni ribelli jihadiste daesh, al Nusra e altre fazioni che hanno seminato il terrore in questi ultimi anni in Siria e in Iraq). Efrîn, nel più vergognoso silenzio del consesso internazionale, da quel giorno strenuamente resiste: i figli e le figlie di Efrîn stanno stupendo il mondo, come fecero i loro fratelli durante il lungo assedio di Kobanê.

Migliaia di persone di diverse etnie intere famiglie di Curdi, Arabi Siriani, Armeni, Assiri, Ceceni e Circassi hanno percorso centinaia di chilometri – anche con mezzi di fortuna – da Raqqa, Tabqa, Deir–ez-Zor, Cizire, Manbij e Sinjar per portare solidarietà e supporto alla popolazione di Efrîn, pienamente consapevoli di andare incontro ai violenti e vili attacchi da parte delle forze turche, che (quando si tratta di uccidere) non discriminano tra civili e militari né tra uomini, donne e bambini né tra sassi e antichissimi monumenti.

Oltre 72 ore di viaggio non hanno spezzato il morale di quelle migliaia, determinate a raggiungere Efrîn per affiancare il suo popolo nel contrasto al piano d’invasione messo in atto dal governo turco nel tentativo di piegare la popolazione della Siria del Nord e, in particolare, quei Curdi che hanno combattuto e hanno liberato l’intera regione dai mercenari dell’auto-proclamatosi Stato Islamico, di Jabhat-al-Nusra e delle altre fazioni estremiste e radicaliste islamiche.

Agli indefessi viaggiatori, che man mano giungevano a bordo di oltre ottocento autovetture grandi e piccole, venivano offerti polpette di riso e bevande. La fila di persone scese dalle autovetture era davvero impressionante, almeno quanto l’effetto di quelle migliaia di voci che gridavano “I popoli della Siria del Nord sono un popolo solo! Sono un popolo unito!”

Alla evidente e grossolana bugia del Presidente turco Erdogan e del suo governo, che – alla obiezione mossagli da alcuni giornalisti riguardo al numero di vittime civili provocate dai bombardamenti – avevano dichiarato che i combattenti curdi li stessero usando come scudi umani, sono giunti migliaia di “scudi umani” volontari pronti a frapporsi tra i barbari e la propria terra…e tutti portavano ben visibili segni di gioia sui loro volti e un ramoscello di ulivo in mano (simbolo di pace, scandalosamente utilizzato dalle forze armate turche per designare tale “operazione militare” che sembra piuttosto un crimine di guerra tout-court). Migliaia di voci hanno inneggiato alla resistenza e alla vittoria per Efrîn e per i popoli del Rojava (Kurdistan occidentale/Siria settentrionale):

“I popoli che si sono liberati dal giogo nazi-islamista non si piegheranno ad altre forze!

“Efrîn sarà un immenso cimitero per i mercenari di Erdogan!”

Nelle “pause”, balli e canti tradizionali: migliaia di mani unite, migliaia di passi e migliaia di voci all’unisono per mostrare al diabolico nemico che “Efrîn non è sola!”

I mezzi d’informazione internazionali – o almeno la maggior parte di essi – ignorano volutamente quanto sta accadendo nella terra degli ulivi e il loro pubblico non ha modo di vedere quelle migliaia di ramoscelli di ulivo in quelle migliaia di mani strette a difesa di Efrîn né quelle migliaia di gambe in cammino né quelle migliaia di braccia che hanno lasciato a migliaia di chilometri di distanza le proprie case, le proprie cose e i loro affetti.

La gente vede quelle migliaia di vite pronte a morire purché la libertà viva per tutti!?

Erdogan, probabilmente, le conta nei suoi incubi notturni.

E voi, le vedete?

Ne sentite il fremito?

E tu?

di Akram Barakat

*Efrîn è in curdo di Afrin