Cizre, l’ordine della pulizia etnica
Pattuglie in marcia fra edifici scarnificati. Le case sventrate, incenerite preventivamente sotto il fitto tambureggiare di granate. Nera pece tutt’attorno, dentro e fuori i locali che plumbee nubi incorniciano all’orizzonte. Anche il tempo meteorologico s’è vestito a lutto nelle cittadine di Cizre e Sirnak, spettrali icone dei mesi d’assedio e guerra. Certo guerra, quella che c’è stata per settimane fra le truppe inviate da Erdogan per “ripulire i luoghi dai terroristi”, e terroristi per il presidente turco sono tutti i kurdi del sud-est, compresi i neonati, uccisi fra le braccia delle loro madri e assieme a loro. Questo è accaduto, ma pochi, pochissimi ne parlano. I media occidentali sono concentrati sui massacri siriani, drammi non inferiori prodotti da satrapi al comando di entità prosciugate, invasati sanguinari che inseguono nuove pazzie, cinici calcolatori dei propri interessi economici e geopolitici, mascherati da vigili statisti di aree trasformate in orrifiche bolge.
Nella regione uno di questi alchimisti è proprio Recep Tayyip Erdogan, che ha alacremente lavorato affinché la distruzione, presente ai confini dell’uscio turco, si riaffacciasse drammaticamente in casa. Ma sulle case dei nemici kurdi.A costo di vedere la morte presentare ogni giorno un conto salatissimo, riversato dalla sua politica sui militari della mezzaluna, a loro volta seminatori di lutti contro i “terroristi del Pkk” e sulla gente che non ha più potuto camminare per via perché bersagliata, assassinata, maciullata da cecchini. Così è indotta a dileguarsi oppure è deportata altrove, per forza. E’ tornata la pulizia etnica conosciuta vent’anni addietro, dicono nel partito Hdp, mentre chi è abbastanza vecchio da ricordare vicende accadute e ascoltate quand’era piccino parla di soluzione finale di hitleriana memoria. Nessun’idea di pace attraversa la mente politica agitata, bramosa, iraconda e megalomane di Erdogan.
Lui ha conosciuto altri periodi, magari tatticamente truffaldini, nel mostrarsi dialogante in un moderatismo politico-confessionale che dalla prigione kemalista l’aveva portato in cattedra alla poliedrica Istanbul, quindi al governo. Tutto ciò è sepolto, insieme a migliaia di cittadini. In queste ore mentre i comunicati delle associazioni kurde richiamano gli ultimi otto massacrati, un’algida nota del ministro dell’Interno Ala afferma che l’ordine si riaffaccia in città. Spianate le trincee, disinnescati gli ordigni, si annuncia la costruzione di trentanove caserme nei distretti, con quattromila poliziotti che torneranno a risiedere in loco. Previsti addirittura abbattimenti e ricostruzioni anche nel centro storico di Sur, quello del Minareto delle ‘quattro gambe’ dove, a novembre, l’avvocato dei diritti Elçi s’è visto trapassare il cuore. Da settimane la gente non fa altro che seppellire i propri simili, un funerale via l’altro, in un gigantesco martirio che, come altrove, può definirsi genocidio.
3 febbraio 2016
di Enrico Campofreda