Chi sono le donne kurde che difendono la democrazia e la libertà dagli islamisti dell’IS
Il Vicepresidente del Parlamento europeo Davide Sassolli scrive sulla sua pagina FacebooK. «Sono ore drammatiche, decisive. Nella città siriana di Kobane un manipolo di combattenti curdi, tra cui molte donne, si oppone casa per casa all’avanzata dei fanatici dell’Isis. Sanno benissimo che, se catturate, verranno torturate e decapitate. Ma combattono per la propria terra, per la libertà, per l’umanità. Il mondo si inchini di fronte a tanto coraggio». Quello che scrive l’esponente del PD è vero e giusto, ma da ex giornalista non può non sapere che quelle coraggiose donne Kurde appartengono alle Women’s Protection Units delle forze di autodifesa dal Partito di Unione Democratica (PYD), che ha instaurato un governo autonomo nel Rojava (o Kurdistan occidentale siriano), una forza politica di sinistra considerata molto vicina al Partîya Karkerén Kurdîstan (PKK – Partito dei Lavoratori del Kurdistan), dichiarato organizzazione terroristica dalla Nato, dagli Usa e dall’Italia. Non dice che quelle donne che difendono la democrazia e la libertà di fronte ai tagliagole fascisti dello Stato Islamico (Daesh in arabo) hanno sulle divise la stella rossa comunista e che a fianco a loro ci sono i guerriglieri del PKK infiltratisi in Siria, mentre la Turchia (Paese Nato) impedisce ai kurdi di andare a dar manforte alle loro compagne e compagni assediati dagli islamisti tagliagole e misogini dell’Isis.
La comandante dell’unità protezione delle donne del YPJ di Kobane, Meysa Ebdo, ha detto che «L’Isis sta cercando di massacrare i civili nella regione e il mondo intero sta guardando», poi ha a invitato tutte le forze politiche del Kurdistan a «mettere da parte le loro differenze e difendere il Kurdistan» ed ha invitato i giovani a «stare dalla parte della resistenza a Kobane. Questa resistenza sta per demolire i confini».
In un programma andato in onda ieri sera su Med Nuce, la Ebdo ha detto che, dato che lei e le sue compagne sono «in trincea contro l’Isis dal 2 di luglio non siamo in grado di seguire la stampa ed i media, ma ringraziamo tutti coloro che hanno sostenuto la resistenza a Kobane. L’Isis spera di massacrare centinaia di migliaia di curdi nella regione di Kobane. Stiamo resistendo contro questo. E il mondo tace. Le organizzazioni per i diritti umani sono rimaste silenti di fronte alle nostre richieste. Ciò dimostra che l’Isis non sta lavorando solo per se stesso. L’Isis viene utilizzato come strumento per fare in modo che i Kurdi rinuncino alla loro a volontà».
Questa coraggiosa comandante di un battaglione di eroiche donne musulmane e di alte religioni racconta cosa sta succedendo nella fascia di territorio kurdo che divide la Turchia dal proclamato Stato Islamico: «Molti dei nostri amici, maschi e femmine, sono stati martirizzati mentre resistevano contro questi attacchi. Attualmente, migliaia di nostri combattenti sono nei campi di battaglia dove fanno storia. Abbiamo evacuato i civili dai villaggi che erano sotto attacco. Chiunque sia abbastanza in forma per portare armi lo ha fatto per proteggere le nostre case e terre. Tutti dovrebbero sapere che non permetteremo a queste bande di avere successo. Chiunque sia dietro queste bande, qualsiasi arma tecnologica possiedano, non ci riusciranno. Da qui in poi, nessuno può far fare un passo indietro al popolo kurdo».
Ebdo, prima di tornare a combattere i fascisti islamisti ha ricordato che «Questi attacchi non sono solo contro Kobane e la sua gente, ma contro la volontà del popolo kurdo. Vorremmo che tutti i partiti politici e le organizzazioni del Kurdistan capissero che questi attacchi sono contro di loro. Quella che viene attaccata a Kobane è l’idea del Kurdistan. Vorremmo invitare tutti i partiti politici a mettere da parte le loro differenze ed a proteggere il Kurdistan». Intanto, il 26 settembre, un gruppo di anarchici turchi di Istanbul sarebbe riuscito a traversare la frontiera turca ed a raggiungere Kobane, creando una sorta di battaglione internazionale che rimanda alla guerra civile spagnola, speriamo che anche questa volta non vincano i fascisti.
Jacques Berès, chirurgo e co-fondatore di Médecins Sans Frontières e Médecins du Monde, tornato da una missione umanitaria nell’area della battaglia nel Rojava, ha detto: «Faccio questo lavoro da più di quarant’anni, ma quello che ho effettivamente visto nelle ultime settimane in Siria è peggio di qualsiasi cosa io abbia mai visto in tutta la mia vita. Se i paesi occidentali non agiscono immediatamente ci sarà sicuramente un genocidio. La guerra in Siria è orribile. Ho visto corpi bruciati, strappati a pezzi, senza braccia o gambe, la maggior parte dei quali civili. Il mio lavoro, durante una missione di due settimane, è inadeguato rispetto al lavoro richiesto. Non ho potuto effettuare più di 7 o 8 interventi chirurgici al giorno. Ma ogni attacco da parte dei jihadisti dell’Isis causa decine di feriti. Ogni giorno ci sono decine di questi attacchi.
E tra i combattenti uccisi o feriti per difendere il Rojava dalle orde barbariche dello Stato Islamico ci sono giovani e molte donne. «La percentuale di donne che combattono nelle file dell’YPG / YPJ ( (People’s Protection Unit) – ha detto Berès – è molto alta. Almeno il 40% dei combattenti gravemente feriti che ho medicato sono donne. Questa è una caratteristica unica della regione. Le strutture della società curda sono laiche, il ruolo delle donne è molto importante, a capo di ogni istituzione di solito ci sono un uomo e una donna, una visione che è in contraddizione con la misoginia tipica di questa zona del Medio Oriente. Questo punto di vista si scontra anche con il fondamentalismo dogmatico dell’Isis. Ero solo un chilometro di distanza dal fronte di battaglia e ho visto le donne ed i giovani combattenti respingere gli assalti dei jihadisti con semplici fucili semplici e kalashnikov. I combattenti sono armati di coraggio e spesso provengono da Kurdistan turco per aiutare la resistenza nel Rojava. Ma sono dotati solo di vecchi kalashnikov».
La questione delle armi, non è secondaria: le bande islamo-fasciste dell’Isis attaccano le milizie della sinistra kurda con carri armati, lanciamissili, veicoli blindati e armi pesanti. D’altra parte le donne e gli uomini kurdi sono equipaggiati solo con kalashnikov e lanciarazzi. «Dove sono le armi che l’Occidente (Italia compresa, ndr) ha promesso di consegnare? – si chiede Berès – Non abbiamo visto le armi occidentali qui , invece non solo abbiamo visto jihadisti provenienti dalla Turchia, ma anche carri armati che passano attraverso il confine turco. La Turchia continua ad avere un comportamento ambiguo a causa degli interessi strategici ed economici coinvolti».
Infatti il Rojava- Kurdistan Occidentale è una terra ricca di petrolio, cosa che attira l’interesse non solo dello Stato Islamico/Daesh, ma anche dela Turchia. «In questa regione – spiega Berès – ci sono 1.173 campi petroliferi. La maggior parte dei quali erano operativi prima della guerra civile. Più del 60% del petrolio siriano proveniva da questa regione. Oggi sono chiusi ma il loro potenziale energetico è molto alto. Prima della guerra civile, questa regione era tra le più prospere e tolleranti di tutta la Siria. Qui si trovano moschee o sinagoghe. Se l’Isis prenderà il controllo del Rojava sarà la fine di tutto questo».
Ma Kobanê è completamente circondata «Ora è come un enclave. Nella regione abbiamo visto venire la FSA (Free Syrian Army), il Fronte Al Nusra, ora la città di Kobanê è assediata dalle squadracce dell’Isis. Il problema è che il confine con la Turchia rimane chiuso e la Turchia ha costruito un muro alto 5 metri. Niente armi, niente medicine, nemmeno un sacchetto di riso o un litro di latte passa attraverso il confine. La Turchia blocca ogni convoglio. Così i Kurdi combattono da soli, sono intrappolati tra soldati turchi e le bande dell’Isis e non possono fuggire nessuna parte. Ma una cosa è certa: se la città di Kobane cadrà nelle mani dell’Isis, la Turchia avrà un’enorme responsabilità nel genocidio che ne seguirà». E con la Turchia la Nato e gli altri Paesi suoi alleati, compreso il nostro. Invece l’esercito turco impedisce a migliaia di giovani, socialisti, sindacalisti, comunisti, rivoluzionari, femministe, libertari, provenienti da tutta la Turchia, di passare il confine per andare a Kobane a sostenere i rifugiati e le milizie kurde che difendono la città dai fascisti del Daesh.
Intervenendo al meeting dell’International Political Women’s Council in Germania, la co-presidente dell’Assemblea popolare del Rojava, Sinem Muhammed, ha ricordato che «La YPJ (Woman’s Protection Units) sta lottando per conto di tutte le donne del Medio Oriente e del mondo. Ora io sono qui, però nel mio paese le donne si trovano ad affrontare la minaccia di un massacro su larga scala. La Rivoluzione del Rojava, con le Assemblee delle sue donne, le accademie e le case delle donne è una rivoluzione delle donne. Insieme alle altre ragioni, questo è uno dei motivi principali per spiegare perché l’Isis sta attaccando Rojava».
Muhammed, rivolgendosi alle democratiche donne occidentali ha ricordato per cosa stanno combattendo le “comuniste” kurde: «Resistendo a questo attacco, l’YPJ combatte contro l’Isis per conto di tutte le donne del Medio Oriente e del mondo. I ranghi dell’YPJ sono costituiti da donne di diverse fedi ed etnie, tra cui curde, arabe, assire, Yezide e cristiane».
La Muhammed ha concluso: «Oggi si potrebbe pensare che l’Isis sia lontano dall’Europa. Tuttavia, questa è una minaccia contro tutte le donne del mondo. Il silenzio deve essere rotto. Oggi, nel Rojava l’YPG e il YPJ stanno difendendo i valori dell’umanità».