Associazione Verso il Kurdistan: Oggi 9 Gennaio 2019

Oggi è l’anniversario, 6 anni dopo, dell’uccisione di 3 donne straordinarie ! Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Saylemez. Leggi Tutto in PDF – 9 gennaio

Sakine Cansız nacque a Dersim (Tunceli, nord della Turchia) nel 1958. Attiva nel movimento giovanile studentesco di Elazığ, Sakine Cansız si unì al movimento rivoluzionario curdo nel 1976 e divenne uno dei fondatori del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan). Dopo aver partecipato al congresso di fondazione del PKK, il 27 novembre 1978, la Cansız venne arrestata a Elazığ e incarcerata insieme ad un gruppo di amici. Fu sottoposta a pesanti torture nel periodo
seguito al colpo di stato militare del 12 settembre del 1980. Grazie al suo coraggio e alla sua resistenza è diventata un simbolo della lotta per la libertà delle donne curde. Come donna leader del PKK presentò una difesa politica davanti al tribunale militare di Diyarbakir. Dopo il suo rilascio nel 1991 ha continuato la sua lotta in diversi luoghi del Medio Oriente.

Nel 1998 la Cansız ottenne l’asilo politico in Francia, per poi essere attiva politicamente sulla questione curda e sui temi delle donne in diversi paesi europei inclusa la Germania, dove fu brevemente incarcerata ad Amburgo. Era membro del Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK) con sede a Bruxelles. Sakine Cansız era un’icona della lotta per la liberazione delle donne curde, sia per la popolazione curda in Kurdistan sia nella diaspora.

Sakine Cansız è storia. E’ l’incarnazione del volto femminista del movimento di liberazione kurdo. Lei è la donna che ha sputato in faccia al suo torturatore, quando era in carcere. Lei è la donna dai capelli rosso scarlatto. Era piena di vita, era una sorgente di amore. Lavorava nel mondo ogni mattina, era una vegetariana per motivi etici. Lei è la donna che, dopo tutto quello che ha attraversato, passerà alla storia come una convinta sostenitrice della giusta causa del movimento curdo, una persona che non ha mai rinunciato alla libertà. Lei non è un terrorista ma un’eroina, e si e guadagnato perfino il rispetto dei suoi nemici. I suoi occhi dolci e il suo bel sorriso, nonostante tutto l’orrore che aveva passato, erano una fonte di incoraggiamento e di forza per una nazione intera. La sua morte è una perdita per l’umanità. Com’è triste che il mondo sia arrivato a conoscerla solo con la sua morte.

Ha scritto tre libri : nei due primi volumi narra la sua infanzia a Dersim, la faticosa costruzione del movimento di liberazione curdo e la sua detenzione nelle galere turche; nel terzo volume racconta gli anni trascorsi – dopo il rilascio dal carcere nel 1990 – in montagna, nella guerriglia.

I militanti incarcerati arrivavano spesso al “suicidio di protesta” per fermare la deriva autoritaria in Turchia, mentre la sua resistenza è diventata eroica e d’esempio per gli altri.

La vittimizzazione non è un metodo della resistenza curda.Lei fa parte di quelle persone che hanno saputo resistere, consentendo la ripresa di un movimento che dura tuttora. In compenso parla dei progetti e tentativi di evasione.Con la loro resistenza tenace Sara e le altre compagne hanno saputo proteggere il movimento.

Nei diversi distretti invasi e che subiscono la guerra anche le madri prendono il fucile. Non per militarizzare il movimento, ma per tutelare, garantire la possibilità di una vita sociale libera, equa, fondata sul rispetto reciproco, sull’empatia».Combattere non è sufficiente. Occorre responsabilizzare tutti: le madri, i bambini. Imparare che le differenze sono una ricchezza, non devono diventare fonte di divisione. (….)

Fidan Dogan, nata il 17 gennaio 1982 ad Elbistan (Turchia)
Arrivata in Francia all’età di 9 anni con la sua famiglia che aveva trovato rifugio in questo paese, Fidan aveva, grazie a suo padre, imparato il francese in 6 mesi. Molto presto decise di utilizzare la lingua che aveva appreso al servizio della lotta di liberazione del suo popolo. Lavorava con una notevole determinazione per far conoscere al mondo la causa del popolo curdo. La si poteva incontrare una volta nei corridoi del Parlamento Europeo per raccogliere le firme dei parlamentari, un’altra volta al fianco di chi faceva lo sciopero della fame, un altro giorno ancora a gestire l’organizzazione di una conferenza internazionale o dietro a uno stand in America Latina, o ancora, come interprete,accompagnando un deputato curdo venuto dalla Turchia.

Se questa morte barbara non avesse avuto luogo, avrebbe partecipato al Newroz storico di Diyarbakir, il 21 Marzo scorso. Avrebbe rivisto il villaggio che aveva dovuto abbandonare quando era una bambina. Era il suo sogno. Non è riuscita a realizzarlo lei stessa, ma è stato realizzato, per lei, da milioni di persone che hanno accolto le sue spoglie a Diyarbakir e l’hanno accompagnata fino al suo villaggio natale, Male Butan….(….)

Leyla Şöylemez(1 January 1989,Mersin – 9 January 2013, Paris).

L’esilio di Leyla era iniziato ancor prima della sua nascita. Aprì gli occhi a Mersin, regione nella quale la sua famiglia si era stabilita dopo essere stata costretta ad abbandonare il distretto di Lice, nella provincia di Diyarbakir. Nel 1993 quel distretto fu interamente raso al suolo dall’esercito turco. Leyla aveva allora 4 anni. All’età di 10 anni, Leyla conobbe un secondo esilio. Stavolta andò con la sua famiglia in Germania, dove ha ripreso a studiare insieme ai suoi fratelli e sorelle. Anche in esilio mostrava grande interesse per la sorte del suo paese messo a ferro e fuoco. Oltre alla scuola, partecipava alle attività culturali di una associazione curda. Fino al suo assassinio ha attivamente militato nelle fila della gioventù curda. C’era un mandato d’arresto contro lei come membro di un organisazione terroristica.

L’uccisione
10 gennaio 2013, Rue de la Fayette, Parigi, Centro di Cultura Curda vengono ritrovati i corpi senza vita di tre donne. Si tratta di Sakine Cansiz, una delle fondatrici del Pkk (Partito dei Lavoratori Curdi), Fidan Dogan, rappresentante del Congresso nazionale del Kurdistan e Leyla Soylemez, attivista nel movimento. Il triplice omicidio risale con molta probabilità al tardo pomeriggio di mercoledì. Considerando che le donne si trovavano nel centro informazioni dell’istituto – a cui si accede solo digitando un codice e citofonando -, si è ipotizzato che conoscessero chiunque abbia sparato, che ne ha colpite due in fronte e una sull’addome. Quel che è sicuro, perlomeno, è che siano state loro stesse ad aprire la porta.

La Francia e la Turchia sono entrambe scosse, tanto che a Strasburgo, dove risiede un’alta percentuale di curdi, c’è già stata una manifestazione nella giornata di oggi e domani ci si prepara a scendere in piazza anche a Parigi. L’omicidio di queste tre donne potrebbe essere una disgrazia senza implicazioni, ma nella guerra senza fine tra turchi e curdi nulla sembra avvenire per caso. E ognuno ha la propria interpretazione dei fatti.

L’assassino è stato arrestato e si chiamava Ömer Güney, aveva 34 anni ed era turco. Lavorava alla manutenzione all’aeroporto di Paris Charles de Gaulle. Ma alla scadenza del processo (già rinviato) è morto in carcere per un tumore al cervello. Molto opportunamente, vien da dire.

Le indagini sono state complesse e spesso ostaccolate e si sospetta che il vero mandante delle esecuzioni siano stati i servizi segreti turchi. Pero alla morte di Güney a fine dicembre 2016 le inchieste si sono concluse a gennaio 2017!

Sono state uccise per attaccare direttamente la lotta di liberazione, il suo prestigio. Chi le ha fatto assassinare voleva soprattutto affossare in primis il movimento delle donne e poi tutto il movimento curdo. Ma il popolo curdo non dimentica. «Noi, quando qualcuno muore – ha sottolineato l’esponente di UIKI – ci prendiamo la responsabilità del suo operato, portiamo avanti anche il suo lavoro». Senza mai cadere nel vittimismo, un atteggiamento a cui Sara si era sempre opposta.