Ankara manda i carri armati nelle città kurde

Turchia. Migliaia di soldati e poliziotti dispiegati per inasprire i coprifuoco a sud-est. 200mila persone in fuga, 200 i civili uccisi da luglio. Ma i kurdi continuano a manifestare.

Nel Kurdistan turco è in corso una vera operazione militare contro combattenti del Pkk e popolazione civile. Una punizione collettiva che ha ucciso già oltre 200 civili e costretto alla fuga 200mila persone. Ankara aveva promesso un inasprimento della repressione, ma quello che accade nel sud est della Turchia va oltre. È una guerra: ieri nelle principali città kurde sono stati dispiegati i carri armati che non hanno sparato contro edifici civili, mentre migliaia di soldati e poliziotti arrivavano a Diyarbakir, Silopi, Yuksekowa, Cizre per intensificare i coprifuoco dichiarati due settimane fa.

Nel pomeriggio a Diyarbakir tre case sono state centrate da colpi di artiglieria, ferendo 7 persone; nelle stesse ore le forze turche occupavano la sede del comune di Silopi, nel devastato distretto di Sirnak.

I morti sono quotidiani. Ieri a cadere sotto il fuoco turco sono stati 25 combattenti del Pkk, ma anche un anziano morto soffocato nella sua casa a Silopi centrata da una bomba. Il giorno prima una 30enne e un bambino di 11 anni erano stati uccisi a Cizre: «I cecchini turchi prendono di mira soprattutto i bambini – ci racconta l’attivista Burcu Çiçek Sahinli – Sono almeno 20 i minorenni uccisi da luglio, quando la guerra è ricominciata. Ora sono entrati i carri armati, sparano».

Il governo dell’Akp vuole «sradicare» il Partito Kurdo dei Lavoratori, dice. Ma le azioni compiute in questi mesi nel Kurdistan turco svelano altri obiettivi: piegare definitivamente la resistenza popolare kurda, in un periodo in cui aveva attinto nuova linfa dai combattenti kurdi siriani di Rojava; e distruggere il partito di sinistra Hdp. Per ora, però, i kurdi non si arrendono: mercoledì e ieri erano migliaia le persone in piazza nelle principali città, aperta sfida ai coprifuoco di Ankara.

Chiara Cruciati, Il manifesto