Un’altra democrazia

Le comunità curde del Rojava (Siria settentrionale) e una nuova forma di autogoverno popolare. Intervista al presidente dell’UIKI Onlus, Ozlem Tanrikulu. [Anna Lami]

In queste settimane, dopo anni di oblio, la questione curda è tornata alla ribalta. L’avanzata delle forze IS (stato islamico) è stata infatti arginata grazie al fondamentale apporto dei guerriglieri dell’YPG, vicini al PKK turco di Ocalan, i primi ad intervenire in Iraq per difendere le minoranze yazide e cristiane dalla furia fondamentalista, mentre l’esercito regolare iracheno e i peshmerga del governo regionale del Kurdistan iracheno erano in rotta. Nella cosiddetta “zona libera del Rojava” (Siria settentrionale), dal 2011 le comunità curde sono riuscite a farsi espressione politica sperimentando un’interessante forma di autogoverno popolare radicalmente democratico, a-confessionale e aperto a tutte le etnie che abitano quei territori. Per saperne di più abbiamo intervistato Ozlem Tanrikulu, presidente dell’ UIKI Onlus (Ufficio Informazione del Kurdistan in Italia, http://www.uikionlus.com) (a.l.)

Potete spiegare ai nostri lettori in cosa consiste il confederalismo democratico nei tre cantoni della zona libera del Rojava (parità di genere, pluralismo politico, diritti delle minoranze)?

La democrazia del popolo che si è sviluppata e che, giorno dopo giorno, si consolida sempre di più in Rojava si basa sul sistema ideologico del “Confederalismo Democratico” annunciato da Abdullah Öcalan nel 2005. Il paradigma del confederalismo democratico consiste nella “libertà democratica, ecologica e di genere”. Con il termine “democrazia” qui non ci si riferisce al sistema parlamentare: la democrazia parlamentare (rappresentativa) ritiene necessaria la partecipazione popolare solo ogni 4-5 anni e, inoltre, lascia la popolazione alienata, alla mercè delle frange lobbistiche dei deputati eletti. Questa “democrazia elementare/semplice” si basa sugli interessi del governo centrale e delle grandi aziende e non è mai venuta incontro alle reali esigenze della società, in nessuna parte del mondo. Diversamente, una vera democrazia, altrimenti definibile “democrazia del popolo”, richiede approcci diversi, molto zelo e tempi lunghi. Uno sforzo in questa direzione è proprio quello che centinaia di migliaia di persone stanno facendo da tre anni in Rojava. Naturalmente ciò non è nato dal nulla, ma è il risultato di una lunga serie di precedenti e di un movimento politico pluriennale.

Negli anni ’90 la popolazione di svariate città iniziò a formare assemblee e comitati di autogoverno, limitata però dalla necessità di agire clandestinamente. Questo sistema conobbe grande diffusione tra il 2000 e il 2004 come effetto dell’incremento della repressione del governo, quindi, nel 2011, l’istituzione di qualsiasi attività fu resa più agevole. Il secondo terreno di esperienza è rappresentato dall’avvio di assemblee popolari in Kurdistan settentrionale nel 2007, la cui organizzazione ombrello era il DTK (“Demokratik Toplum Kongresi”, Congresso della Società Democratica). Nella primavera del 2011 ad Afrin, Aleppo, Kobani, Cizire e Damasco, ossia in tutti i luoghi abitati da un numero elevato di curdi, ci fu un breve periodo di fermento, ma la realizzazione concreta del confederalismo democratico si ebbe solo con il tempo e con l’acquisizione di una maggiore esperienza. Tale processo è tuttora in corso. Inizialmente venivano convocate riunioni a partire da realtà come i quartieri o i villaggi in cui si dibatteva con il popolo sulla formazione del movimento. In breve tempo furono create assemblee a livello rionale e nei villaggi, i quali spesso si coalizzavano per formare assemblee uniche di grado più elevato, analogo a quello delle assemblee dei quartieri delle città. Il passo successivo, corrispondente al secondo (terzo) gradino del modello piramidale, consiste nell’istituzione delle assemblee a livello regionale. L'”assemblea regionale” comprende una città e uno svariato numero di villaggi del suo hinterland. Ad esempio, l’assemblea popolare di Serêkaniye rappresenta sia le assemblee dei quartieri delle città che le assemblee dei villaggi situati nelle aree rurali, spesso densamente popolate. L’organismo più piccolo era rappresentato dall’assemblea del villaggio delle aree rurali: a causa del fatto che, in proporzione, le assemblee rionali delle città erano troppo grandi dal punto di vista della popolazione, si generò un dibattito che portò alla nascita delle “assemblee della strada”. In un secondo momento sorse un’organizzazione collocabile su un gradino ancora più basso, che consentiva alle persone di relazionarsi più agevolmente e di non sentirsi escluse.

Quest’organismo, che si formò nelle città, venne denominato “comune” (komun in curdo). Se pensate che questo termine sia un prestito dalle lingue europee, vi sbagliate: in curdo la parola “kom” significa “società”. In una comune, a seconda dei casi, vi è un numero di abitazioni variabile da 30 a 500, ma generalmente non si superavano le 150 unità, e comprende un numero esiguo di strade. Ogni “comune” cerca di organizzare la vita politica, economica, sociale e culturale della propria strada (o strade) o del proprio villaggio e di discutere e risolvere eventuali problemi. Inoltre, invia i propri amministratori eletti (tra i 5 e i 7 individui) all’assemblea rionale in qualità di delegati. Tutti, ad eccezione degli amministratori eletti, possono partecipare alle riunioni convocate settimanalmente o bisettimanalmente dalle comuni. Periodicamente tutti vengono convocati alle assemblee della comune. Anche l’assemblea rionale invia i delegati scelti all’interno del suo organico all’assemblea regionale.

Un altro organismo altrettanto importante è costituito dalle Assemblee delle Donne, istituite a livello rionale o cittadino solitamente da parte del movimento politico delle donne “Yekitiya Star”. Le donne, nel tempo, si organizzano in maniera più completa e le assemblee delle comuni/popolari avvertono la necessità di risolvere le questioni riguardanti il genere femminile insieme alle assemblee delle donne. In base al livello di organizzazione, i comitati e le assemblee giovanili vengono fondate con il nome di “Ciwanen Şoreşger” (“Giovani Rivoluzionari”). In ogni assemblea rionale o delle comuni vi è necessariamente anche un comitato addetto all’economia, che si occupa dei bisognosi, offrendo sostegno alimentare, risolvendo il problema della corrente elettrica, organizzando i lavori di distribuzione di beni all’interno della comune o del quartiere e raccogliendo periodicamente aiuti. L’assemblea rionale è composta dalle amministrazioni di tutte le comuni della propria area.

Tutte queste regioni del Rojava e i curdi di Aleppo (a Damasco e nella altre città della Siria il sistema MGRK non ha potuto essere creato, poiché con l’inasprirsi della guerra gli organismi esistenti si sono dissolti), si riuniscono insieme ai delegati da loro eletti nell’Assemblea del Popolo del Kurdistan Occidentale (MGRK). L’MGRK è stato annunciato nell’estate del 2011. Nel 2013, con le aggressioni da parte di gruppi armati contro le tre regioni del Rojava e la conseguente interruzione dei collegamenti, queste tre regioni (e Aleppo) hanno fondato una propria organizzazione dove comunque di solito agiscono in maniera piuttosto autonoma. L’MGRK, nel suo grado più elevato, è rappresentato da due co-presidenti (Abdulselam Ahmed e Sînem Muhammed) e si avvale di un’amministrazione di 33 membri incaricata di coordinare le attività ai livelli più alti. Il sistema della co-presidenza intende garantire una rappresentanza paritaria per genere.

È importante sottolineare che il sistema descritto non vale solo per i curdi: tutti gli abitanti dei tre cantoni sono rappresentati, perchè si tratta di un sistema che non si basa sull’appartenenza etnica, bensì sulla rappresentanza dal basso, e chiunque vive nel territorio ne fa parte ed è coinvolto. E’ una soluzione che potrebbe essere potenzialmente risolutiva di molti dei conflitti etnico-religiosi che attualmente caratterizzano in negativo il Medio oriente così come altre parti del globo.

Si parla molto delle guerrigliere curde, in primo piano nella lotta contro l’IS. Quando è iniziato il processo emancipativo delle donne curde? Potete spiegarci qual è il ruolo delle donne nella cultura curda e nella lotta armata, rispetto a quello che ricoprono nel resto del mondo mediorientale attualmente?

Il Presidente Abdullah Ocalan ha sempre dato molta importanza al ruolo delle donne per il cambiamento della società. Anche su questo terreno è stato fatto un enorme lavoro fin dagli anni ’70, lavoro iniziato in Kurdistan settentrionale fra l’altro da Sakine Cansiz, e che ha portato in questi decenni i suoi frutti anche in Rojava. Bisogna premettere che la donna, nella cultura curda, ha sempre goduto di uno statuto un po’ differente rispetto alle altre comunità; storicamente però ha poi prevalso l’oppressione, e contro questo sistema il movimento ha lottato strenuamente, portando le donne ad assumersi direttamente delle responsabilità in esso.

Ecco perché la forte presenza e il ruolo delle donne anche nella difesa della popolazione (solo uno fra le attività che coinvolgono le donne) non giunge inatteso, e può stupire solo chi non conosce il movimento curdo. Le donne si sono organizzate autonomamente sia nelle forze di difesa sia nei restanti settori della società. Lo vivono sia come un dovere patriottico ma anche come un modo per emanciparsi dal retaggio feudale che le vorrebbe a casa a occuparsi della famiglia e basta.

Le donne sono rappresentate in misura almeno del 40% nei consigli e nelle comuni, oltre ad essere parte attiva di centinaia di associazioni e organizzazioni della società civile. Ricordo quindi il già citato sistema co-presidenziale. Questo naturalmente fa ancora paura e c’è ancora molto da fare per il raggiungimento di una piena liberazione delle donne. Ma l’esempio pratico vale molto più di tante teorie: oggi ci sono anche donne ad istruire i combattenti peshmerga del Kurdistan regionale (ndr. iracheno) sulle tecniche da utilizzare al meglio contro IS, e perfino gli anziani yezidi chiedono che siano loro a comandare le unità di difesa congiunte perché sostengono che siano molto più affidabili. (nt. I “Pesmerga” sono le forze armate del governo regionale del Kurdistan; invece i “guerriglieri” sono le forze armate popolari).

Si sta verificando una situazione paradossale, che vede da un lato il PKK protagonista assoluto della lotta contro IS, dall’altro l’organizzazione è tuttora inserita nelle liste antiterrorismo di Usa e Ue. Qual è la vostra opinione in proposito?

E’ bene ribadire che le forze di difesa del PKK, insieme alle forze delle YPG e delle YPJ che combattono contro IS da due anni e mezzo, hanno respinto con successo gli attacchi di IS per proteggere la popolazione civile minacciata di morte dai criminali jihadisti che stavano operando e tutt’ora operano massacri indiscriminati. In primo luogo dunque stiamo parlando di un impegno per fermare crimini contro l’umanità che rischiavano di continuare impuniti. Il mondo ha potuto e può vedere la forza organizzativa delle HPG e delle YPG: mentre i peshmerga abbandonavano la popolazione yezida al suo destino, quest’ultime hanno dato prova di capacità notevoli e di rapidità di risposta nonostante fossero equipaggiate con armamenti più leggeri rispetto a quelli in possesso dell’IS.

Unitamente al percorso negoziale in corso attualmente in Turchia con il Presidente Ocalan, l’importanza delle HPG e delle YPG nel contrastare l’IS dovrebbe spingere a riconoscere il PKK come interlocutore ed a toglierlo senza ulteriori indugi dalla lista delle organizzazioni terroristiche. La pace si può fare, dialogando con l’interlocutore su un piano di parità. L’evidente sostegno popolare a questo processo è ormai venuto alla luce. Per questo è stata promossa una campagna che finirà entro il 9 dicembre (invitiamo tutti a firmare l’appello)

Gli Stati Uniti ed altri stati occidentali stanno dando armi al governo di Baghdad ed al Governo regionale kurdo. Negli Usa c’è già chi parla di una nuova coalizione di volenterosi per intervenire anche in Siria. Come valutate l’intervento delle potenze occidentali nell’attuale crisi?

Piuttosto che aumentare le armi in circolazione nella regione, o decidere interventi armati esterni che finiscono per rafforzare alcune parti a scapito di altre, si dovrebbe ricercare una soluzione politica stabile che finalmente consenta ai popoli del Medio Oriente di vivere in pace insieme, nella diversità. Certo, fino a quando perdurerà l’ attuale situazione è evidente la sproporzione di forze sul campo: le forze congiunte curde combattono con kalashnikov e altre armi leggere, mentre IS ha armi pesanti, grazie all’appoggio che gli hanno fornito Arabia Saudita, Qatar, Turchia e altri paesi. Quindi se si mandano armi allora bisognerebbe distribuirle a tutte le forze che stanno combattendo e fronteggiando IS. Il ruolo delle potenze occidentali sembra essere la ripetizione degli interventi neocoloniali: fino a quando si continuerà a destabilizzare la regione per i propri interessi, i popoli del Medio Oriente ne subiranno le conseguenze. Andrebbero piuttosto sostenuti anche con un riconoscimento ufficiale gli esperimenti di autogoverno democratico come in Rojava, che come si diceva prima potrebbero rappresentare una soluzione durevole per la convivenza democratica nell’intera regione.

di Anna Lami
megachip.globalist.it
(5 settembre 2014)