Dossier: Il motivo dell’attacco su Afrin mira ad indebolire il movimento di liberazione delle donne e l’alternativa democratica
La notte precedente il 20 gennaio 2018, l’esercito turco e i suoi alleati jihadisti hanno attaccato congiuntamente il cantone di Afrin. L’esercito turco ha ribattezzato questa guerra d’aggressione “operazione ramo d’ulivo”, a detta della Turchia, una guerra “difensiva”. Gli avvocati della comunità internazionale non sono d’accordo e affermano il contrario. Nel corso del 2017 [cfr. annesso 2: cronologia degli attacchi turchi su Afrin nel 2017] l’esercito turco, armato di artiglieria pesante, ha attaccato almeno una dozzina di volte la zona nord-ovest della Siria col fine di provocare una guerra. In tal senso, l’inizio dell’operazione militare era tutt’altro che inatteso. Si pensa infatti fosse pianificato da tempo. Scarica in PDF tutto.
Con i suoi attacchi terresti e aerei, lo Stato Turco viola il diritto internazionale e commette un crimine di guerra. Soltanto in questi primi 16 giorni di attacchi, sono 129 le vittime civili e per la gran maggioranza sono bambini, donne e persone anziane. Il 4 febbraio, il numero di feriti era di 310. Quasi metà delle vittime civili sono rifugiati arabi, che avevano trovato rifugio nella regione di Afrin in seguito agli attacchi del regime di Assad e dei jihadisti.
Gli attacchi militari sono stati resi possibili dalle tecnologie e dagli equipaggiamenti militari occidentali, in particolare le armi tedesche, inglesi e italiane, utilizzate per attaccare i civili. Ciò fa dei paesi occidentali complici e diretti responsabili di questi crimini di guerra.
Questo genere di imprese pericolose lanciate contro Afrin sono evidenti dalle parole del presidente Erdogan:
“Se Dio lo permette, partendo da Manbij, elimineremo le nostre prede lungo le frontiere e purificheremo completamente la nostra regione da questo male. (…) Innanzi tutto, elimineremo i terroristi, in seguito faremo di queste terre, luoghi di nuovo abitabili.” (24/01/2018)
“Porteremo avanti la nostra operazione “ramo d’olivo” fino a che questo obbiettivo non venga portato a termine. Faremo poi piazza puliti dei terroristi a Manbij, come promesso. La popolazione civile non avrà di che temere, in quanto i veri abitanti di Manbij non sono i terroristi, bensì i nostri fratelli arabi. Continueremo questa guerra fino alla frontiera irachena, fino a che non sia eliminato fino all’ultimo terorista.” (26/01/2018)
“Chi attaccherà le nostre frontiere la pagherà cara. Questa guerra iniziata a Afrin continuerà a Idlib.” (28/01/2018)
Erdogan non prevede soltanto una pulizia etnica e l’occupazione di Afrin da parte degli alleati jihadisti. Egli vuole “distruggere” tutte le strutture democratiche del Rojava e del nord della Siria. L’obbiettivo è quello di eliminare l’autonomia de facto della popolazione curda locale. Il suo intento è quello di privare i curdi di ogni diritto e riportarli alle condizioni precedenti alla guerra in Siria. Lo Stato turco vuole ad ogni costo ostacolare il riconoscimento della Federazione Democratica della Siria del Nord. Questo è il motivo per cui gli attacchi sono cominciati prima della conferenza di Sochi alla quale i rappresentanti della Federazione Democratica della Siria erano attesi.
Il confederalismo democratico, nella forma in cui è concepito nel Rojava e nel nord della Siria, propone un modello di soluzione unica per gran parte dei conflitti in Medio-Oriente. Le frontiere, tracciate dalle potenze straniere un secolo fa, si riproducono incessantemente dando forma alle crisi nella regione. Ridisegnare la carta dei confini non risolverebbe la situazione. Il Confederalismo democratico continua tuttavia a lavorare per l’autoregolamentazione egualitaria e l’autodeterminazione di uomini e donne di ogni etnia e religione. Questo modello, basato sul pluralismo etnico e culturale, è attualmente in fase di costruzione nel Rojava e nel nord della Siria. In tale processo, le donne giocano un ruolo preponderante. Un vero cambiamento verso la libertà e la democrazia, infatti, potrà verificarsi solo quando le donne non verranno più considerate come oggetti, ma rispettate in quanto individui. Afrin e il nord della Siria sono teatro di questo cambiamento.
Il governo AKP in Turchia e i suoi pseudo-alleati dell’ESL diventano simbolo della sovranità maschile, dell’islam sunnita con le sue aspirazioni egemoniche, dell’oppressione delle donne e del sessismo. Ciò si palesa in atti di violenza disumana, si pensi all’abuso perpetrato da parte dell’esercito della Turchia, membro della NATO, nei confronti del cadavere di Barîn Kobanê (Emine Mustafa Omer), una combattete di 23 anni dell’Unità di difesa delle donne. Un video diffuso sui social network mostra come i jihadisti abbiano brutalmente mutilato i seni di Barîn Kobanê e ne abbiano in seguito incendiato il cadavere. Atti simili di barbarie non fanno altro che dar prova dell’odio rivolto alle donne e del carattere disumano degli aggressori.
Questi non si fanno portavoce di alcun modello democratico, al contrario, con i loro attacchi contro Afrin, inaspriscono ancor più il conflitto. Il loro obbiettivo è quello di distruggere completamente la forma di autogestione democratica sviluppatasi nel nord della Siria. Essa rappresenta infatti la prima soluzione in cento anni di conflitti che possa davvero portare a compimento un’alternativa democratica nel Medio Oriente, altrimenti devastato dalla guerra e dal caos. La guerra d’aggressione iniziata della Turchia mira ad indebolire quest’alternativa democratica.
Con il presente dossier informativo, intendiamo illustrare a grandi linee il processo di costituzione di un’alternativa democratica nelle regioni settentrionali della Siria e il ruolo preponderante assunto in esso dalle donne di Afrin. Con questo dossier, intendiamo spiegare in che modo gli attacchi del regime di Erdogan e dei suoi alleati islamisti mirino ad ostacolare la rivoluzione delle donne. Questa rivoluzione deve essere difesa.
Noi, del movimento delle donne curde, vi invitiamo ad unire le vostre voci alle nostre rivendicazioni e utilizzare tutti i mezzi a vostra disposizione per esercitare pressione politica e sociale fino a che i governi occidentali non si sentano costretti a cambiare fronte e impegnarsi a mettere fine agli attacchi turchi contro Afrin.
COSA CHIEDIAMO: Scarica in PDF tutto.