La lotta dei curdi è per l’umanità
di Gianni Sartori- Intervista ai rappresentanti del Kurdistan in Italia
Alcune domande ai rappresentanti dell’Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia (UIKI-Onlus).
In qualche modo l’apparizione dell’ISIS – a cui la Resistenza curda ha saputo opporsi adeguatamente – è legata ad alcune delle Primavere Arabe (come in Siria, Libia, eccetera) nate intorno al 2010. Quello che venne descritto come un “risorgimento” della società civile ha subìto una innegabile involuzione. Una vostra opinione in proposito.
Le Primavere Arabe, in generale, erano rivolte popolari: autentici simboli della ricerca di libertà, democrazia e giustizia dei popoli. I leader di tali movimenti, però, non avevano un obiettivo comune, né un progetto concreto per il futuro. Guardavano alle rivolte solo come uno strumento per ottenere un cambio di potere. Ciò ha messo in discussione anche l’appoggio popolare: quando il popolo si è reso conto della situazione, si è tirato indietro. Un altro aspetto da considerare è la violenza: quando è entrata in gioco tutto è cambiato, perché sia i regimi dittatoriali che altri Stati coinvolti hanno cercato di usarla a proprio favore. I curdi, al contrario, hanno sempre avuto un progetto: per questo non hanno mai perso l’appoggio popolare.
Apparivano invece di maggior incisività (laiche, progressiste, autonome) le sollevazioni che hanno interessato la Turchia negli ultime due anni e in cui era consistente la presenza dei curdi. Come valutate le prospettive di tali movimenti (anche tenendo conto dei recenti risultati elettorali)?
Le rivolte in Turchia sono una risposta all’assenza di un sistema democratico. La Turchia ancora sostiene e difende l’omogeneità dello stato-nazione, considerando tutti gli altri gruppi e popoli come nemici. Principalmente, il suo atteggiamento verso i curdi è caratterizzato dalla tendenza a negare, annientare e assimilare. Se lo Stato turco continuerà a tenere un approccio antidemocratico e militare su ogni questione, le rivolte continueranno, anche con possibilità di successo. Il progetto dell’HDP rappresenta l’alternativa al regime antidemocratico presente in Turchia. Nelle elezioni del 7 giugno l’HDP ha ottenuto un grande successo: e crediamo che continuerà a crescere, perché si tratta di un progetto di pace, basato su democrazia, collaborazione, convivenza e diritti della donna.
La Resistenza di Kobane ha sicuramente rappresentato un punto di riferimento estremamente positivo per larga parte dell’opinione pubblica democratica europea. Purtroppo la stessa stampa occidentale, che aveva solidarizzato con voi, non sembra scandalizzarsi più di tanto per i recenti raid turchi sui campi profughi e sui villaggi curdi. Forse perché la Turchia è un membro forte della NATO? Come giudicate questa ambiguità?
Certo, si tratta di una contraddizione: questa ambiguità è negativa. La NATO ha un ruolo e lo sta giocando. La Turchia utilizza i meccanismi della NATO e dei suoi alleati contro di loro: in tal modo li spinge a rimanere in silenzio, affermando che si tratta di una questione interna, di una lotta contro il terrorismo. In realtà non si tratta di terrorismo, ma di una vera e propria guerra, e tutti avrebbero l’obbligo di muoversi nel rispetto della Convenzione di Ginevra. Stati Uniti e Unione Europea dovrebbero fermare questi comportamenti della Turchia, far sentire la propria voce; anche perché dovrebbero riconoscere che i curdi sono parte della guerra contro l’ISIS e che tutti gli attacchi contro i curdi facilitano solo l’avanzata di ISIS. La contraddizione di base è chiara: se lo Stato Islamico è un nemico comune, perché non viene fermata la Turchia quando attacca proprio quei curdi che hanno lottato e continuano a lottare contro di esso?
Il processo di pace avviato due anni fa su indicazione di Ocalan sembra naufragato a causa della politica guerrafondaia e sciovinista del governo turco dell’AKP. Da un riesame di questo processo, pensate esista ancora una concreta possibilità di riprendere le trattative tra organizzazioni curde e governo turco per una soluzione politica del conflitto?
Le questioni non si risolvono con la guerra ma con la democrazia: né il PKK né la Turchia possono risolvere la questione con la guerra; l’unica strada è la pace, il dialogo, l’alleanza. Entrambe le parti sono consapevoli di questo. Se si vuole riprendere il processo di pace, esso dovrebbe essere condotto secondo le convenzioni internazionali. Ogni guerra ha anche la sua pace; per costruire la pace c’è bisogno delle due parti. Quindi è necessario un cessato il fuoco bilaterale, e per garantire l’imparzialità di questo processo ci dev’essere una terza parte. Durante i negoziati, i rappresentanti sia del PKK che dello Stato turco devono avere gli stessi diritti.
La resistenza nei territori curdi amministrati dallo stato turco aveva deposto le armi per favorire il processo di pace e ora ha reagito agli attacchi dell’esercito turco. È soltanto legittima difesa o si preannuncia una intensificazione della guerriglia?
Nelle ultime dichiarazioni uscite anche sulla stampa, il PKK afferma chiaramente: la Turchia ha cominciato questa guerra e stiamo solo mettendo in pratica il nostro diritto di autodifesa. In precedenza più volte il PKK aveva dichiarato che l’AKP stava utilizzando la tattica della provocazione per far ricominciare la guerra, e che i curdi non intendevano cedere alle provocazioni e mantenevano una posizione di autodifesa.
Cosa vi aspettate dall’Unione Europea, che finora sembra alquanto tiepida nei confronti degli attacchi turchi? E dagli USA?
Stati Uniti e Unione Europea dovrebbero comportarsi secondo i propri princìpi, cioè agire per la democrazia e la stabilità, obbligando la Turchia a sedersi al tavolo della pace. È molto importante che il PKK venga rimosso dalla lista delle organizzazioni terroristiche: è la condizione principale per permettere che si facciano passi verso la pace e per risolvere le questioni in maniera veloce. La questione principale in Turchia è quella curda, e UE e USA dovrebbero sapere che la sua soluzione è anche un loro interesse; per questo devono forzare la Turchia a cooperare per conseguire la pace.
Potreste spiegare in che cosa consiste il progetto di autogestione che interessa un sempre maggio numero di città e villaggi curdi (e non solo)?
I curdi vogliono che venga riconosciuta la loro volontà, vogliono poter scegliere i propri amministratori e rappresentanti locali, vogliono autogovernarsi; così stanno cercando di creare un sistema in cui si possano autogovernare dal basso, rimanendo comunque in contatto con il governo centrale. Dànno importanza alla convivenza con gli altri popoli che vivono in Turchia, purché sia riconosciuta e rispettata la loro volontà, dal punto di vista politico, culturale, sociale e legislativo.
Un modello di autonomia come quelli del Südtirol e delle Vascongadas potrebbe rappresentare una soluzione per il conflitto tra popolo curdo e stato turco? Per esempio, con la garanzia di poter usare la propria lingua, studiare in curdo, usare la lingua curda anche nei tribunali, garantire autonomia alle amministrazioni locali… Ma soprattutto, la Turchia è pronta per una simile evoluzione?
I curdi vogliono l’Autonomia Democratica: vogliono prendere le proprie decisioni nelle loro regioni, non vogliono essere gestiti da Ankara, vogliono gestire direttamente dal basso le questioni che riguardano loro e i loro territori. Questa proposta non vale solo per i curdi, ma per tutte le città e tutti i popoli della Turchia. Però, per arrivare a questo punto, è necessaria una democratizzazione della Turchia: attraverso una nuova costituzione, che tuteli l’uguaglianza dei diritti e la possibilità di un’amministrazione dal basso.
La Turchia sembra essere ben inserita nel gioco della politica energetica. Ha firmato accordi con l’Europa, la Russia, l’Azerbaigian, la Georgia, l’Iraq… in passato anche con l’Iran, praticamente con tutti, se si esclude l’Armenia. Quanto influisce questo nelle scelte politiche e militari dei governi turchi?
Tutta l’energia della Turchia viene dal Kurdistan o arriva in Turchia attraverso il Kurdistan. La Turchia, se accetterà di vivere in pace con i curdi, avrà un ruolo; per avere il gas, il petrolio e l’acqua dei curdi è necessaria la pace.
A vostro avviso, la concessione della base di Incirlik all’aviazione statunitense potrebbe essere stata una mossa di Ankara per fingere di partecipare alla guerra contro l’ISIS, mentre in realtà ha fornito una copertura per riprendere la guerra contro i curdi?
Si sa che gli Stati Uniti hanno bisogno della Turchia, però non dimentichiamo che la Turchia da anni sostiene i jihadisti, in particolare ISIS, che rappresenta un nemico del mondo intero e degli Stati Uniti. Perciò gli Stati Uniti devono opporsi agli attacchi della Turchia contro i curdi: in quanto il PKK lotta contro ISIS. Gli Stati Uniti non portano avanti una politica chiara nei confronti dei curdi; ma se vogliono avere un ruolo in Medio Oriente, avranno bisogno dei curdi, i cui valori sono: secolarismo, democrazia, convivenza pacifica e libertà delle donne.
Una valutazione, se possibile, della posizione assunta da Barzani (in particolare la richiesta ai militanti del PKK di lasciare i territori curdi all’interno dei confini iracheni).
La dichiarazione di Barzani è un grave errore: il PKK è un movimento kurdo, fa parte del Kurdistan, e dire al PKK di uscire dal proprio territorio non è una mossa politica ragionevole, non aiuta a raggiungere una soluzione della questione curda. I curdi, al contrario, dovrebbero riunirsi in un Congresso Nazionale, al fine di trovare una strategia condivisa. Quelli che attaccano i curdi, senza fare distinzioni, attaccano in sostanza ogni movimento e l’intera popolazione.
Rivista Etnie