Sfidare la modernità Capitalista II: L’esperienza Boliviana (dal Venezuela attraverso la Bolivia): Plurinazionalismo e Empowerment della Comunità.

Intervento di Andrés Pierantoni G. alla conferenza “Sfidare la Modernità Capitalista II” Amburgo 3-5 Aprile 2015

Nel breve tempo a disposizione per la mia presentazione, cercherò di fornire alcune “tracce” su due temi richiesti dai compagni Mehmet Alí Dogan e Gran Özkan in quanto di particolare interesse per questo Congresso e per i quali ringrazio la loro collaborazione nella stesura di questo documento: Plurinazionalismo e Potere Comunale.

In realtà, entrambi gli argomenti sono correlati come due facce della stessa medaglia: in Bolivia ed Ecuador, il concetto di Plurinazionalismo si intreccia con le comunità indigene o afro-discendenti radicate alla loro “Pacha Mama” e alle loro tradizioni, come lo sono le comunità del Rojava; il caso del Venezuela, invece, è tipico di comunità per lo più urbane e sradicate, simili ai ghetti curdi, ad esempio nella periferia di Istanbul.

Plurinazionalismo in Bolivia e Ecuador
Un testo fondamentale per comprendere il pensiero di Ocalan e le forze progressiste curde, “Il confederalismo democratico”, propone:

“Il confederalismo democratico può essere descritto come un tipo di auto-amministrazione in contrasto con l’amministrazione dello Stato-nazione … Nel lungo periodo, la libertà e la giustizia può essere raggiunta solo all’interno di un processo confederale e democratico dinamico. Né il totale rifiuto né il pieno riconoscimento dello Stato sono utili per gli sforzi democratici della società civile. Il superamento dello Stato, in particolare dello Stato-nazione, è un processo a lungo termine. ”

Senza alcun dubbio, l’”avanguardia” a tal fine, in America Latina, non solo a livello di comunità, ma anche a livello nazionale e statale, è lo Stato Plurinazionale della Bolivia, in quanto può essere percepito con la semplice lettura di alcuni articoli della sua Costituzione:

Articolo 1. La Bolivia diventa uno Stato unitario di diritto, plurinazionale, comunitario, … democratico, interculturale, decentralizzato e autonomo. La Bolivia si fonda sul … pluralismo politico, economico, giuridico, culturale e linguistico, nell’ambito del processo di integrazione del paese.

Articolo 2. Data l’esistenza precoloniale delle nazioni e dei contadini indigeni e il loro dominio ancestrale sui loro territori, la loro autodeterminazione – nel quadro dell’unità dello Stato – è garantita, e consiste nel loro diritto all’autodeterminazione, all’autogoverno, alla propria cultura, al riconoscimento delle proprie istituzioni e al consolidamento dei propri enti territoriali …

Articolo 3. La nazione boliviana è composta da tutte le donne e gli uomini boliviani, le nazioni e i contadini nativi, i popoli indigeni e le comunità interculturali e afro-boliviane, che insieme costituiscono il popolo boliviano.

Articolo 5.
I.Le lingue ufficiali dello Stato sono lo spagnolo e tutte le lingue delle Nazioni e dei popoli indigeni, che sono gli aymara, araona, baure, besiro, canichana, cavineño, cayubaba, chacobo, chiman, che eija, guaraní, guarasu’we, guarayu, itonama, leco, machajuyai-kallawaya, machineri, maropa, mojeño trinitario, mojeño-ignaciano, moré, mosetén, movima, pacawara, puquina, quechua, sirionó, tacana, tapiete, toromona, uru-chipaya, weenhayek, yaminawa, yuki , yuracaré e zamuco (36 in totale!)

Articolo 9. Finalità e funzioni essenziali dello Stato, oltre ad altri stabiliti dalla Costituzione e dalla legge, sono i seguenti:
1 … consolidare le identità plurinazionali.
2 … incoraggiare il rispetto reciproco e il dialogo plurilingue, interculturale e intraculturale.
3 … conservare, come patrimonio storico e umano, la diversità plurinazionale.

Articolo 98.
I. … la diversità culturale costituisce la base essenziale dello Stato plurinazionale della comunità …

Un approccio simile può essere ravvisato in alcuni articoli della Costituzione della Repubblica dell’Ecuador:
Articolo 1. L’Ecuador è uno Stato costituzionale dei diritti e della giustizia, … unitario, interculturale, plurinazionale e secolare. E’ organizzato nella forma della Repubblica ed è governato in modo decentrato.

Articolo 3. … i doveri fondamentali dello Stato sono i seguenti: … rafforzare la diversità nazionale nell’unità …

Articolo 60. le popolazioni indigene e antiche, gli afro-ecuadoriani e i Montubios, possono costituire collegi elettorali per la conservazione della loro cultura. La legge regola la loro conformazione. I comuni che hanno forme collettive di proprietà della terra sono riconosciute come forma antica di organizzazione territoriale.

Articolo 257. Nel quadro dell’organizzazione politico-amministrativa, possono essere istituiti collegi indigeni o afro-ecuadoriani, che esercitano i poteri del corrispondente governo territoriale autonomo, e sono disciplinati dai principi di interculturalità, plurinazionalità e in conformità con i diritti collettivi esistenti … Due o più distretti amministrati da governi territoriali indigeni o multiculturali possono integrarsi e formare un nuovo collegio elettorale …

Articolo 318. … Lo Stato rafforzerà la direzione e il funzionamento delle iniziative di gestione comunitaria dell’acqua e della fornitura di servizi pubblici, attraverso l’incentivo delle alleanze tra lo Stato e la comunità per la fornitura di servizi.

Se leggiamo la “Carta” o “Contratto Sociale” del Rojava, possiamo scorgere un approccio simile: “… noi, il popolo delle comunità autonome, insieme nello spirito di riconciliazione, pluralismo e partecipazione democratica in modo che tutti possiamo esprimerci liberamente nella vita pubblica … Istituendo questa Carta, dichiariamo un sistema politico e un’amministrazione civile fondati su un contratto sociale che riconcilia il ricco mosaico della Siria … “.

L’esperienza del Venezuela: le “Comunas” come cellule di una nuova società e di un nuovo Stato
A differenza di Bolivia ed Ecuador, nella Repubblica Bolivariana del Venezuela, se è vero che nella sua Costituzione c’è un intero capitolo (VIII) di “diritti dei popoli indigeni”, compresa la proprietà collettiva delle loro terre, le popolazioni indigene che ancora vivono nelle terre ancestrali, e secondo regole e abitudini ancestrali, in realtà, sono solo il 2,5% della popolazione (725,141 su 28.946.101 abitanti: censimento 2011), e la popolazione rurale totale è solo l’11,2%, a causa di una economia basata sul petrolio la cui rendita è stata attribuita principalmente alle grandi città e ai loro porti di nutrimento (“nutrimento” inteso come importazioni di prodotti finiti e di beni intermedi per le fabbriche di assemblaggio), concentrando così risorse e posti di lavoro nella fascia costiera centro-settentrionale del paese.

Nell’ideologia del Comandante Chávez, il termine “Comuna”, dunque, abbraccia non solo gli aspetti economici, sociali ed etico-culturali, come cercheremo di riassumere qui di seguito, ma anche quello di “equità socio-territoriale” (“Il Piano della Patria”, 3.4.1), quale strumento indispensabile per la popolazione e la riallocazione delle risorse di bilancio verso l’ “Asse di Sviluppo Integrale”: vale a dire, l’asse del Llanero settentrionale (come per il progetto “centri urbani intermedi” – appena a sud della summenzionata fascia costiera – proposto durante gli anni ’80 da parte della GTZ, l’agenzia per la cooperazione della Germania: un “paese di riferimento” per la distribuzione spaziale urbana) e la Cintura dell’Orinoco (55,314 Kmq o il 6% della terraferma venezuelana, dove si trovano le maggiori riserve mondiali di petrolio).

Nessuno meglio di Chávez, nato e cresciuto in un villaggio del “profondo Venezuela”, ha saputo riconoscere l’impoverimento culturale e lo sradicamento di valori causati dalla rapida migrazione rurale-urbana e “ghettizzazione urbana”, che in Venezuela ha avuto luogo principalmente nella seconda metà del secolo scorso.

In questo senso, il concetto di “Comuna” è sia tattico che strategico: quest’ultimo è legato alla summenzionata “equità socio-territoriale”, e il primo al recupero del senso territoriale e sociale di appartenenza e solidarietà dei villaggi rurali, anche in mezzo alle grandi città, in particolare nelle loro baraccopoli (definite, prima della Rivoluzione Bolivariana, come “marginali”): “la costruzione del socialismo, il nostro modello. Dobbiamo territorializzare i modelli” ha insistito il presidente Chávez nel cosiddetto “Golpe de Timón”. E in un recente documento del Consiglio di Presidenza del Governo Popolare sulle “Comunas “, nel discutere la loro relazione con la natura, sono menzionate la “ruralizzazione della città” e il “re-inverdimento della vita.

Nello stesso Piano della Patria, cioè l’eredità di Chavez proiettata verso il futuro (2013-2019), per il grande obiettivo storico N°1 (“Per difendere, ampliare e consolidare il bene più prezioso che abbiamo ripreso dopo 200 anni: l’indipendenza nazionale”) sono evidenziati due Obiettivi Generali e Strategici: “1.1.3 Per rafforzare ed espandere il potere del popolo” e “1.4. Per raggiungere la sovranità alimentare”.

L’appello di Öcalan per un “ritorno alla campagna” (al fine di recuperare l’antico territorio curdo – inondato dalle dighe e modificato in ogni modo possibile – ma anche di recuperare il tessuto socio-territoriale che permette il “ritorno al futuro” della democrazia diretta), mostra che le visioni di Chávez, degli zapatisti e di Ocalan provengono tutte da un background simile, sia geografico (la campagna) che storico (“la fine della storia”: la caduta del muro di Berlino e del “socialismo reale”), e hanno tutti un simile “orizzonte”.

Il concetto di “Comuna”, attraverso l’intero progetto della Rivoluzione Bolivariana, diventa “fondamentale” nell’ultima fase della vita del Comandante Chávez, con lo slogan “Comuna o niente!” in occasione dell’ultimo Consiglio dei Ministri del 20 Ottobre 2012 (dopo la sua ultima vittoria elettorale: 55,07% dei voti, con l’astensione storica di solo il 19.51%) definito come il “Golpe de Timón per un nuovo ciclo della Rivoluzione Bolivariana”.

Finora, l’unica sconfitta elettorale della Rivoluzione Bolivariana (con uno stretto margine: il 49%) è stata al referendum per la riforma costituzionale del 2 dicembre 2007: quasi cinque anni prima del “Golpe de Timón”.

Il 6 gennaio 2008 – un mese dopo quella sconfitta – all’“Aló Presidente” N° 299, Chavez ha fatto la seguente autocritica: “Non possiamo andare alla velocità a cui noi aspiravamo con la riforma, preferisco ridurre la velocità, rafforzare l’organizzazione popolare, il potere del popolo, e quando saremo pronti in un secondo momento … allora accelereremo di nuovo la marcia… Ora dobbiamo prenderci cura della coesione del corpo, la coesione delle masse, dei partiti, delle persone, dei movimenti sociali … l’Esplosione del potere comunale. Certo, la visione che avevo era quella di un’esplosione basata sulla Riforma, quindi ciò che sta per accadere ora, non è un’esplosione, ma un progressivo incremento…”

E per ottenere quel “progressivo incremento ” la risposta è stata ”dare più potere al popolo attraverso l’organizzazione, le imposte e il trasferimento delle risorse”, in linea con l’articolo 184 – tra l’altro – della Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela: “La legge creerà meccanismi aperti e flessibili affinché gli Stati (regioni) e i comuni possano decentralizzare e trasferire alle comunità e ai gruppi di quartiere organizzati i servizi che essi possono gestire…”.

Quanto sopra esposto, congiuntamente a “…il modello di produzione socialista … per la creazione di unità di produzione comuni, per il trasferimento del potere produttivo alle comunità … Voglio che si scelgano nel paese alcuni progetti pilota, 20 o 30, … per costruire le Federazioni del Consiglio Comunale o “Comunas”, che si scelga in ogni Stato un progetto pilota … e poi si concentrino lì i nostri sforzi, al fine di prenderlo come modello… “(“Aló Presidente” N ° 299).

A tal fine, visto che l’opzione “fast-track” di cui alla Riforma Costituzionale non potrebbe essere raggiunta (tale riforma consentirebbe – tra le altre cose – dotazioni annuali dirette di risorse di bilancio governative alle “Comunas” …), è stato in seguito emanato un “corpus” di leggi, tra novembre 2009 (la Nuova legge dei Consigli Comunitari), marzo 2010 (la Legge del Consiglio di Governo Federale) e dicembre 2010 (il” Quintetto” di leggi del Potere Popolare, Controllo Sociale, “Comunas”, Sistema Economico Comunitario e Sistema di Pianificazione Comunitario-Statale), che, tra l’altro, estendeva dal livello locale (Comunas) al livello regionale (Stati) – la Repubblica Bolivariana del Venezuela è “uno stato federale decentrato” – la competenza sulle seguenti materie: Piano & budget (dalla discussione e approvazione attraverso il monitoraggio) e Pianificazione e gestione del territorio.

Coerentemente con quanto sopra, le funzioni delle autorità distrettuali sono state sostanzialmente ridotte dalla riforma della Legge Comunale, lo stesso mese di dicembre 2010, per trasferire quelle funzioni alle nuove “Comunas”.

Tornando al suindicato “Golpe de Timón per il nuovo ciclo della Rivoluzione”, il Presidente Chávez ha fatto un bilancio di questi risultati legislativi e, allo stesso tempo, un’autocritica per non avviare la loro implementazione nel biennio successivo (2011-2012):

– “Io credo che abbiamo alcuni nuovi codici, credo che abbiamo ottenuto una nuova architettura giuridica a partire dalla Costituzione, abbiamo le leggi dei Consigli Comunitari, le leggi delle “Comunas”, l’economia comunale, le leggi dei distretti di sviluppo, ma noi non prestiamo attenzione a nessuna di quelle leggi; … nella maggior parte dei piccoli, medi o grandi progetti per cui stiamo spingendo (case, nuove città, poli di sviluppo scientifico, poli di sviluppo agricolo), … non ci sono Comunas”.

– “Il nostro obiettivo è la ferrovia? È la strada? O è la variazione di tutti i rapporti geografici-umani oltre a questi assi?…dal punto di vista del capitalismo, a chi giova la strada? Al capitalista, che ora otterrà più capi di bestiame fuori dal suo paese a costi inferiori … Allora, con le strade, quello che stiamo facendo, dal punto di vista tradizionale, è aumentare il divario…”.

– “Abbiamo bisogno di collaborare con i piccoli produttori, ma dobbiamo impiantare la proprietà sociale, lo spirito socialista, lungo l’intera filiera dall’agricoltura attraverso il sistema di distribuzione e il consumo…non dobbiamo perdere di vista…la parte centrale di questo progetto: non dobbiamo continuare ad aprire nuove fabbriche che sono come isole, circondate dal mare del capitalismo, perché saranno inghiottite da quel mare “.

E a tal fine, sono state fissate tre linee guida:
– Economica: “questi impianti produttivi devono stabilire tra loro politiche di partenariato in forma di cluster, al fine di incrementare la loro scala” (il Piano della Patria, 2.1.1.1)

– Socio-territoriale: “contribuire al benessere socio-economico dell’ambiente dove le comunità sono produttive, in una politica di punto (cioè, l’“impianto”) e cerchio (cioè, l’ambiente socio-territoriale), consentendo la partecipazione della comunità – e il monitoraggio – nei processi sociali ed economici” (Ibidem, 2.1.3.4) e, infine,

– Istituzionale: “una governance condivisa, un programma comune e congiunto di azioni che dovrebbero essere sviluppate tra il governo (a livello nazionale, regionale o locale) e il potere popolare espresso nei casi di Comunas o di sistemi di aggregazione di Comunas”: si vedano gli accordi del Consiglio di Presidenza del Governo Popolare con le “Comunas” (che citeremo più avanti), che comprendevano l’accorpamento, da parte del presidente Maduro, di quel Consiglio al Consiglio Federale di Governo, lo scorso dicembre.

E il presidente Chávez ha concluso il suo “Golpe de Timón” come segue: “Il problema è culturale, compagni … Perché il Socialismo del XXI secolo, che è riemerso qui come dalla morte, è qualcosa di nuovo, deve essere veramente nuovo, e una delle cose nuove nel nostro modello è essenzialmente il suo carattere democratico, una nuova egemonia democratica, che ci obbliga a non imporre, ma a convincere e da lì … la questione dei media, la questione della comunicazione, la questione dell’argomentazione … “.

E la sfida centrale, in questo contesto, è come ottenere che i Territori Comunitari non siano “inghiottiti” dal “mare del capitalismo”, come dice il vicepresidente della Bolivia, Garcia Linera, nella sua 2° tesi: “Questo globalizzazione accelerata della produzione ha portato alla formale e esterna sussunzione del lavoro agricolo comunitario, non capitalista o pre-capitalista, sotto il comando di un continuo riprodursi di accumulazione capitalistica, come una sorta di perpetua accumulazione primitiva, che spinge esplosivamente le nazioni e le popolazioni indigene di Africa, America Latina e Asia a diventare nazioni, classi e conoscenza basati sul capitalismo, anche se non sono nazioni, classi e conoscenza basati sul capitalismo. L’indianismo politico dello Stato in Bolivia, l’indianismo della resistenza in Messico o in Brasile e in altre parti del mondo, le lotte indigene e contadine sono una visualizzazione attiva di tale … contraddizione di questa nuova fase del capitalismo” (9 tesi sul capitalismo, Forum della Sinistra, Pace University, New York, luglio 2013). Lo stesso che García Linera chiarisce espressamente nella sua ottava tesi: “… la lotta per il potere dello Stato, che è, soprattutto, una questione di egemonia in senso gramsciano, cioè si tratta di una costruzione politico-culturale, non una semplice occupazione del potere dello Stato … “.

La complessità della sfida del “mare del capitalismo” può essere apprezzata da questo grafico che abbiamo estratto dal “Primo Piano della Nazione 2007-2013” (il Progetto Nazionale Simón Bolívar) e che spiega, in larga misura, la frustrazione e autocritica espressa dal Comandante Chávez nel suo “Golpe de Timón”:

1

A partire da ottobre 2012 Chávez aveva già previsto che alla fine del giorno (2013), la quota dell’economia venezuelana delle “Empresas Capitalistas de Estado” (Società capitaliste di Stato) sarebbe stata aumentata (a scapito delle “aziende private capitaliste” ), ma non quella delle “Empresas de Economía sociale” (Società di Economia Sociale), ancora marginali nonostante fossero fondamentali per il Socialismo del XXI secolo: in quanto base per un “nuovo metabolismo per la transizione al socialismo”, che consiste nel “promuovere nuove forme di organizzazione della produzione che mettano i mezzi di produzione a servizio della società … “(Piano della Patria, 2.1.1).

Così la “Situación Futura”, progettata nel 2006 e da raggiungere entro il 2013, è stata (ed è tuttora) lungi dall’essere raggiunta!
Con un apparente paradosso, d’altra parte, in termini elettorali l’impatto del progetto comunitario è stato evidente: la prima legge dei Consigli Comunitari dell’aprile 2006 ha contribuito a rompere la barriera del 60% dei voti (era il 52,6% quando Chávez è stato eletto presidente nel dicembre 1998, per poi stabilizzarsi nel luglio 2000 e agosto 2004 al 59.76% e 59.09%, rispettivamente), mentre il “picco” dei voti ottenuti dalla Rivoluzione Bolivariana finora (62.88%) fu alle elezioni presidenziali del dicembre 2006 (vale a dire, otto mesi dopo che la nuova legge dei Consigli Comunitari fosse emanata e ne fosse avviata l’implementazione).

Il “rovescio della medaglia”, come menzionato con la “Situación Futura”, sono gli scarsi risultati in termini di spostamento dell’economia dall’essere prevalentemente privata e statale a una sempre più “sociale” (comunitaria), a causa del fatto che le reti comunitarie furono invitate fin dall’inizio (2006) a sostenere la campagna elettorale delle elezioni presidenziali o regionali/locali, in cambio di risorse pubbliche che sarebbero state loro attribuite per progetti sociali (ad esempio, abitazioni).

Il risultato, quindi, è stato positivo in termini elettorali, ma povero in termini di cambiamenti strutturali.

La “supremazia della propaganda elettorale”, tuttavia, è stato un “must” – specie dopo il colpo di Stato dell’aprile 2002 e lo sciopero della compagnia petrolifera di Stato (dal 2 dicembre 2002 al 3 Febbraio 2003) – per continuare a neutralizzare, con diciannove processi elettorali, perturbazioni interne ed esterne contro la Rivoluzione Bolivariana.

Ecco la prima sfida: mentre si perseguiva un record eccezionale di “modelli democratici occidentali” in termini di elezioni, i cambiamenti strutturali sono stati diluiti o rinviati, lasciando così l’economia vulnerabile – attualmente – davanti ad un “mare di capitalismo” ancora più aggressivo: calo dei prezzi del petrolio, sanzioni degli Stati Uniti, etc.

Una situazione simile, anche se non così difficile, è stata sperimentata da Evo Morales in Bolivia (che ha vinto le elezioni nel gennaio 2006, gennaio 2010 e ottobre 2014), i sandinisti in Nicaragua (novembre 2006 e 2011), e Correa in Ecuador (gennaio 2007, aprile 2009 e febbraio 2013). Purtroppo, non fu il caso di Honduras (Manuel Zelaya, eletto nel gennaio 2006 e deposto nel giugno 2009) e Paraguay (Fernando Lugo, eletto nel 2008 e deposto nel giugno 2012).

In questo senso, il monito nel “Golpe de Timón” è ancora lì, come ultimo e principale “Legado de Chávez” (eredità di Chávez): la necessità di trasformare il progetto comunitario da un meccanismo di distribuzione delle “gocce” della rendita petrolifera a decine di migliaia di piccoli Consigli Comunitari (che servono non più di 400 famiglie ciascuno, isolate nella soluzione di alcuni serbatoi d’acqua o di una scala), ad un meccanismo di empowerment effettivo con le più vaste “Comunas” (diversi consigli comunitari integrati) di pianificazione e gestione, progetti socio-produttivi sostenibili con il surplus riallocato alla rete delle “Comunas”, trasferimento di competenze e risorse, etc.

Questo “aumento graduale” di “celle” (“Comunas”) e i loro sistemi di aggregazione, spodestando le vecchie strutture, consentirebbero il salto verso l’obiettivo principale del Presidente Chávez: lo “Stato Comunitario”.

La complessità di questo processo può essere riconosciuta nella sua base sociale: niente di più lontano dalla visione marxista ortodossa è quella di una rivoluzione ampiamente sostenuta da settori “lumpen” (sottoproletari), sotto una leadership che è culturale e “religiosa”, più che politica e ideologica, una leadership che offre agli “esclusi” una nuova alleanza con lo Stato, o almeno buona parte delle sue entrate di ricco Stato petrolifero, dopo il tradimento del “patto sociale” di Bolívar con gli schiavi (la libertà) e i contadini poveri (la terra a coloro che si unirono ai ranghi dell’esercito d’indipendenza), da parte degli stessi luogotenenti di Bolívar, subito dopo la sua morte nel 1830. Gli stessi luogotenenti poi spaccarono la “Gran Colombia” bolivariana nelle repubbliche del Venezuela, Ecuador e Colombia (da cui Panama si separò nel 1903).

Quel tradimento non è stato dimenticato dai venezuelani che, di volta in volta, rispondono al fuoco con “vulcaniche” eccezioni, come l’ultima del 27 febbraio 1989 (il “Caracazo”: più di 3.000 vittime), che ha dato via alla rivolta contro Chavez nel febbraio 2002 e alla sua vittoria elettorale nel dicembre 1998.

Quello stesso Stato, anche con variazioni di staff, continua a giocare “pratiche vecchie e nocive” (Presentazione Piano della Patria). La soluzione è di “polverizzare completamente la forma di Stato borghese che abbiamo ereditato … con la radicalizzazione di una democrazia partecipativa e trainante” (Ibid.), che è perno del potere comunale: ecco un’altra sfida, quella principale, forse.

A questo proposito, va osservato che lo schema della Confederazione Democratica di Ocalan, per quanto riguarda “l’applicazione di processi decisionali democratici dal livello locale a quello globale”, non può essere applicato meccanicamente alla realtà venezuelana, boliviana e ecuadoriana perché le risorse principali di questi paesi – e nella maggior parte degli altri paesi latinoamericani – non provengono dal lavoro degli individui, come nelle principali aree del Kurdistan, ma dalla rendita delle risorse naturali che può essere sfruttata solo da grandi aziende: multinazionali o statali. Si veda la situazione simile e complessa del Kurdistan meridionale, dove gran parte della popolazione vive con la rendita petrolifera distribuita dai governi Barzani e Talabani.

D’altra parte, prodotti agricoli freschi, invece di quelli industrializzati, soddisfacendo i bisogni fondamentali del “cerchio” intorno alle comunità e non attraversando gli oceani, comportano non solo una logica migliore in termini sociali, ma anche in termini economici: a volte non a livello micro (cioè, i costi di produzione di un’industria di piccola scala Vs. una grande), ma certo, a livello macro (trasporti e risparmio energetico, minor impatto ambientale, minori costi infrastrutturali e sociali – ad esempio, la salute, ecc.)

Questa nuova visione di sviluppo sostenibile (quella di Chávez, degli zapatisti, di Ocalan e molti altri) alla fine ha raggiunto l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (sotto la Presidenza di Padre D’Escoto, 2008-2009, con alcune delle raccomandazioni della “Commissione Stiglitz”) e lo stesso UNCTAD alla sua conferenza di Doha: “vogliamo sottolineare l’importanza di promuovere industrie locali … che generano occupazione produttiva e rafforzano le comunità locali” (Doha12).

Essendo consapevole di questa sfida e dell’eredità del Comandante Chavez, a questo proposito, il presidente Maduro riserva un’attenzione particolare all’Obiettivo Generale 2.3.1.4 del “Piano della Patria”: “Il consolidamento e l’accompagnamento del Potere Popolare per il periodo 2013-2019 consoliderà la formazione di 3.000 Comunas socialiste fino a raggruppare 39.000 consigli comunitari, dove vivranno 4.680.000 famiglie che rappresentano 21.060.000 cittadini. Vale a dire che circa il 68% della popolazione venezuelana nell’anno 2019 (30.550.479) vivrà nel sottosistema di aggregazione delle Comunas “.

Dallo scorso 1° aprile, quando sono salito sull’aereo per venire a questa Conferenza, abbiamo raggiunto 1.035 comunas registrate.

Inoltre, come accennato, il presidente Maduro lo scorso settembre ha insediato il Consiglio di Presidenza del Governo Popolare con le Comunas, affinché possano godere di accesso diretto alla struttura di governo superiore: il Consiglio di Governo Federale.

Tuttavia, se abbiamo bisogno di aggiornare l’autocritica del “Golpe de Timón”, diremmo ancora che, anche se la crescita quantitativa mantiene lo slancio (guidata da schemi abitativi: sono state costruite 120.000 case su un totale di 677.400 – dal 2011 fino allo scorso febbraio – dalla rete comunitaria, e 180.000 su 400.000 dovranno essere costruite durante questo anno finanziario), il vantaggio qualitativo è ancora al di sotto delle aspettative (in termini di quota comunitaria nell’economia venezuelana, come accennato prima), anche se questa sfida economica è la spina dorsale di entrambe le leggi delle Comunas e del sistema economico comunitario.

L’”impatto della qualità” del progetto comunitario di Chávez deve essere ancora considerato, da un punto di vista sociale, come un contributo fondamentale al processo di auto-fiducia e consapevolezza delle persone, specificamente per le donne: la maggior parte dei leader della Comunità venezuelana (dai Consigli comunitari alle Comunas) sono donne, soprattutto casalinghe e madri. Chávez, come Ocalan, è stato un vero e proprio “femminista” e, nei suoi discorsi, il ruolo delle donne nella Rivoluzione Bolivariana è stato sempre messo in evidenza.

D’altra parte, le Comunas più forti e più proattive, sorgono dove è radicata una storia di lotta: per esempio, dalla “Comuna Socialista Máximo Vizcaya” nelle campagne del Comune di Campo Elías, nello Stato di Yaracuy (una delle zone di guerriglia negli anni ’60) alla “Comuna Renacer de Bolívar” (“Rinascita di Bolívar”) nel distretto di La Vega della capitale Caracas, da dove vengono molti leader di sinistra.

Forse questo è l’aspetto più importante, finora, del progetto comunitario e dell’intero progetto “chavista”: che le persone possano recuperare la propria memoria collettiva, sradicata da decenni, allo stesso modo del popolo curdo, e dove la burocrazia statale è ancora percepita dal Movimento comunitario come il retaggio di ciò che Chavez chiama “stato borghese ereditato”.

E finché lo “Stato borghese” nazionale non diventerà parte di un “Confederalismo Democratico” sudamericano, coerente con la nostra storia e cultura, nessun progetto di emancipazione sociale è praticabile, contro oligarchie locali e “imperiali”, in nessun singolo paese sudamericano: in questo, ancora una volta, Chávez e Ocalan hanno una visione piuttosto simile.

5 Aprile, 2015

 

Ringraziamo a M.K, A.F, L.F  per la traduzione