15 Febbraio 1998 – Roma

Era il 12 novembre del 1998 quando Abdullah Ocalan giunse in Italia.

Alla gran parte dell’opinione pubblica quel nome era sconosciuto; non eravamo in molti a sapere dell’esistenza di un movimento di liberazione kurdo e che quell’uomo era riconosciuto, da milioni di donne ed uomini, come leader di una delle più lunghe e significative lotte per l’emancipazione del XX secolo.

Io ero già stato nel Kurdistan turco, insieme a Dino Frisullo e a molti altri democratici italiani, in occasione del Newroz, nel marzo di quello stesso anno. Avevo avuto modo di vedere centinaia di migliaia di persone gridare il nome di APO (l’affettuoso nomignolo con il quale i Kurdi indicano Ocalan) e sventolare le bandiere del suo partito, il PKK, benché questo, solo questo, potesse significare (mi fu spiegato subito) fino a 5 anni di prigione.

La venuta in Italia di APO costrinse i media, i politici, ed anche la gente comune, ad interrogarsi su cosa fosse il movimento Kurdo, e chi fosse realmente il suo leader. Così molti scoprirono , per la prima volta, le pratiche negazioniste praticate dalla Turchia, e non solo, nei confronti di un popolo “dimenticato”, diviso in 4 stati ( Oltre la Turchia, Siria, Iraq ed Iran), ovunque oppresso e sfruttato.

Mi offrii subito di far parte del collegio di avvocati, italiani ed europei, che avrebbero dovuto sostenere la richiesta di asilo politico in Italia di Ocalan. I 65 giorni della sua permanenza in Italia furono giorni di grande fermento, di riunioni, di incontri, di fervido lavoro. Coltivammo, noi avvocati, e con noi migliaia di compagni, intellettuali, democratici, persone comuni, la speranza che quell’uomo, che rappresentava il desiderio di libertà e giustizia di un intero popolo, potesse essere accolto da uomo libero nel nostro paese.

Non fu così.

Un vero e proprio complotto internazionale, di cui fu vittima inconsapevole lo stesso governo italiano, ordito dai settori più oscuri dei servizi segreti turchi, israeliani ed americani, portò, come è noto, al suo arresto in Kenya- Fu un colpo durissimo, per i Kurdi innanzitutto, ma anche per tutti noi.

Temevamo che quell’arresto significasse l’inizio della fine.

Ma avevamo sottovalutato l’uomo, l’intellettuale, il rivoluzionario.

Nonostante un processo farsa (che io ricordo bene, perché in quei giorni ero in Turchia, con altri giuristi da tutta Europa, in un clima di propaganda barbara e crudele, orchestrata dal governo turco), nonostante una carcerazione durissima, con l’isolamento totale e vere e proprie pratiche di annullamento della persona, Abdullah Ocalan ha continuato caparbiamente a far sentire la sua voce, indicando con ostinazione la via della democrazia e della giustizia, della pace e della convivenza pacifica tra tutti i popoli, ispirando con le sue idee l’intero movimento kurdo, dentro e fuori la Turchia. L’ostinazione del governo Turco a non voler scegliere la strada del dialogo, ostinazione che oggi si sta traducendo in una feroce guerra di repressione nelle citta Kurde, non ha spento quella voce.

Oggi nel Rojava, come nel Bakur, in Iraq, come in Iran, nel nome di Ocalan si sperimentano nuove strade per trasformare , in senso democratico, egualitario, ecologico, quelle società, aprendo nuove prospettive per tutti i popoli.

Ocalan ha definito questa nuova strada Confederalismo Democratico, per dare vita al quale si è combattuto a Kobane, come oggi si resiste a Sur, a Cizre, e in tante altre città del Medio Oriente.

Che una città come Napoli, medaglia d’ora per la resistenza al nazifascismo, patria di intellettuali e di rivoluzionari, riconoscesse la statura e il ruolo di Ocalan è un fatto storico, che mi riempie di orgoglio e nello stesso tempo mi commuove, e mi spinge a lottare con ancora maggiore determinazione per la sua liberazione e perché sia posta fine alla vergogna di vedere il suo partito. Il PKK ancora inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche.

Apo è con noi, lo sentiamo nostro concittadino, e vogliamo che la nostra voce di amore e di vicinanza giunga forte fino all’isola di Imrali, dove i suoi carnefici si illudono di averlo imprigionato.

Possono mettere tutti i cancelli e le sbarre del mondo: la sua voce volerà sempre libera tra gli oppressi e gli sfruttati del mondo.

Avv. Carmine Malinconico, Napoli, 12.02.2016