La fuga interrotta del piccolo Aylan

di Giuseppe Acconcia- Il bam­bino kurdo siriano anne­gato nelle acque tur­che si chia­mava Aylan Kurdi. Aveva tre anni: è nato quando la guerra civile siriana era già ini­ziata ed è morto insieme ad altri undici migranti, tra cui suo fra­tello Galip di cin­que anni, men­tre pro­vava con sua madre Rihan e suo padre, a fug­gire da Akyar­lar in Tur­chia per rag­giun­gere la vicina isola greca di Kos.

Il gom­mone dove viag­giava Aylan è affon­dato poco lon­tano dalla spiag­gia di Bodrum per­ché non ha retto al peso dei 17 pas­seg­geri a bordo. Dopo il nau­fra­gio dello scorso mer­co­ledì, la poli­zia turca ha assi­cu­rato che sono stati arre­stati quat­tro pre­sunti sca­fi­sti, incluso un cit­ta­dino siriano. La guar­dia costiera turca ha aggiunto di aver tratto in salvo 42 mila per­sone che ten­ta­vano di attra­ver­sare l’Egeo negli ultimi cin­que mesi.

L’unico super­stite della fami­glia di Aylan è il padre Abdul­lah che ten­tava di por­tare i suoi fami­liari in Canada, nono­stante la loro richie­sta di asilo fosse stata rifiu­tata. La zia Teema, da venti anni par­ruc­chiera a Van­cou­ver, ha con­fer­mato di aver rice­vuto una tele­fo­nata da Abdul­lah in cui le ha rac­con­tato della morte dei suoi bam­bini e di sua moglie in seguito al naufragio.

Teema aveva pre­sen­tato la richie­sta di asilo alle auto­rità cana­desi e inviava rego­lar­mente soldi alla fami­glia in Tur­chia. «Insieme ad amici e vicini abbiamo fatto di tutto per farli venire in Canada, ma non siamo riu­sciti a farli scap­pare in tempo», ha denun­ciato la donna, scossa per la notizia.

Ma la ter­ri­bile vicenda di Aylan è ancora più dram­ma­tica. Il bimbo fa parte delle decine di migliaia di kurdi scap­pati dalla città di Kobane dopo l’attacco lan­ciato dai jiha­di­sti dello Stato isla­mico (Isis) lo scorso anno, e mai rien­trati. Le auto­rità tur­che non hanno rico­no­sciuto for­mal­mente lo sta­tus di rifu­giati alle migliaia di pro­fu­ghi kurdi (400 mila nel pieno della crisi) che hanno allog­giato per strada o nei campi di Suruç nel Kur­di­stan turco.

Sono più di un milione e nove cento mila i pro­fu­ghi siriani in Tur­chia, secondo l’Agenzia dell’Onu per i rifu­giati (Unhcr). I siriani che fug­gono dalla guerra, dopo il golpe mili­tare al Cairo del 2013, non si vedono rico­no­sciuti lo sta­tus di rifu­giati in Egitto. Non solo, la per­ce­zione è che i pro­fu­ghi siriani ven­gano sco­rag­giati dalle auto­rità tur­che, liba­nesi (1,1 milioni di rifu­giati siriani) e gior­dane (600mila) dopo l’esodo degli ultimi anni.

Ma i siriani non sono ben­ve­nuti nep­pure nei Paesi del Golfo e in altri paesi arabi (eccetto Mau­ri­ta­nia, Alge­ria e Yemen) dove non viene rico­no­sciuto loro nes­sun per­corso pre­fe­ren­ziale per l’ottenimento di un visto. Non resta allora che ten­tare a tutti i costi la carta dell’Europa.

In Tur­chia il tema dell’accoglienza dei pro­fu­ghi siriani è con­ti­nua­mente usato dagli ultra-nazionalisti per accre­scere il loro con­senso elet­to­rale. Il flusso di pro­fu­ghi siriani al con­fine sud-orientale è andato aumen­tando come con­se­guenza dell’avanzata dello Stato isla­mico (Isis) nel Kur­di­stan siriano (Rojava). Nell’ottobre 2014, in pochi giorni, sono arri–vati a Suruç 100 mila kurdi siriani e per mesi non hanno rice­vuto alcun aiuto inter­na­zio­nale. Nella sola città di Gazian­tep 400mila kurdi siriani hanno tro­vato rifu­gio mesco­lan­dosi tra la popo­la­zione locale.

La guerra con­tro i kurdi non si è mai fer­mata in Tur­chia. Solo ieri quat­tro poli­ziotti sono stati uccisi da mili­tanti del Par­tito di Oca­lan (Pkk) a Mar­din. Sono cen­ti­naia i morti nel con­flitto inne­scato dall’attentato di Isis a Suruç dello scorso luglio che è costato la vita a 33 atti­vi­sti che ten­ta­vano di por­tare aiuti a Kobane e dalla con­se­guente duris­sima cam­pa­gna anti-Pkk e anti-Isis, lan­ciata delle auto­rità turche.

Gli attac­chi hanno inne­scato la dura rea­zione della popo­la­zione locale orga­niz­za­tasi in comi­tati di resi­stenza. ‪Ieri la città di Nusay­bin‬ è rima­sta deserta per pro­te­sta con­tro l’arresto di Sara Kaya e Zin­net Alan, due co-sindaci della roc­ca­forte del par­tito filo-kurdo, arre­stati con l’accusa di appar­te­nere a un’organizzazione terroristica.

La vit­to­ria elet­to­rale di Hdp lo scorso 7 giu­gno ha impe­dito al pre­si­dente Erdo­gan di per­se­guire i suoi cal­coli poli­tici. Il lea­der Akp ha indetto ele­zioni anti­ci­pate per il primo novem­bre inne­scando una dura cen­sura della stampa indi­pen­dente. Il quo­ti­diano Sozcu («Voce») è stato pub­bli­cato con le colonne vuote per pro­te­stare con­tro le inti­mi­da­zioni delle auto­rità tur­che. I gior­na­li­sti della testata hanno affron­tato quasi ses­santa cause per i loro arti­coli cri­tici nei con­fronti di Erdo­gan. Nep­pure i repor­ter bri­tan­nici di Vice, arre­stati a Diyar­ba­kir nei giorni scorsi, sono stati rila­sciati. I gior­na­li­sti, tra­sfe­riti nel car­cere di Adana in assenza dei loro avvo­cati, sono accu­sati di soste­nere il terrorismo.

Il manifesto