Una strategia di unità nazionale ora è della massima importanza

La guerra nel »piccolo« paese Siria, continua ad avere grandi effetti sulla politica sia regionale sia globale. Ma finalmente pian piano si avvicina ad una soluzione politica. Nella »grande battaglia« per Raqqa, la cosiddetta capitale dello Stato Islamico (IS/Daesh), ormai si vede la fine. Sotto la guida delle Unità di Difesa del Popolo/delle Donne (YPG/YPJ) i e le combattenti delle Forze Siriane Democratiche (Quvvetin Suriya Demokratik, QSD; ingl. anche SDF, ital. FSD) nel giro di quattro mesi sono riuscite a liberare la città e l’intera regione intorno a Raqqa per 98 %. L’offensiva era iniziata il 6 giugno di quest’anno. (…). Proprio come i curdi il 7/8/9 ottobre 2014 hanno combattuto ostinatamente per Kobanê, così ora lo fanno contro IS a Raqqa. La grande battaglia di allora per Kobanê era diventata una questione nazionale dell’onore curdo, la vittoria di Kobanê è stata anche l’inizio della decadenza del mito di IS. Se cade la sua capitale Raqqa, anche tutto IS cade. Per evitarlo, ha tenuto in ostaggio circa 2.000 civili in piccoli quartieri del centro. Sono stati usati come scudi umani, cosa che ha ostacolato in modo determinante la lotta di liberazione delle forze QSD.

Il confine tra democrazia e dittatura diventa più concreto
In parallelo a Raqqa, le QSD un mese fa hanno iniziato anche un’offensiva nella regione di Deir az-Zor (territorio al confine tra Iraq e Siria). A nord del Firat (Eufrate) le forze delle QSD hanno conquistato il controllo, a sud il regime Baath cerca di attraversare il fiume verso nord, ma viene fermato dalle QSD. Ora è diventato un confine naturale tra il nord della Siria democratico e il regime Baath ancora dittatoriale. Si tratta di un confine politico. Un confine tra democrazia e dittatura.

Elezioni in Siria del nord
Oltre le offensive militari di liberazione, ci sono sviluppi rivoluzionari anche in ambito civile. Il 22 settembre cittadine e cittadini si sono recati alle urne per eleggere i co-presidenti delle comuni. Le comuni formano la base della democrazia radicale, che significa la pratica diretta dell’autodeterminazione basata sulla democrazia dal basso. Le comuni, nel sistema reticolare e molto complesso del federalismo democratico della Siria del nord, sono il fondamento della democrazia. Attraverso le comuni la democrazia nella Siria del nord è stata costruita dal basso verso l’alto. Con una partecipazione dell’82 % della popolazione, curdi, arabi e assiri hanno votato per questa democrazia. Ogni gruppo di popolazione aveva i suoi candidati. Inoltre è stato eletto il doppio vertice politico, quindi un uomo e una donna, come co-presidenti. In molte zone donne arabe si sono recate per la prima volta alle urne. Secondo le norme patriarcali, la maggior parte delle tribù arabe non aveva permesso alle donne di votare loro stesse. Il regime Baath, laico, modero e socialista sulla carta, finora aveva approvato queste norme. Ora per la prima volta migliaia di donne arabe in Siria del nord il 22 settembre 2017 sono andate ad eleggere i loro candidati. Nella zona di Efrîn per la prima volta hanno partecipato i gruppi di rom e sinti che vivono sparsi nell’area.

Le elezioni erano accompagnate da un entusiasmo e da una determinazione di tutti i gruppi etnici, donne e uomini, nonostante il regime Baath avesse preso ogni pensabile misura di contro-propaganda. Il risultati elettorale è stato interpretato anche come un referendum sulla Federazione Democratica Siria del nord (FDSN).

La Turchia vuole salvare IS

Mentre il processo rivoluzionario nel nord della Siria va avanti sia militarmente sia politicamente e socialmente e le sue strutture si concretizzano e si istituzionalizzano, viene tuttavia accompagnato anche da una forte resistenza. È la Turchia che ce la mette tutta per impedire al nord della Siria di consolidare la sua democrazia e di esportarla nella Siria intera. Perché oltre agli spunti di soluzione nella Siria del nord, anche il Parlamento Democratico della Siria (MSD), l’organismo composto da tutti i gruppi etnici, come curdi, arabi, assiri, turkmeni, ecc., ha intensificato il suo impegno per l’elaborazione di una Costituzione per tutta la Siria. Nei territori liberati intorno a Raqqa e Deir az-Zor il MSD e la guida politica della FDSN fondano parlamenti popolari. Qui non vengono solo costruiti città e villaggi distrutti, ma anche la democrazia. Questo sviluppo, e in particolare il successo militare della liberazione di Raqqa e Deir az-Zor, hanno gettato nel panico il governo dell’AKP in Turchia. Dopo che il Presidente dello Stato Erdoğan nel vertice ONU non è riuscito a convincere gli USA e la Russia ad un intervento militare congiunto nel nord della Siria, ora porta avanti la contro-offensiva in solitaria. Per dividere la forza di combattimento delle QSD a Raqqa e Deir az-Zor, ha aumentato il numero dei suoi soldati al confine con Idlib. L’8 ottobre, durante la riunione dell’AKP ad Afyon, Erdoğan ha giustificato l’operazione a Idlib con le parole »Non vogliamo vivere una nuova Kobanê«. Il momento della sua esternazione nasconde una »coincidenza« storica. Perché il momento decisivo della vittoria di Kobanê è stato nei giorni del 6/7/8 ottobre 2014. Curdi di tutto il mondo allora erano insorti contro le giaculatorie di Erdoğan »Kobanê cadrà«. Non Kobanê, ma Erdoğan è caduto. Perché la vittoria di Kobanê è stata l’inizio della sconfitta di IS, che veniva usato in modo decisivo come strumento turco contro i curdi.

Con la completa liberazione di Raqqa come centrale di IS, IS diventerà storia. Per questo l’intervento militare a Idlib ha l’obiettivo di tenerlo in vita. Finora IS è stato alimentato logisticamente, con personale e militarmente attraverso Idlib. I suoi miliziani venivano infiltrati attraverso nel nord della Siria e nell’intero territorio siriano. Un’altra ragione per l’attacco militare pianificato contro la città curda di Efrîn che si trova nei pressi del Mediterraneo. La Turchia con l’occupazione di Efrîn vuole impedire che nel caso di una soluzione politica, petrolio e gas del nord della Siria possano arrivare tramite i curdi fino al Mediterraneo e sul mercato mondiale, vuole lei stessa avere il controllo di questa rotta di trasporto di energia. Se Efrîn non si può assediare, allora a partire da postazioni militari collocate a sud, si vuole circondare tutta la regione di Efrîn, conquistando in questo modo il controllo. Ankara chiama queste forze di occupazione »impedire la pianificazione di un corridoio curdo verso il Mediterraneo «.

Proprio a questo scopo il governo dell’AKP ha fatto un nuovo accordo con Hayat Tahrir ach-Sham, che comunque agiscono a Idlib. Jabhat al-Nusra è considerato un vecchio alleato della Turchia, ora con il nuovo nome Hayat Tahrir ach-Sham, in sostanza è una nuova versione di IS.

La Turchia, con la sua chiara politica anti-curda, alla fine del 2014 ha fallito, sarà lo stesso anche a Raqqa e Deir az-Zor. IS qui diventerà storia. La sua unica possibilità sono i civili come scudi umani e ostaggi. I curdi, con tutti gli altri partner della FDSN, si preparano politicamente allo scatto finale nella guerra in Siria. Dopo la vittoria dichiarata su Raqqa e Deir az-Zor il futuro della Siria non diventerà più agenda sul campo di battaglia, ma ai tavoli negoziali politico-diplomatici. Sia i curdi che i loro alleati, i rappresentati dei singoli gruppi di popolazione, sono pronti per il tavolo negoziale. Hanno creato un modello di amministrazione che non è possibile annullare e che da ultimo è stato confermato nelle elezioni comunali. Ora a dicembre si svolgeranno anche le elezioni dei parlamenti cantonali e regionale, per ultime nel gennaio 2018 è prevista l’elezione dell’istanza più alta, ossia del Parlamento della FDSN. Questo piano non può essere fermato dato che è stato sviluppato su una base consolidata.

Falliti in Siria – nuova partenza per il Kurdistan del sud

Complessivamente si può notare che la Turchia con la sua politica anti-curda nel nord della Siria ha fallito. Ma ora tenta la sua fortuna nel Kurdistan del sud (Iraq del nord). Il referendum del 25 settembre 2017 per uno Stato curdo indipendente ha offerto soprattutto per la Turchia un’occasione di intervenire di nuovo attivamente nella politica del Medio Oriente. Erdoğan ora cerca un’alleanza per la sua politica anti-curda in Iraq, Iran e Siria. A questo scopo militari turchi di grado elevato fanno la spola tra Ankara, Teheran, Bagdad e Damasco. Perché anche questi si sono pronunciati in modo veemente contro lo Stato curdo. L’obiettivo prioritario di Ankara con Bagdad, è di fomentare un’ostilità curdo-araba. Questo ha cercato di farlo per sette anni nel nord della Siria, fallendo però per via della base di fiducia stabile tra arabi e curdi. Con Teheran, con la politica anti-curda comunque aggressiva, cerca di istigare a una guerra. Erdoğan arriva fino ad agire in nome di questi Stati – come se fosse il loro portavoce. Ma politicamente questo non potrà funzionare. L’Iran, come la Turchia, cova rivendicazioni di grande potenza nel Vicino e nel Medio Oriente. Nel caso di un intervento militare iraniano nel Kurdistan del sud, si farà sentire il PKK, dato che lo interpreterà come un attacco a tutto il Kurdistan. Diversi importanti politici del PKK lo hanno dichiarato nel rappresentare la loro politica contro la Turchia nel caso di un’invasione turca. Questo vale anche per l’Iran, come per tutti gli altri che intendono attaccare il Kurdistan del sud. Questo per il PKK è una cosa ovvia. L’Iran dal punto di vista della politica estera è fortemente sotto pressione. In particolare a fronte dello scenario nel quale gli USA cercano di costruire un blocco arabo con arabi sunniti come l’Arabia Saudita e l’Egitto. D’altro canto la situazione economica non permette un’altra guerra contro i curdi. L’Iran investe quasi tutte le entrate dello Stato per la sua politica di guerra interventista in quasi tutte le regioni del Vicino e del Medio Oriente e del Nord Africa. Inoltre i 15 milioni di curdi per via dei successi curdi nel nord della Siria, sono pronti per un cambiamento di sistema. Qui la Società Democratica e Libera del Kurdistan Orientale (KODAR) ha una grande influenza sulla popolazione, ma anche una forte presenza di guerriglia. Allo stesso modo l’Iraq non farà una guerra contro i curdi, dato che per questo non ha né sostegno in politica estera né risorse economiche.

Che la Turchia avrà successo con l’intervento a Idlib è dubbio, dato che né la Russia né la Siria sono seriamente interessate a una spartizione del potere con la Turchia. La Turchia si era rivelata utile per questi Stati nello scorso dicembre, dato che dopo la sconfitta ad Aleppo alla fin fine su iniziativa della Russia e dell’Iran ha dovuto lei stessa indebolire i gruppi di IS e Al-Qaida, costringendoli alla ritirata. Non solo la Turchia, anche Russia, Iran e soprattutto la Siria hanno un grande interesse nel controllare loro stessi il corridoio curdo verso il Mediterraneo. Qui ci sarà un nuovo percorso di trasporto dell’energia su scala globale. La probabilità che i suddetti alleati della Turchia intendano procedere a Idlib in modo analogo come ad Aleppo quindi è elevato.

Il referendum – un gioco di potere con il fuoco
L’AKP ha preso il referendum nel Kurdistan del sud come spunto per regolare i conti rispetto alla sua sconfitta nel nord della Siria. Qui crede di ottenere risultati perché per via delle sue relazioni strategiche con il Partito Democratico del Kurdistan (KDP) non ha influenza solo sull’economia, ma anche su ampi settori della politica nei territori del KDP. Lì mantiene inoltre 15 postazioni militari nelle zone vicine al confine. Erdoğan, che ha manifestato apertamente il suo rifiuto nei confronti del governo regionale curdo (KRG), ha fatto riferimento al fatto che la Turchia nel 2003 ha fatto un grande errore approvando la creazione del KRG. Ora evidentemente vede la possibilità di correggere questo errore.

Il diritto all’autodeterminazione è un diritto naturale del popolo curdo. Spetta ai curdi in modo insindacabile poter decidere essi stessi del loro futuro. Per secoli hanno vissuto ogni brutalità immaginabile. La ragione di questo la vedevano nella loro identità priva di uno Stato. Con il desiderio di uno Stato pensavano, e molti ancora pensano, che avrebbero conquistato potere, cosa che li avrebbe protetti da attacchi dall’esterno. Se ci si interroga su una ragione generale, viene fatto notare che i curdi sono diventati vittime perché non avevano uno Stato. Questa convinzione è molto profondamente insediata e ha a che fare nell’immediato con la brutalità degli Stati coloniali alla quale sono stati esposti. Quindi è importante capire questa psicologia dei curdi.

Tuttavia ci sono partiti e politici curdi che purtroppo attraverso la promessa di uno Stato curdo giocano e speculano sull’antichissimo sogno.

In uno scenario più ampio, il sogno curdo è diventato strumento politico della politica del potere nel Kurdistan del sud. Il referendum del 25 settembre doveva piuttosto servire al mantenimento del potere del KDP e rafforzare il suo Presidente Mesûd Barzanî in vista delle imminenti elezioni parlamentari e presidenziali. Dall’attacco di IS del 2014, sia l’attuale Presidente del KRG sia il suo partito, soffrono di una grande perdita di immagine. Perché non sono stati in grado di tenere testa agli attacchi di IS contro Şengal (Sinjar), Maxmûr e Kerkûk. Era accorso il PKK e aveva impedito un assassinio di massa di yazidi a Şengal nonché una marcia di IS attraverso Maxmûr fino a Hewlêr (Erbil), la capitale regionale. Inoltre l’amicizia con il governo dell’AKP, che va oltre un’alleanza strategica, ha creato più problemi. Non solo i curdi erano d’accordo con questa relazione, anche molte potenze internazionali e regionali. Che l’AKP stesse dalla parte di IS e di altre bande, era un segreto non segreto. Concentrarsi politicamente, economicamente e diplomaticamente su una forza che diventa sempre più debole, ha danneggiato la causa curda nel suo complesso.
Da amico a nemico

La Turchia dal cambiamento nel Vicino/Medio Oriente in poi, si è giocata i suoi alleati passo per passo. A partire dalla NATO, fino agli Stati con i quali intratteneva alleanze strategiche, per via di una sua ostinata politica di potere attualmente problemi con tutti. Insieme agli Stati arabi, come l’Arabia Saudita e il Qatar per lungo tempo con il cosiddetto blocco sunnita ha sostenuto IS ecc. Nel dicembre dello scorso anno, dopo la sconfitta ad Aleppo, si è poi messa dalla parte della Russia, dell’Iran e della Siria nel cosiddetto campo sciita.

All’AKP è rimasto come unico fedele amico Mesûd Barzanî con il suo partito, il KDP. Con il referendum il presidente del KRG Barzanî prima delle elezioni previste per il novembre 2017 ha cercato di garantirsi il suo potere. Ora la sua politica di potere è schierata contro quella di Erdoğan. Passa a stento un giorno senza che i media turchi insultino Barzanî. Perfino le dichiarazioni di Erdoğan su Barzani vanno molto oltre la cultura politica e sono caratterizzate da offese. Qui ora si pone la domanda se Barzanî modificherà la sua attuale politica sulla Turchia o se continuerà a restare l’unico amico che tiene in piedi il regime di Erdoğan. Dato che la politica del KDP e del suo Presidente ha poco a che fare con la questione curda, mentre è invece concentrata più sulla sua politica di potere, bisognerebbe evitare aspettative patriottiche.

Che sia per il KDP sia per Barzanî dopo il referendum non si tratta della proclamazione di uno Stato curdo, ma piuttosto di interessi di politica del potere, oggi è più evidentemente che mai. Un fautore della realpolitik come Barzanî, che ha fatto politica per tutta lavita, a fronte della situazione politica instabile della regione dovrebbe sapere che la proclamazione di uno Stato curdo attualmente è pressoché impossibile. Molti dei politici e degli Stati occidentali lo hanno reso molto chiaro da subito. Dal punto di vista curdo le condizioni a livello di politica interna non sono ancora abbastanza mature. Non c’erano piani comprensibili su passi, percorsi e metodi dopo il referendum. Tutt’ora non è chiaro se se KDP e PKK sono pronti a unificare le loro forze militari, di polizia, servizi segreti. Ma non è chiaro nemmeno se verranno rimossi i checkpoint tra le zone di influenza del PDK e del suo concorrente e partner di coalizione Unione Patriottica del Kurdistan (PUK). Sono questioni enormi che finora non hanno visto risposte dal KDP.

Prima del referendum, attraverso i media del KDP era stata creata un’atmosfera incredibile che costringeva tutti al »Sì«. Perché chi osava dire »No« veniva subito denunciato come traditore della patria. Così svariati partiti politici sono stati costretti ad unirsi al gioco.

Si può fare anche diversamente

I curdi dal 2003 godono di uno status ampiamente autonomo in Iraq. Hanno un loro esercito, polizia, servizi segreti, aeroporti, media, diplomazia, commercio di petrolio, economia libera, quasi tutto quello che ha uno Stato Nazione. L’unica cosa che dava fastidio era il fatto che all’ONU non erano considerati curdi, ma irakeni.

Di sicuro è ora che questo popolo con le sue 40 milioni di persone venga riconosciuto ufficialmente, politicamente e giuridicamente come autonomo. Perché fino a quando non avviene questo, i curdi non possono procedere contro la repressione da parte degli Stati dai quali vengono perseguitati. Che un popolo sia privo di riconoscimento giuridico significa che gli Stati coloniali possono dargli la caccia come fosse selvaggina libera. In tutti gli assassinii finora commessi dallo Stato nei confronti dei curdi, nessun caso può essere portato davanti ai tribunali internazionali. L’ONU deve riconoscere ai curdi uno status speciale, in modo che, anche se non hanno un proprio Stato, possano procedere giuridicamente contro gli Stati aggressori. Non è possibile che non possano portare la Turchia di fronte a un tribunale internazionale, anche se viola in modo veemente i loro diritti più elementari. Lo stesso vale per il Kurdistan orientale e l’Iran.

I curdi in Iraq dopo Saddam finora non hanno avuto problemi gravi. Attraverso la crescita della democratizzazione della Costituzione e della politica irakena sarebbe possibile combattere politicamente per più diritti. Il dialogo con Bagdad era ed è importante. Anche se Hewlêr è una parte dell’Iraq, negli ultimi anni è sembrato che fosse sottoposta ad Ankara. Questo non doveva succedere.

Come prevenzione rispetto ad altri problemi causati dalla Turchia, ora è importante che i curdi si riuniscano in un congresso nazionale e sviluppino una posizione unitaria rispetto alla Turchia. Della questione curda, da Sykes-Picot e Losanna in poi, hanno approfittato molte potenze. Per questo per una forza curda non sarà semplice andare da sola contro corrente. Gli sviluppi nel Kurdistan del sud dopo il referendum hanno di nuovo mostrato chiaramente che molti Stati si vogliono servire di questa questione. Per impedirlo e per evitare che i curdi siano usati come un pallone, come è stato evidente nell’esempio dell’alleanza Kurdistan del sud-AKP, una strategia di unità nazionale tra loro è della massima importanza. La Turchia ha sempre cercato di sobillare il KDP contro il PKK. Il classico gioco del »divide et impera« della Turchia ora è stato messo in discussione anche nel Kurdistan del sud. E in ogni caso i curdi devono mettersi d’accordo contro l’intenzione turca di formare con Iran, Iraq e Siria una nuova coalizione anti-curda, e rappresentare sia all’Iraq che all’Iran e alla Siria la loro disponibilità per la pace. I curdi hanno più di un problema con la Turchia. E non solo i curdi, quasi metà del mondo …

Nilüfer Koç, Co-presidente del Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK)

Kurdistan Report 194 | novembre/dicembre 2017