Una no fly zone per proteggere i kurdi del Rojava dai bombardieri turchi

L’inestricabile situazione siriana dopo il forfait Usa. Iniziativa Ue e italiana cercasi

[3 Gennaio 2019]

Secondo il ministero della difesa siriano, il primo gennaio circa 400 combattenti kurdi delle Yekîneyên Parastina Gel (Ypg), le unità di protezione del popolo del Rojava, hanno lasciato Manbij. In un comunicto il regime di Bashir al-Assad sottolinea che «Conformemente agli accordi sul ritorno alla vita normale dei territori situati nel nord della Siria, a partire dal primo gennaio 2019, una e colonne di 30 auto con dei combattenti kurdi ha lasciato Manbij in direzione dell’est dell’Eufrate». Il ministero della difesa siriano ha pubblicato un video che conferma queste informazioni.

Il 31 dicembre lo stato maggiore delle forze arnate siriane aveva annunciato che le sue truppe erano rientrate a Manbij, fino ad allora sotto controllo delle Forze democratiche siriane a guida kurda, dopo che le Ypg avevano chiesto al governo di Damasco di riprendere il controllo dell’area per evitare l’annunciata invasione turca dopo che Donald Trump aveva reso nota la decisione di ritirare i soldati statunitensi dalla Siria.

L’accordo, che ha mandato su tutte le furie il presidente tirco Edrdogan, è stato definito «una tendenza positiva» dal portavoce del Cremlino Dmitri Peskov e, quindi, ha il pesantissimo imprimatur di Vladimir Putin.

Come scrive su Rojinfo Raphaël Lebrujah, un esperto del Rojava, Erdogan ha ragione ad essere arrabbiato: «L’esperienza della battaglia di Afrin ha dimostrato che la principale falla nel dispositivo di difesa delle Forze democratiche siriane (Fds) è la mancanza di protezione di fronte all’aviazione turca. Se la Turchia venisse privata del suo appoggio aereo, diventerebbe molto difficile, forse impossibile, per l’esercito turco realizzare delle avanzate contro le forze a maggioranza kurda della Siria del nord».

Trump, dopo una telefonata con Erdogan, ha deciso di lasciare la lotta ani Stato Islamico/Daesh all’esercito turco, che finora è stato il più grande sostenitore dei jihadisti siriani. Tutti sanno che le milizie arabe e turcomanne che hanno conquistato Afrin con l’appoggio degli aerei e dei carriarmati turchi intonavano inni del Daesh, come rivela un recente video.

Ma la mossa del cavallo dei kurdi ha spiazzato Erdogan, che difficilmente bombarderà quello che ora è a tutti gli effetti territorio siriano (protetto dalla Russia) e mentee il Congresso Usa a maggioranza democratica non aspetta altro che un suo passo falso per mettere sotto accusa Trump per essersi nuovamente alleato con Erdogan che sta comprando aerei da combattimento S-400 dalla Russia dopo aver annullato l’acquisto di F-35 americani.

In questa situazione intricata nessuno sa cosa farà Putin e se accetterà lo scambio che la Turchia gli ha proposto tra Manbij e Idlib. Intanto la Francia, a differenza degli Usa, ha dichiarato che resterà a fianco dei kurdi e si troverà nella singolare posizione di essere alldeata di fatto al regime siriano che avrebbe voluto abbattere. Lo stesso farà parte della Coalizione ad (ex) guida Usa che ha sconfitto il Daesh grazie al sacrificio dei combattenti kurdi e che non vuole lasciare campo libero alla creazione di zone di influenza turche e iraniane. La Francia potrebbe essere appoggiata dalla Gran Bretagna e dalle Monarchie sunnite del Golfo, che passerebbero da finanziatrici a nemici delle milizie jihadiste che ora combattono a fianco dei turchi. Anche Egitto, Iraq e Giordania potrebbero aiutare finanziariamente le Fds nel nome della comune lotta contro lo Stato Islamico.

Le autorità del Rojava hanno già detto che quella con gli Usa era un’alleanza tattica e che sono pronte a combattere in caso di invasione turca del nord della Siria e, dopo l’annuncio del ritiro di Trump, gli uffici di reclutamento delle Fds registrano una forte affluenza di arabi e kurdi, musulmani e cristiani, che vogliono combattere contro i turchi e i loro alleati jihadisti, in particolare a Tel Abyad che era considerata un bastione pro-islamista e filo-turco.

Erdigan è arrivato perfino a dire che i kurdi del Rojava (che sono siriani) non avrebbero il diritto di chiedere allo Stato siriano o ad altre “entità” di difenderli. Ma Lebrujah fa notare che «Il Rojava non ha chiesto l’arrivo di più truppe occidentali ma la messa in atto di una no fly zone per vietare il sorvolo dello spazio aereo da parte dell’aviazione turca».

La vittoria turca ad Afrin è stata possibile solo perché la Russia, che controlla lo spazio aereo siriano, ha lasciato fare gli aerei turchi, visto che prima ogni attacco portato da terra, dal 201 al 2018, delle milizie jihadiste pagate e armate dalla Turchia contro i kurdi era miseramente fallito. Difficilmente la Turchia violerebbe una No Fly Zone fatta rispettare da Russi, francesi e britannici, visto che è ancora fresco il ricordo dell’abbattimento dell’aereo turco che provocò una seria rottura diplomatica tra Mosca e Ankara e un boicottaggio economico russo che è costato caro alla Turchia.

I Kurdi e le Fds hanno dimostrato di essere praticamente imbattibili sul terreno ed Erdogan con un’invasione via terra si impantanerebbe in un Vietnam kurdo che probabilmente gli scoppierebbe anche in paria con la ribellione dei kurdi turchi. Quindi, i kurdi, il Rojava e la Siria (e la pace) hanno bisogno di una No Fly Zone sotto il cui ombrello poter discutere del dopo guerra e di come sbarazzarsi una volta per tutte di quel che rimane del Daesh. Il problema è che dei Paesi Nato (Francia e Gran Bretagna) dovrebbero impedire a un altro Paese Nato (la Turchia) di violare una No Fly Zona imposta con il loro contributo.

Se l’Italia avesse una politica estera potrebbe svolgere un ruolo importante. Ci vorrebbe un’iniziativa europea per recuperare un minimo della molta credibilità perduta dai Paese dell’Ue nel pantano siriano e nel furbesco zigzagare tra Obama/Trump, Putin ed Erdogan. Solo il sostegno dell’Europa potrebbe permettere a chi ci ha liberato dallo Stato Islamico – i kurdi – di poter negoziare da una buona posizione con la Russia, il regime siriano e la Turchia e creare una Siria nella quale sia possibile continuare l’unico esperimento autonomista e democrati-progressista del Medio Oriente.

Lebrujah conclude ricordandoci che Manbij è strategica per il neo-imperialismo di Erdogan, ma noi europei non dobbiamo dimenticare kurdi e Fds «Hanno combattuto i jihadisti e un’invasione turca significherebbe il ritorno del Daesh e dei jihadisti in Siria. L’opinione pubblica deve comprenderlo per mobilitarsi e i governi avranno tutte le ragioni per sostenere le Fds contro l’invasone che prepara la Turchia».

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