Un Combattente dell’ISIS a Kobane: “Erdogan ci ha aiutato molto”
ISIS provocatorio mentre la guerra civile e’ sul punto di arrivare in Turchia: “Erdogan ci ha aiutato molto, ma ora non abbiamo più’ bisogno di lui. La Turchia e’ la prossima”.
Un contributo da Istanbul tratto da ROAR Magazine.
Un’ultima occhiata a Kobane e vedo due pilastri di fumo salire dal centro della città, subito prima di essere trascinato via dalla collina con la forza dai soldati turchi nei loro carri armati. Qualche minuto prima, si odono due forti esplosioni, dopo le quali nubi di polvere e detriti emergono dagli edifici della città’, poco al di la’ del confine con la Turchia.
Nonostante i jet e i droni della coalizione circolino sopra le teste invisibili ma chiaramente distinguibili al suono, e’ evidente che questi non sono stati attacchi aere: le esplosioni sono un’area ancora sotto il controllo del YPG/YPJ, ed il fumo e’ diverso da quello normalmente visibile dopo le incursioni aeree. Ciò’ lascia solo un’altra possibilità’: queste erano le esplosioni dovute a due auto-bomba dell’ISIS volte a scardinare le difese delle linee curde senza successo.
Subito dopo l’esplosione della seconda auto – esplosa dall’ISIS o neutralizzata dal YPG/YPJ – una mezza dozzine di carri armati turchi si riversa di fretta dal confine verso la collina dove i giornalisti stranieri e gli osservatori locali si sono radunati per monitorare la situazione. I soldati intimano a tutti, media compresi, di lasciare la zona. Non e’ data alcuna spiegazione, così’ facciamo ritorno a Suruç, città’ sul confine ad otto chilometri di distanza.
Solidarietà’ da un attivista locale
Qualche giorno fa, sul bus che da Urfa ci riportava a Suruç, un uomo comincia a parlarmi. Dice di chiamarsi Müslüm, un 31enne attivista curdo della zona di Suruç, e mi parla del fratello che combatte a Kobane con il YPG. Müslüm non parla con lui da cinque mesi, perche’ ogni contatti con qualsiasi membro del YPG a Rojava metterebbe lui e la sua famiglia nelle condizioni di essere arrestati dalle autorità’ turche.
“Sta combattendo per il sistema dei distretti, per la libertà’ del popolo curdo e per la libertà’ di tutti, dice. L’indipendenza di Rojava e’ un problema per la Turchia, perché’ il sistema dei distretti e’ un esempio di come potrebbe funzionare lo Stato Curdo.” Müslüm supporta ed e’ fiero di suo fratello. Lui stesso conosce l’attivismo politico, avendo passato tre anni in prigione per aver supportato la causa curda. Fu portato nella parte turca di Cipro dopo essere stato rilasciato ed ha fatto ritorno in Turchia solo a condizione di non riprendere piu’ l’attivismo. Cio’ non sembra infastidirlo troppo.
“Il governo mi chiama terrorista perché’ prendo parola alle proteste che chiedono democrazia per i curdi. A loro non piace nulla che abbia a che fare con la libertà’ del popolo curdo. Ma io non li ascolto! Ogni sono attivo per la causa del popolo curdo. Tutti qui sono come me.”
Il governo turco mantiene registri di tutti gli attivisti curdi, e il nome di Müslüm appare in una lista nera, cosicche’ ogni volta che viene controllato dalla polizia rischia di essere portato al commissariato. Cio’ nonostante mi offre tutto l’aiuto di cui avrei bisogno e nei giorni seguenti ce la mettera’ tutta per portarmi nei villaggi che costellano il confine siriano – villaggi occupati da attivisti solidali, cosiddetti scudi umani, e non autorizzati agli stranieri.
Discutendo un’autonomia democratica
Dopo il funerale di sette combattenti del YPG/YPJ, i cui corpi sono stati trasportati da Kobane in Turchia per essere seppelliti li’, un numerosa folla si raduna al quartier generale locale del Partito Democratico delle Regioni (DBP), simpatizzante coi curdi. Mentre tutti seguono le ultime news su un canale curdo e bevono te’, Ayse Muslim, moglie di Saleh Muslim – presidentessa del Partito di Unione Democratica (PYD), e leader de facto di Rojava – si fa largo e comincia a gridare agli uomini: “Cosa ci fate qui a bere e guardare la TV mentre i nostri compagni a Kobane combattono per la vostra libertà’? Andate al confine a mostrare la vostra solidarietà’!”
Più’ tardi, nel villaggio di Measêr, dove in centinaia si sono riversati per vedere dal vivo l’assedio a Kobane, mi metto a sedere con alcuni uomini alla moschea del luogo per discutere il loro punto di vista sul sistema dei distretti di Rojava sulla teoria dell’autonomia democratica di Ocalan. Tra di loro c’e’ il fratello di uno dei più’ alti comandanti del PKK, felice di esplicitare le sue idee.
“Il sistema dei distretti ed il progetto di autonomia democratica non e’ un progetto unicamente curdo”, dice. L’idea e’ di facilitare la vita comune di persone di diversa religione, etnia e lingua. Certo, il PKK ha combattuto per l’indipendenza, ma questo al tempo della guerra civile. Dopo la caduta del muro di Berlino ed il crollo del blocco socialista abbiamo dovuto capire che l’idea di un governo per un popolo non era la direzione giusta.”
Con le esplosioni a Kobane sullo sfondo più’ uomini si uniscono alla discussione. “L’anno scorso Barzani (il leader conservatore del Kurdistan iracheno) ha fatto appello per l’unione del popolo curdo sotto un singolo governo”, aggiunge uno. “Ma il PKK non e’ d’accordo, perché’ uno stato così’ sarebbe alla stregua di quello turco. I curdi hanno religioni differenti e parlano varie lingue. Come potremmo unirci sotto un singolo governo?”
Tutti concordano con il fatto che, data la forza dello stato e delle forze armate turche, l’adozione su larga scala del sistema dei distretti di Rojava e’ ancora in la’ da venire. Ma vedono l’autonomia democratica come unica alternativa. “Non vogliamo politici di professione, preferiamo che la gente comune prenda decisioni sulla propria via, basate sul consenso ed attraverso i consigli locali.”
Appena fuori il villaggio, all’ombra della base militare che copre la piccola collina che guarda a Measêr da un alto ed al confine siriano dall’altro, mi incontro con Sabri Altinel. Questo veterano del KBP sta chiacchierando con il suo amico insegnante venuto da Kars a dimostrare solidarietà’ alla gente di Kobane. Altinel sorride e conviene con me che “tutti qui ora sono anarchici. Siamo contro l’ISIS come contro lo stato turco”.
Kobane linea rossa
Giorni fa Abdullah Ocalan, il leader del PKK attualmente imprigionato, ha presentato allo stato turco una proposta a scadenza per una pace con il popolo curdo. Il testo recitava: “Possiamo aspettare fino al 15 ottobre, dopo di che non c’e’ nulla che possiamo fare. Loro [le autorità turche] parlano di risoluzioni e negoziati ma non c’e’ nulla di tutto ciò. Questa situazione e’ artificiale; non siamo in grado di andare più avanti”.
Gli uomini di Measêr sono d’accordo, perché non ne possono più’ della situazione con il governo turco, che ripropone la questione curda ogni volta che le elezioni sono vicine, salvo poi dimenticare le promesse quando la pressione si fa alta. Pensano che Ocalan abbia posto una scadenza cosicché le promesse fatte nei negoziati non possano essere più posposte – ed alla luce dei fatti di Kobane il governo sarà costretto a mostrare il suo volto.
“Kobane e’ tutto” dice il fratello del comandante del PKK. “Kobane e’ la linea rossa: per il PKK, per Ocalan, per i curdi, per tutti. Senza Kobane non possiamo parlare di nulla”. L’opinione diffusa tra i curdi ed i loro sostenitori qui al confine e’ che il governo turco abbia a che fare con l’assalto dell’ISIS a Kobane. Quest’opinione e’ stata confermata da un membro dell’ISIS con cui abbiamo parlato al telefono a duecento metri di distanza dal confine con la Siria.
Mentre camminavo per i campi con il mio amico Murat incontriamo un uno che ci spiega di essere appena fuggito da Kobane. Ci dice che due giorni prima ha provato a chiamare un amico che combatte con le Forze di Difesa delle Donne. Ma qualcun altro aveva risposto al telefono per dirdgli che il suo amico era morto per mano dell’ISIS e che il suo telefono ora apparteneva a lui.
Murat sprona l’uomo a comporre di nuovo il numero, e, dopo numerosi squilli a vuoto, la stessa persona risponde. Il nostro amico parla col combattente dell’ISIS per un po’ in arabo e poi chiede come si stia comportando il loro amico Erdogan. La risposta conferma il sospetto di molti: “Erdogan ci ha aiutato molto in passato. Ci ha dato Kobane. Ma ormai non ci serve più. La Turchia e’ la prossima!”
La scadenza del 15 ottobre si avvicina in fretta, e con il confine ancora chiuso al supporto materiale e logistico ai difensori della città’ curdi, le probabilità’ di una nuova guerra civile in Turchia aumentano di giorno in giorno. Gli uomini di Measêr avrebbero preferito una soluzione politica alla violenza ma sanno che, se il governo turco continua a rimanere fermo, chiudendo il confine mentre i loro compagni a Kobane continuano ad essere massacrati dall’ISIS, non avranno altra scelta.
Sembra che la guerra civile siriana possa esondare in Turchia, non ultimo perché la maggioranza dei combattenti del YPG a Kobane sarebbero del PKK in aiuto dei compagni siriani il lotta contro l’ISIS. Mentre emergono nuove notizie di raid aerei turchi sulle posizioni del PKK nel sud-est del paese, e’ chiaro che il cessate il fuoco stia per essere rotto.
Così stando le cose, i prossimi giorni saranno decisivi per il processo di pace turco-curdo. A meno che il governo turco non faccia improvvisamente un cambio di marcia, aprendo il confine a Kobane e supportando la resistenza curda contro l’ISIS, sarà difficile prevenire un’ulteriore escalation di violenza nella regione.
*Iskender Doğu è uno scrittore e giornalista freelance, attivista ad Istanbul e redattore di ROAR Magazine. Su Twitter è @Le_Frique, questo contributo è tratto da roarmag.org, traduzione a cura di dinamopress.it