Un appello alla solidarietà: difendi Afrin – difendi l’umanità!

Nella battaglia per Afrin, si possono rintracciare le dimensioni universali delle lotte popolari contro il fascismo, la dittatura e la morte – e per la democrazia, la libertà e la giustizia. Mentre scrivo, l’esercito turco è impegnato in un’invasione illegale transfrontaliera della regione siriano-curda di Afrin. Affermando di combattere i “terroristi” lo stato turco – candidato membro dell’UE, alleato dell’Occidente e secondo esercito della NATO – ha lanciato un atto di aggressione contro le stesse persone che si sono guadagnate il rispetto del mondo sconfiggendo l’ISIS con i loro coraggiosi sacrifici e la loro resistenza storica. La campagna militare include truppe dell’Esercito libero siriano pro-Erdogan (FSA) e rappresenta una minaccia per 800.000 civili, metà dei quali sono sfollati interni che hanno cercato rifugio ad Afrin da regioni come Idlib e Aleppo.

L’obiettivo di Afrin mette a nudo ogni lettera dell’alfabeto dell’imperialismo. L’attacco non avrebbe potuto essere lanciato senza l’approvazione della Russia, che controlla lo spazio aereo su Afrin, così come senza il consenso di Iran e di Assad. Secondo funzionari di Afrin, la Russia ha proposto di proteggere Afrin in cambio del suo passaggio sotto il controllo del regime di Assad. Ma poiché l’offerta è stata respinta, la Russia ha dato il via libera all’invasione della Turchia.

Dal canto loro gli Stati Uniti, che hanno opportunamente usato i curdi come “affidabili truppe di terra” in Siria negli ultimi anni nell’ambito della coalizione internazionale anti-ISIS, rimangono in silenzio sulle ambizioni del loro alleato NATO di sacrificare gli eroi della guerra all’ISIS, semplicemente ammonendo la Turchia di “evitare le vittime civili”. I governi europei, in particolare la Germania, hanno una propria posta in gioco, poiché le armi e i carri armati usati dall’esercito turco sono per lo più europei; armi in mano ai fascisti, che spingono milioni di persone a lasciare le proprie case e a rischiare la morte per diventare rifugiati in Europa.

A sette anni dalla guerra, la Siria è distrutta; l’ISIS è arrivato, ha ucciso e se ne è andato; sono stati commessi genocidi e massacri; la demografia e l’ecologia della regione sono cambiate; Assad sembra rimanere. Le legittime richieste di tutti i siriani che sono scesi in piazza e hanno rischiato la vita per chiedere dignità, libertà e giustizia contro il regime di Assad sono state amaramente tradite. Nel frattempo, i potenti attori statali nella regione e oltre sembrano aver chiuso il cerchio, con oltre mezzo milione di persone morte e circa sei milioni di sfollati. Gli attivisti parlano della Terza Guerra Mondiale in corso in questa regione.

È in questo contesto che la Turchia lancia la sua guerra ad Afrin, spingendosi ben oltre la storica ostilità dello stato turco nei confronti del popolo curdo. La battaglia simboleggia le due opzioni che i popoli e le comunità del Medio Oriente affrontano oggi: tra dittature militariste, patriarcali, fasciste da un lato, controllate da interessi e capitali imperialisti stranieri, e la solidarietà tra comunità di liberi e uguali, autonome e autodeterminate, dall’altro. La difesa di Afrin è un’occasione per la sinistra di unirsi contro il fascismo e mobilitarsi contro il militarismo, l’occupazione e la guerra.

La posta in gioco

Nel contesto della guerra contro l’ISIS, gli stessi stati noti per aver alimentato le forze jihadiste all’interno della Siria – specialmente la Turchia, l’Arabia Saudita e il Qatar – sono diventati parte di una coalizione guidata dalle stesse potenze che hanno invaso il Medio Oriente per interessi imperialistici, commesso crimini di guerra in nome della “lotta al terrorismo”, e dunque creato le condizioni su cui l’ISIS avrebbe infine prosperato. Le forze che rappresentano i sistemi del capitalismo, lo statalismo autoritario, il fondamentalismo religioso e in alcuni casi il puro fascismo, sono state incaricate di instaurare la democrazia e la pace.

Nel frattempo, mentre l’ISIS catturava l’attenzione della comunità internazionale, la questione iniziale del dominio dittatoriale e sanguinario di Assad veniva relegata ai margini, così come qualsiasi idea di una pace duratura e giusta per la Siria. Con l’ingresso della Russia nella scena bellica siriana e il ruolo dell’Iran, la falsa opposizione dell’ostilità sunniti-sciiti – un tropo comunemente usato per impedire soluzioni giuste in Medio Oriente – è stata rafforzata. Indipendentemente da tutti gli interessi in conflitto delle potenze coinvolte, la loro pratica comune è stata la soppressione di un dissenso significativo, della resistenza dal basso e di progetti per autentiche alternative democratiche. Sul terreno, ciò ha portato alla mobilitazione di ideologie fasciste e settarie per le quali le persone sono state pronte a morire e uccidere.

In automatico, qualsiasi tentativo di autodeterminazione popolare e autodifesa contro il colonialismo e lo sfruttamento capitalista deve essere annientato affinché questo concetto possa funzionare. Ciò spiega tutte le campagne di ostilità verso la rivoluzione libertaria del Rojava, compresi i tentativi di grandi potenze come gli Stati Uniti di usare militarmente il Rojava e tentare di svuotare la sua politica dai suoi principi rivoluzionari. Sfruttando le contraddizioni che sorgono all’interno dei giochi di potere imperialisti, i curdi, cercando di rimanere fedeli agli ideali rivoluzionari mentre erano letteralmente circondati dal fuoco e coinvolti in alleanze tattiche temporanee con alcuni attori, sono stati costantemente accusati di essere marionette dell’imperialismo nel loro tentativo di istituire sistemi democratici radicali di autogoverno, mentre difendevano milioni di vite da morte certa per mano dei fascisti dell’ISIS.

Purtroppo, parti settarie e dogmatiche della sinistra internazionale non sono state in grado di leggere queste politiche emancipatorie e di agire di conseguenza, consentendo all’Imperialismo di andare avanti rifiutandosi di porgere la solidarietà indispensabile ai curdi quando era più necessario. C’è ancora tempo per correggere questo errore.
Resistenza o fascismo

Solo pochi mesi dopo che le Unità di Difesa delle Donne (YPJ) in gran parte curde hanno annunciato la liberazione della capitale ISIS di Raqqa, dove migliaia di donne erano state tenute come schiave sessuali per anni, fondamentalisti religiosi sotto il comando di Erdoğan ora cantano apertamente slogan fanatici accompagnati da bizzarri rituali folcloristici di guerra neo-ottomani sullo sconfinamento in Siria. Perfino le sezioni laiche e nazionaliste della politica turca, che amano considerarsi “moderne”, salutano l’operazione con celebrazioni di militarismo fascista.

Anche se gruppi jihadisti come ISIS e affiliati di Al Qaeda hanno per anni decapitato, crocifisso, commesso stupri di gruppo e bruciato vive persone innocenti al confine turco-siriano, l’amministrazione Erdogan non sembrava allora troppo preoccupata per il “terrorismo ai suoi confini”. Gli sforzi per svelare il supporto militare, logistico e politico turco all’ISIS sono caduti nel vuoto, perfino quando Erdogan riusciva a malapena a mascherare la sua eccitazione per la possibile caduta della città kurdo-siriana di Kobane nelle mani dell’ISIS nel 2014.

Ancora una volta è chiaro come l’esperimento democratico di liberazione delle donne, multietnico e dal basso della Federazione democratica della Siria settentrionale, iniziato con la rivoluzione del Rojava nel 2012, rappresenti una minaccia molto più grande per gli interessi turchi di qualsiasi forza reazionaria di assassini stupratori. In altre parole, lo stato turco sotto Erdogan sta cercando di finire ciò che il suo complice ISIS non ha saputo fare: annientare le legittime aspirazioni all’autodeterminazione del popolo curdo, e con ciò la possibilità di un Medio Oriente alternativo basato sulla solidarietà, la giustizia e libertà.

A distanza di pochi giorni dall’inizio dell’operazione, definita enfaticamente “operazione ramo d’ulivo”, lo stato turco ha già commesso massacri di civili. Nei media turchi, questa violazione del diritto internazionale viene definita una guerra per “la democrazia, la fraternità e la pace”. Il linguaggio ambiguo della “guerra al terrore”, avviato dall’amministrazione Bush negli Stati Uniti, viene utilizzato per ingannare la società turca e il mondo, spingendoli a credere che questa operazione sia necessaria per proteggere i cittadini turchi da attacchi terroristici e per difendere la sovranità nazionale.

In realtà, l’invasione è guidata dallo stesso stato che ha imprigionato bambini, attivisti della comunità, parlamentari e sindaci legalmente eletti, giornalisti, avvocati, insegnanti, ambasciatori di pace, attivisti per i diritti umani, difensori dei diritti delle donne e accademici per il fatto di chiedere la pace, non la guerra. I fatti sono distorti, la legge internazionale sospesa. Un vero e proprio crimine storico viene commesso di fronte agli occhi del mondo.

Al fianco di Afrin

Il detto curdo “non abbiamo amici se non le montagne” viene spesso ripetuto quando ci si riferisce agli innumerevoli massacri, ingiustizie e tradimenti che il popolo del Kurdistan ha vissuto nel corso della sua storia. Estendendosi su quattro dei più importanti paesi del Medio Oriente – Turchia, Iraq, Iran e Siria – e costantemente minacciato da attacchi genocidari da tutte le parti, questa espressione è in accordo con l’esperienza vissuta più di quanto dovrebbe.

Il detto riflette perché i curdi – o chiunque li sostenga – non possano mai fidarsi degli stati per sostenere i loro desideri di libertà e giustizia. La recente cooperazione tattica con la Russia e gli Stati Uniti in Siria è stata rivelata dagli assalti turchi di oggi su Afrin come nient’altro che parte dei giochi di potere imperiali, con entrambe le maggiori potenze disposte a sacrificare la vita di milioni di civili per salvaguardare i loro più ampi interessi geopolitici. Il movimento di liberazione curdo ha agito avendone consapevolezza, ed è proprio per questo che, al momento del tradimento, le loro strutture autonome basate sull’auto-organizzazione non si dissolvono ma hanno la meglio. La popolazione comune di Afrin, con la coscienza e l’esperienza di auto-organizzazione acquisite nel corso degli anni, è oggi pronta a difendersi da ogni attacco e occupazione.

E’ ora evidente che i popoli del Medio Oriente possono contare solo sui loro sforzi autosufficienti per mobilitare il potere popolare e la solidarietà internazionale e lo spirito di amicizia e condivisione. In tutto il mondo, attivisti curdi hanno di nuovo occupato le strade per protestare contro la guerra internazionale alla loro lotta per la libertà. La massiccia rivolta durata mesi per tutto il Kurdistan e oltre ha svolto un ruolo decisivo per l’eventuale vittoria di Kobane nel gennaio 2015. Le richieste delle attuali manifestazioni di solidarietà non riguardano solo la fine degli attacchi militari, ma anche la cessazione del commercio di armi con la Turchia e chiedono di avviare autentici processi di pace sia in Turchia sia in Siria.

Nello spirito di Kobane, è fondamentale mobilitare la solidarietà rapidamente e in modo massiccio ancora oggi per Afrin. Non possiamo mai fare affidamento sugli stati per prendere l’iniziativa nel realizzare la giustizia. Le persone comuni, le persone oppresse, chi resiste, gli amanti della libertà e le comunità del mondo devono essere compagni l’uno dell’altro. Proprio come centinaia di migliaia di persone dall’Argentina all’Afghanistan al Sudafrica hanno partecipato ai nostri raduni, occupazioni e proteste nel 2014 per la difesa di Kobane dal fascismo dell’ISIS, il movimento di liberazione curdo e tutte le forze progressiste democratiche in Siria in particolare – e nel Medio Oriente più in generale – contano sul potere della solidarietà internazionale in questa ora storica.

Nella battaglia per Afrin, è possibile osservare le dimensioni universali delle lotte popolari contro il fascismo, la dittatura e la morte – e per la democrazia, per la libertà, per la giustizia. Il futuro di Afrin simboleggia il destino di una regione a cui è stata negata una vita dignitosa per troppo tempo.

Non è quindi esagerato affermare che Afrin incarna oggi la difesa dell’umanità. Ecco come appare la guerra contro il fascismo nella Mesopotamia del ventunesimo secolo.

Dobbiamo stare al fianco di Afrin e difenderla dal fascismo!

No pasaran!

Di Dilar Dirik – 24 gennaio 2018