Turchia e PKK – Salvare il processo di pace

Pubblichiamo la traduzione dell’Executive Summary dell’ultimo rapporto di International Crisis Group sul processo di pace fra Turchia e movimento kurdo, incluse le raccomandazioni finali, per evidenziare come anche il noto think tank con sede a Bruxelles abbia inserito nel dibattito alcuni recenti cambiamenti della situazione in Medio Oriente– ed in particolare in Siria – che stanno influenzando tale processo. L’approccio di ICG alla questione curda è sempre stato molto prudente, fin dal linguaggio: si parla di sud-est, piuttosto che di Kurdistan. Permane anche in questo testo un linguaggio e un approccio che non ci convincono: ad esempio si omette di specificare che dalla dichiarazione del cessate il fuoco da parte del PKK con il conseguente ritiro di parte delle sue forze di guerriglia dal territorio della Turchia, quest’ultima ha risposto avviando la costruzione di centinaia di nuove caserme, con una decisione che meriterebbe almeno la qualifica di “provocatoria”. Ha inoltre stanziato i soldi per assumere altri guardiani di villaggio e ha bombardato la regione di Oramar – dove si ritiene vi siano postazioni del PKK – lo scorso 14 ottobre, giorno precedente alla data indicata da Öcalan come limite per verificare la reale volontà del governo turco di proseguire sulla strada del negoziato; ha rilasciato dichiarazioni aspre contro i partiti curdi che hanno istigato attacchi razzisti e linciaggi (tra cui l’episodio dell’accoltellamento di un deputato dellHDP) senza che fosse decisa alcuna contromisura da parte delle forze di polizia, anzi con una sua palese connivenza e a tratti collaborazione vera e propria. Interessa qui osservare come anche nel dibattito internazionale, però, sia entrata l’idea che il PKK stia efficacemente combattendo il jihadismo sul terreno e che questo sviluppo possa influenzare positivamente – se riconosciuto – il processo di pace anche in Turchia.

Europe Report N°2346 Nov 2014. RIEPILOGO E RACCOMANDAZIONI

Il processo di pace per porre fino all’insurrezione trentennale del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) contro il governo della Turchia è a un punto di svolta. O crollerà perché le parti sprecheranno anni di lavoro, o accelererà perché si impegneranno per reali convergenze. Entrambi si comportano come se potessero ancora prendere tempo – il governo per vincere un’altra elezione, il PKK per costruire ulteriormente strutture quasi-statuali nel sudest del paese prevalentemente curdo.

Ma nonostante un preoccupante brusco aumento delle ostilità, al momento affrontano pochi ostacoli insormontabili al loro interno e hanno due leader forti che possono ancora portare a termine il processo. Senza prima raggiungere la pace, non possono cooperare nel combattere il loro nemico comune, la minaccia jihadista, in particolare da parte di Stato Islamico in Iraq e Siria. L’aumento di violazioni del cessate il fuoco, disordini urbani e estremismo islamico che dilaga in Turchia a partire da conflitti regionali evidenziano il costo dei ritardi. Entrambe le parti devono mettere da parte pretesti esterni e inerzia domestica per arrivare a compromessi sul problema principale, il conflitto Turchia-PKK all’interno della Turchia.

Significativamente le due parti, essendosi rese conto che nessuno può battere l’altro completamente, affermano di voler mettere fine al conflitto armato. Il governo ha attualmente risposto al cessate il fuoco del PKK con una seria cornice legale che rende possibile un progresso reale. Ma entrambe le parti ancora si scambiano una retorica brusca alla quale devono porre fine per costruire fiducia.

Devono fare di più per definire obiettivi finali comuni e mostrare un impegno pubblico vero rispetto a quelli che saranno compromessi difficili. L’attuale processo di pace ha bisogno anche di un’agenda più completa, un arco temporale più stretto, impegno sociale, regole di fondo e criteri di monitoraggio comunemente concordati. Si sta evolvendo mentre le parti rispondono a considerazioni pratiche mutevoli, rendendo il processo più una serie di iniziative ad hoc che una strategia di lungo termine.

Anche se non hanno pubblicamente delineato questo dettaglio, negoziati pieni significheranno che Turchia e PKK alla fine dovranno concordare un’amnistia condizionata, leggi per ammorbidire la giustizia di transizione e una commissione verità. Per la Turchia questo richiederà maggiore apertura rispetto all’offerta di riparazioni per i crimini del passato e risarcimenti per le vittime e una disponibilità ad accettare uno scenario in cui – se e quando la pace sarà irrevocabilmente raggiunta – figure del PKK possano entrare a far parte di partiti curdi legali in Turchia, e che il leader del PKK detenuto Abdullah Öcalan possa un giorno essere liberato.

Per il PKK, significa accettare responsabilità per i propri abusi, porre fine e denunciare tutta la violenza e le attività illegali, dichiarare un obiettivo finale di disarmo totale dei suoi elementi all’interno dei confini turchi, rinunciare a ogni tentativo di creare formazioni parallele nel sudest e dimostrare di essere pronto ad includere le differenti fazioni curde della Turchia, in particolare quelle che non sono d’accordo con il PKK, come parti attive nel processo.

Anche in assenza di impegni chiari per raggiungere obiettivi finali, il processo in sé ha provato di essere utile per l’intero paese e non dovrebbe essere messo a rischio per mettere all’incasso obiettivi politici a breve termine con elettorati turchi e curdi intransigenti. Più significativamente, nonostante diverse infrazioni, il cessate il fuoco unilaterale del PKK dal marzo 2013 ha largamente tenuto, riducendo drasticamente le vittime e contribuendo a costruire fiducia.

Nessuna delle parti vuol vedere crollare il processo. Il governo non ha dovuto occuparsi di funerali di soldati durate le elezioni comunali e presidenziali di quest’anno e ha bisogno di una relativa calma per continuare almeno fino alle elezioni parlamentari a metà 2014. Nel frattempo il PKK è stato capace di rafforzarsi nelle città del sudest e di acquisire una legittimità internazionale e domestica senza precedenti.

Il coinvolgimento di gruppi affiliati al PKK nella difesa dei curdi in Siria e Iraq contro gli jihadisti rende realistico un pieno disarmo e una piena smobilitazione del PKK solo all’interno dei confini della Turchia. Inoltre, se la Turchia e il PKK mettono in campo misure di costruzione di fiducia di successo, la presenza di gruppi pro-PKK lungo il suo confine siriano potrebbero effettivamente aiutare la Turchia contro gli jihadisti o altri avanzamenti ostili e espandere la sua zona di influenza nei suoi dintorni.

Per contro, se la Turchia vuole rafforzare la sua posizione domestica contro un rischio futuro di aiuto e sostegno a elementi armati del PKK per operare nel suo territorio, ha un interesse nel raggiungere un accordo con la sua popolazione di lingua curda appena possibile. Sia funzionari turchi che politici curdi dicono di preferirsi reciprocamente rispetto a Stato Islamico. Ma è impossibile immaginare collaborazione fuori dalla Turchia – per esempio per rafforzare aree curde in Siria o Iraq – mentre le due parti a casa sono fondamentalmente in guerra.

Le ricadute dei conflitti in Medio Oriente aprono a pericolose vecchie linee di errori etnici, settari e politici in Turchia, il governo e il PKK devono cercare un obiettivo finale comune che vada oltre il mero mantenimento di un processo di pace. Il governo deve creare le condizioni legali e politiche, un processo e contesto che costruirà fiducia. Ma anche il PKK deve convincere l’opinione pubblica turca, curda e internazionale che può essere un attore democratico, pronto a disarmarsi e a trasformarsi in un gruppo politico.

Se desidera la pace, il movimento nazionale curdo in Turchia deve essere chiaro su quale tipo di decentralizzazione cerca. Questo accordo richiederà compromessi da entrambe le parti. Solo in questo modo la Turchia può sollevare dal peso di lunga data di un conflitto civile le sue forze armate, la sua economia, gli sforzi di democratizzazione e la sicurezza dei suoi confini. Allo stesso modo una fine dell’insurrezione è l’unico modo in cui il PKK sarà in grado di tornare a casa per rappresentare il suo elettorato curdo all’interno del sistema politico legale della Turchia e raggiungere il suo dichiarato obiettivo di diritti democratici per tutto il paese.

RACCOMANDAZIONI

Al governo della Turchia:

1. Estirpare le cause del conflitto armato e costruire fiducia nel sistema politico attraverso [le seguenti misure]:

a) riformulare la legge anti-terrorismo e gli articoli rilevanti del codice penale per garantire che pene vengano comminate solo per incitamento alla violenza, rapimenti e altre azioni violente, e completare la revisione delle detenzioni per terrorismo in essere per mettere fine alla detenzione di attivisti non-violenti;

b) abbassare la soglia di sbarramento elettorale del 10% ad un massimo del 5% per garantire un’equa rappresentanza in parlamento;

c) riformulare la costituzione per rimuovere ogni senso di discriminazione su base etnica;

d) continuare il lavoro per garantire una piena istruzione in madrelingua in lingua curda dove ce ne sia richiesta, e

e) annunciare piani per maggiore decentralizzazione, assicurando allo stesso tempo che i comuni curdi non siano discriminati e abbiano lo stesso accesso a finanze e risorse di tutti gli altri.

2. Spiegare al pubblico turco che un accordo pace sarà l’inizio di un’attuazione difficile, pluriennale e che in questa fase il disarmo può riguardare solo insorti del PKK all’interno della Turchia.

3. Permettere a una delegazione negoziale congiunta di consolidare i colloqui con il leader detenuto Abdullah Öcalan, il PKK in Iraq e esiliati nella diaspora.

4. Evitare dichiarazioni pubbliche esacerbanti per i curdi della Turchia, come equiparare il PKK con gli jihadisti o minacciare di ritornare a misure di sicurezza particolarmente dure.

Al movimento nazionale curdo in Turchia, incluso il PKK:

5. Mantenere il cessate il fuoco e denunciare tutti gli atti violenti da parte di elementi a esso associati e chiarire che il disarmo all’interno della Turchia è un obiettivo che il movimento desidera.

6. Preparare l’opinione pubblica curda e le strutture del PKK per una pace che significherà prendere parte a politiche turche pacifiche, inclusa una chiara divisione nel nome e nell’organizzazione da qualsiasi operazione in Iraq, Siria, Iran o altrove.

7. Chiarire se il movimento cerca decentralizzazione, autonomia federale o indipendenza. Se l’obiettivo è un futuro all’interno della Turchia, porre fine alla creazione di strutture parallele illegali che minano il governo centrale.

8. Lasciar cadere richieste provocatorie e irrealistiche di costruire una “forza di autodifesa” di guerriglieri professionali nelle aree di lingua curda.

Al governo turco e al movimento nazionale curdo:

9. Concordare sui parametri di una commissione verità di esperti indipendenti che ascolteranno le vittime del conflitto e manderanno una relazione pubblica al parlamento turco.

10. Preparare una legge speciale per predisporre il dovuto processo giudiziario per crimini passati nel conflitto, con gli obblighi di risposta e criteri per entrambe le parti; garantire l’amnistia per i combattenti che non hanno legami con crimini gravi; determinare i crimini da escludere dallo statuto di limitazioni ventennali; migliorare i risarcimenti nei confronti delle vittime; rafforzare la protezione dei testimoni; e regolamentare il ritorno definitivo alla vita normale per i leader del PKK, essenzialmente includendo Abdullah Öcalan.

11. Stabilire sistemi di verifica e controllo chiari e attuabili per ogni passo concordato.

12. Evitare di mettere precondizioni, come la richiesta di ritiri totali di insorti o la fine di costruzioni di strutture per la sicurezza da parte del governo, che al momento sono difficili da monitorare e valutare in modo indipendente.

13. Concordare congiuntamente una politica coerente e chiara di comunicazione sui colloqui di pace e informare le opinioni pubbliche turca e curda sul progresso.

14. Continuare ad incoraggiare la partecipazione della società civile nel processo, in particolare rivitalizzando la delegazione di “saggi” usata con successo in tutto il territorio nazionale nel 2013.

15. Considerare la partecipazione di un terzo stato o entità internazionale che agiscano come garanti del processo nella commissione verità, per supervisionare il disarmo o in meccanismi di politiche locali.

Alla Comunità Internazionale:

16. Offrire sostegno e consigli sia al governo turco sia a iniziative civili o del settore privato che lavorano su qualunque accordo di pace, in particolare designando una commissione verità, un meccanismo giuridico transitorio, un processo di smantellamento e disarmo e la creazione di opportunità locali per combattenti smobilitati, inclusa la copertura dei bisogni fondamentali delle loro famiglie.