Turchia al voto, è alta tensione: allarme brogli e violenze

Urne aperte da stamani alle 6. Erdogan insegue la maggioranza assoluta. A presidiare i seggi ci sono 385 mila agenti. In lizza 16 partiti, con una soglia di sbarramento record al 10%

OGGI il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si gioca tutto. Tornano alle urne 54 milioni di suoi concittadini (385mila agenti a presidiare i seggi). Il capo dello stato spera di riconquistare la maggioranza assoluta del Parlamento che ha perso il 7 giugno scorso, dopo 13 anni di dominio incontrastato. Incassò allora solo 258 seggi su 550. “È un referendum sul futuro della Turchia”, ha detto il primo ministro Ahmet Davutoglu nel comizio di chiusura. Il suo vice Yalcin Akdogan, esponente del partito Akp di Erdogan, ha annunciato che “chi tenta di influire sul voto sarà punito”. È l’ennesima, velenosa, frecciata contro la star dei curdi, l’avvocato Selahattin Demirtaş, leader del Partito Democratico dei Popoli, in sigla Hdp. Diversi dirigenti dell’Akp hanno accusato il Pkk di Abdullah Ocalan, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, di aver minacciato gli elettori che nel sudest del Paese non erano intenzionati a votare l’Hdp.

LA VERA SPINA nel fianco del presidente turco è Demirtaş. Per la prima volta ha attirato voti esterni al recinto della tradizionale base curda. Il 7 giugno ha conquistato il 13 per cento dei suffragi e 80 deputati (ma ora alcuni suoi dirigenti sognano il 15 per cento e 100 parlamentari) attraendo consensi fra i giovani ribelli ecologisti di Gezi Park e pescando nelle associazioni per la difesa delle donne, nei serbatoi dei sindacati e delle società professionali dei medici e degli avvocati. Ora è nel mirino del partito di maggioranza. Nel sudest curdo sono stati arrestati diversi rappresentanti di lista dello Hdp. Alcuni seggi sono stati spostati in centri nei quali il capo-villaggio è dell’Akp. Molti co-sindaci del Partito Democratico dei Popoli (che ai vertici di ogni organizzazione colloca sempre un uomo e una donna) sono finiti in cella.

IN TURCHIA scorre di nuovo il sangue. Commandos di kamikaze hanno falciato 33 persone a Suruc fra i giovani socialisti e i filo curdi che volevano ricostruire Kobane il 20 luglio e 126 partecipanti a una manifestazione pacifista di Ankara il cui nucleo centrale era di seguaci di Demirtaş il 10 ottobre. I poliziotti che avrebbero dovuto proteggerli si contavano sulle dita di una mano. Tre settimane fa a Sur, la cittadella storica di Diyarbakhir, la metropoli del Kurdistan turco, tre agenti delle Forze speciali sono stati uccisi dal commando «Yja star» del Pkk. Sul quartiere si è abbattuta una reazione rabbiosa. Gli abitanti denunciano 11 vittime. Per una settimana è stato imposto il coprifuoco. I muri delle case sono bucherellati dai proiettili. La moschea Fatih Pasha, colpita anche con un razzo, è ancora chiusa. «I tiratori scelti sparavano a chi si affacciava alle finestre», racconta ancora terrorizzato Gengis, un ragazzino di 12 anni. Nel frattempo è entrata in vigore una legge draconiana sull’ordine pubblico. «Perfino portare una kefiah con i colori curdi in una manifestazione non autorizzata può portare a un’accusa di sostegno al terrorismo”, rabbrividisce Barbara Spinelli, membro dell’Associazione dei giuristi democratici.

LA CONSULTAZIONE elettorale di oggi è cruciale. Quasi tutti i sondaggi fotografano un risultato uguale a quello di giugno. Il Partito Repubblicano del Popolo, in sigla Chp, 24,9 per cento dei voti in giugno, di orientamento socialdemocratico, ha mobilitato mezzo milione di rappresentanti di lista nei 175 mila seggi del Paese e ha allestito una sala per il conteggio dei voti dotata di un software uguale a quella del Supremo Ufficio elettorale. Un altro mezzo milione di controllori lo ha messo in campo l’Mhp, il Partito del Movimento nazionalista, 16,2 per cento in giugno. L’Akp raddoppia, con un milione di osservatori ai seggi. Li sorveglieranno 255 mila poliziotti e a 135 mila militari della gendarmeria. La guerra in Siria continua a cacciare persone alle loro case. In Turchia i profughi sono più di due milioni. Due sono stati trovati decapitati in una casa di Urfa. Erano giornalisti dell’emittente «Raqqa è massacrata in silenzio» che ha coraggiosamente denunciato le nefandezze degli uomini in nero di al Baghdadi.

di LORENZO BIANCHI
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