Truppe di Erdogan indesiderate
Washington e Ankara evidentemente concordi sull’occupazione turca della Siria del nord. Curdi annunciano resistenza- Rappresentanti dei curdi siriani si oppongono con veemenza ai piani per una “zona di sicurezza” che sarebbe controllata dalla Turchia. L’idea di una simile zona cuscinetto profonda 20 miglia (32 chilometri), era stata annunciata dal Presidente USA domenica attraverso il servizio di notizie brevi Twitter. Il Presidente USA non aveva indicato né dove precisamente dovesse collocarsi questa zona né chi avrebbe dovuto imporla. Nei media occidentali la proposta quindi è in larga misura sparita. Si è invece riferito della prima parte del Tweet di Trump, nel quale minacciava la Turchia di »distruzione economica” se avesse arrecato danni ai curdi siriani.
Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è mostrato »rattristato« per la minaccia di Trump, ma ha riconosciuto l’offerta che c’era dietro e ha immediatamente afferrato la cornetta del telefono. Successivamente Erdogan martedì davanti a deputati del suo partito al governo AKP ad Ankara, ha parlato di una telefonata “estremamente positiva” con Trump, nella quale sarebbe stato fatto un accordo »storico«. Il Presidente USA avrebbe confermato il ritiro delle truppe USA e approvato che lì sia istituita una zona di sicurezza da parte della Turchia, ha sostenuto Erdogan. Washington finora non ha confermato un accordo del genere.
Intanto i curdi siriani sono allarmati: una zona cuscinetto profonda 32 chilometri e secondo quanto riferito dal portavoce di Erdogan, Ibrahim Kalin, lunga 460 chilometri comprenderebbe quasi tutte le città più grandi della zona di autogoverno in Siria del nord come Derik, Qamishli, Amude e Kobani – e le Unità di Difesa del Popolo curde, che Ankara definisce terroriste ma finora sono state sostenute dagli USA nella lotta contro »Stato Islamico” (IS), dovrebbero ritirarsi.
“Non accetteremo una zona di sicurezza sotto il controllo dello Stato turco”, ha dichiarato martedì all’agenzia stampa curda ANF Aldar Khalil, il portavoce diplomatico del “Movimento per una Società Democratica” (Tev-Dem), maggioritario nella regione autonoma in Siria del nord. “Abbiamo comunicato a Washington che approveremo solo una zona di sicurezza sotto il controllo delle Nazioni Unite e della coalizione internazionale anti-IS.” La Turchia sarebbe un pericolo per l’intera regione, ha detto Khalil, e con riferimento a zone siriane già occupate dalla Turchia come Jarabulus e Afrin, ha messo in guardia rispetto a piani per annettere altri territori un tempo ottomani. Il dialogo interno siriano sarebbe decisivo, ha confermato Khalil. Da diverse settimane a Mosca e nella base militare di Hmeimim in Siria sono in corso colloqui tra l’amministrazione autonoma della Siria del nord e dell’est e il governo siriano. Il punto di scontro centrale dovrebbe essere il riconoscimento dell’amministrazione autonoma da parte di Damasco.
La strategia degli USA sulla Siria non è cambiata, ritiene Bese Hozat, la co-Presidente della confederazione “Unione delle Comunità del Kurdistan” (KCK), che comprende il movimento di liberazione curdo in Turchia, Siria, Iran e Iraq. La lotta contro IS per gli USA sarebbe stata un pretesto utile per intervenire in Siria, è l’analisi di Hozat in un’intervista con ANF. “Dal primo giorno dell’intervento USA in Siria, intenzione dichiarata degli USA era indebolire il carattere rivoluzionario della rivoluzione del Rojava, mettere sotto controllo la rivoluzione e reimpostare la Siria secondo il propri desideri.” Dato che gli USA dopo la prevedibile vittoria su IS non potranno legittimare la loro permanenza in Siria, ora starebbero procedendo a modifiche nelle loro relazioni tattiche e »cercando in modo più consistente di dare alla Siria un nuovo ordine con la collaborazione della Turchia”. A questo scopo servivano i gruppi islamisti organizzati dalla Turchia. La propaggine siriana di Al-Qaida Haiat Tahrir Al-Sham, che negli ultimi giorni ha preso il controllo totale della provincia di Idlib nel nordovest della Siria, ha già dichiarato il suo sostegno a un’offensiva turca contro le YPG nel nord della Siria.