Sulla bellezza

Nel mondo odierno pieno di bruttezza, ingiustizia e malvagità, non è l’estetica delle forme fisiche, aumentate, che costituisce la bellezza; solo le donne che difendono la vita con la lotta possono creare bellezza. dal Comitato di Jineolojî (18 maggio 2020)

 

 “Chi è una persona bella, cosa è meritevole e degno di essere amato, quale identità e personalità dovrebbe essere amata di più, chi sa avere comportamenti che portano all’amore? Dobbiamo essere in grado di cercare, rivelare e sviluppare la bellezza e ciò che è più amabile. Il tuo scopo in queste fila è raggiungere la capacità di essere una fonte di amore e bellezza.” (Abdullah Öcalan)

Prima che l’estetica fosse confinata alla sfera della filosofia e dell’arte, prima che fosse concepita come un corpo femminile seducente per i desideri degli uomini, ciò che era percepito come sacro e bello era tutto ciò che aggiungeva valore, bellezza e significato alla vita. Öcalan lo nota in modo adamantino: “Non riconosco la bellezza al di fuori di una società etica e politica. La bellezza è etica e politica! Specialmente con la continua ascesa del potere e dello Stato, la bellezza e la bontà si sono potute proteggere soltanto con la lotta. Il detto di Zoroastro: “pensa bene, parla bene e agisci bene” ha aperto la strada a princìpi, un sentiero su cui molti, come Máni, Buddha, Confucio e Socrate, hanno sviluppato ragionamenti per difendere i valori sociali.

Eroi, profeti, totem, divinità, religioni e credenze sono emersi nelle culture di tutti i popoli del mondo, mostrando alle persone la strada per la bellezza, la bontà e il benessere. Nel periodo più lungo della storia umana le donne sono state viste come una fonte di bellezza, poiché personificavano tutto ciò che è sacro nella vita e la rappresentazione delle donne nella cultura comunitaria di questa società.

In tempi antichi, in periodi in cui le condizioni di vita per gli umani erano limitate, tutto ciò che rinforzava le condizioni per la riproduzione, il nutrimento e la protezione era riverito e considerato bello. Tra i manufatti archeologici più significativi dei periodi del Paleolitico e del Mesolitico ci sono figure femminili sulle quali si è molto dibattuto, a cui ci si riferisce comunemente come “Venere”, e che rappresentano questo fenomeno. Nonostante gli scarsi mezzi di sussistenza di una vita non sedentaria, in cui era quasi impossibile essere corpulente, la venerazione della fertilità e le Veneri giocarono un ruolo notevole nella vita e divennero i simboli dei valori sociali quali la bellezza e il sacro. Queste figure rappresentano donne con pance abbondanti e seni prominenti che pendono sui loro larghi fianchi e che sono spesso in procinto di partorire.

Nella geografia del Medio Oriente si possono trovare figure femminili più grandi e più significative dalla prima era Neolitica, a partire circa dal 6500 a.C. Tra le più antiche fra queste ci sono le case di Çatal Hüyük con rilievi che rappresentano donne, datate tra il 6500 e il 5600 a.C. In questi rilievi esse sono generalmente gravide e hanno ampi seni. Öcalan fa riferimento alla fonte delle figure femminili di Çatal Hüyük quando scrive che: “La rivoluzione del Neolitico (…) ha avuto luogo nella culla dei fiumi Eufrate, Tigri e Zab. Inizia lì e va fino a Çatal Hüyük. Le donne sono le prime a sviluppare agricoltura e allevamento animale. Lei è dipinta come se si stesse facendo proteggere da due leopardi. Negli scavi di questi siti sono emerse molte figure femminili a indicare che il potere delle donne era diffuso. La famosa Potnia Theròn (signora degli animali) tra quelle che sembrano essere due pantere è sia madre sia giudice della natura. Secondo un archeologo, Potnia dev’essere stata la madre delle altre dee, che sarebbero state una fonte di speranza per i contadini e i pastori dall’inizio del Neolitico fino all’ascesa delle religioni monoteistiche di dominazione maschile.

In periodi successivi, le comunità rurali matriarcali espressero il significato di bellezza, fertilità, gentilezza e bontà nella devozione alla dea. Inanna per i Sumeri, Ishtar per gli Accadi, Astarte per i Cananei, Kubaba e poi Cibele per gli Urriti e gli Ittiti, al-Uzza per la penisola araba, Demetra per le culture latine e Afrodite per i Greci, tutte rappresentavano simboli, rituali e pratiche comuni. Sono tutte dee della fertilità, dell’amore e della bellezza. Öcalan afferma che la tradizione di Inanna-Afrodite rappresenta una femminilità che non ha ancora perso la sua bellezza, l’attrazione sessuale e la forza fisica. Ciò che è rappresentato dalle dee quindi è la tradizione agricola della società, il suo modo di vivere etico-politico. È ancora possibile trovare tracce delle culture delle dee nei resti delle società etico-politiche e riconoscere le immense lotte generate in luoghi in cui questa cultura è forte.
Sebbene non ci sia traccia di essi alla prima apparizione al fianco delle dee, gli dei sono emersi all’inizio come i loro figli piccoli e poi come i loro mariti. Dumuzi accanto a Inanna, Tammuz accanto a Ishtar, Baal con Astarte, Attis accanto a Cibele, Osiride con Iside e Adone accanto ad Afrodite. Il sacro rito del matrimonio, che è un’unione della dea con il suo partner scelto, tenuto all’inizio della primavera, aveva luogo secondo i termini delle dee. I tributi sono collegati alla bellezza e alla fertilità di questo processo. In autunno, Dumuzi, Tammuz, Baal, Attis, Osiride e Adone muoiono, rappresentando il ritorno della natura alla terra, solo per essere riuniti di nuovo alle dee all’inizio della primavera. Queste storie mitologiche prevalgono ancora nelle nostre epopee, quali quelle di Leyla e Majnoun, Mem e Zîn, Kerem e Aslı, Tahir e Zühre, Yusuf e Zulaikha, Arzu e Qamber, Siyabend e Xecê, storie che vengono raccontate ancora oggi. La bellezza delle donne decantata nelle storie d’amore dell’epica rappresenta in effetti le dee come fonte di bellezza e vita, esprimendo i desideri di quel tempo. Per questa ragione, in queste tragiche storie d’amore, l’amore viene sempre attaccato da forze malevole, gli amanti non riescono mai a incontrarsi in questo mondo malvagio, ma il loro amore rimane la fonte della vera bellezza. Questo è il motivo per cui Shirin e Farhad si dicono:

Ho trovato la perfezione soltanto in te
D’ora in poi non posso sperare di creare la perfezione
La mia prima sconfitta è la mia sconfitta suprema
Il lavoro di Farhad è completo
Shirin si oppone alle parole di Farhad.
Dice: … ci siamo già avventurati nella creazione
A tutte le bellezze verrà chiesto di noi
Abbiamo iniziato la cosa buona e giusta
Il nostro pensiero cercherà sempre l’eternità
Elimina tutto ciò che hai creato, se vuoi
Se vuoi, crea tutto di nuovo
Se vuoi, racconta di una passione che non diminuirà
Cammina verso i tempi che ci aspettano
Voglio che superi la mia bellezza
Non voglio rimanere da sola nella natura
Devo concepirmi con ciò che hai creato
Dammi maggiori bellezze…

[traduzione non ufficiale]

Per molto tempo, la bellezza ha trovato significato nella forma dei valori collettivi. Le persone che erano coraggiose, si sacrificavano ed erano modeste, quelle che vivevano nella comunità, quelle che non si piegavano davanti all’ingiustizia, erano viste come belle. Prima che le nostre menti fossero avvelenate dai paradigmi positivisti della scienza, erano le fiabe, l’epica, le canzoni dei dengbej [lamentazioni dei cantastorie curdi], le poesie e i proverbi a essere la maggiore fonte di educazione sociale, descrivendo e diffondendo ciò che era bello, buono e giusto. Comunque, le percezioni della bellezza sono cambiate sempre di più nel tempo.

Tra quelli che hanno formato la nostra nozione di bellezza c’è Aristotele. Egli definì la bellezza con ideali e proporzioni matematiche. Disse: “Le forme principali di bellezza sono ordinate, simmetriche e precise, in special modo con la dimostrazione della scienza matematica” e pretese di esprimere ciò nella “regola aurea” della matematica. Secondo questo principio, questa caratteristica misurabile era vista come la fonte della bellezza dei volti, dei corpi e dell’arte, nei dipinti e nelle sculture dei Greci, dei Romani e degli artisti del Rinascimento perfino i corpi delle donne e degli uomini erano rappresentati con questa formula. La Monna Lisa di Leonardo da Vinci fu creata in questo modo. Mentre da una parte nell’arte la bellezza era idealizzata ed espressa, dall’altra era sempre più ridotta alla sua apparenza fisica e all’essere una tendenza artistica. Specialmente la “bellezza interiore”, come era stata considerata dalla filosofia orientale, venne messa da parte. L’unica bellezza che sembrava avere senso e avere valore era quella che seduceva lo sguardo ed era espressa nella forma.

Oggi, i volti e i corpi sono tagliati e ricostruiti con la chirurgia plastica come se fossero fatti di argilla, per raggiungere standard matematici come “la sezione aurea”. I corpi e gli organismi viventi sono trasformati in repliche di statue. Le definizioni di bellezza, per essere precisi di bellezza delle donne, seguono le affermazioni di Aristotele che definiva le donne come “uomini mutilati”, esseri inferiori agli uomini. Dichiarando che le misure ideali dei corpi delle donne sono 90-60-90, dichiara difettosa qualsiasi altra forma o dimensione dei loro corpi. Perfino quando queste forme e standard sono impossibili da raggiungere per una grande maggioranza di donne, specialmente non in modo sano, c’è un interesse particolare nel far sì che le donne investano il loro tempo e la loro energia nel raggiungimento di questi ideali. Come risultato, molte donne si trovano ad avere problemi di salute, per ragioni fisiche o psicologiche, incluse la depressione e altri disturbi mentali. Di conseguenza, le donne ritenute incapaci di raggiungere quegli standard idealizzati di bellezza sono condannate a soffrire complessi di inferiorità per tutta la vita. Le persone sono indotte a temere i cicli naturali della vita, ad avere paura dell’invecchiamento e della maturità. Invece di vivere la bellezza intrinseca di ogni età, piangiamo per la perdita visibile di giovinezza e “bellezza”. Ogni ruga, ogni capello bianco nello specchio diventa una fonte di dolore.

Finché non abbelliremo la vita, tutte le bellezze esistenti saranno in pericolo. Le foreste antiche, i fiumi fecondi, i litorali vivaci, vengono guardati avidamente dalle compagnie, dagli Stati e dai mercati che hanno come fine l’interesse e il profitto. Ogni giorno, edifici di cemento, dighe e altre infrastrutture distruggono le bellezze naturali, spesso in maniera irreversibile. La natura sta perdendo la sua difesa. Le giovani donne belle sono vendute come oggetti dai loro genitori per matrimoni con vecchi uomini ricchi, oggetti alla mercé e al servizio di coppie abusanti e violente, merci che generano soldi sul mercato. Le donne sono anche state private con la forza dei loro mezzi di difesa. Ogni giorno, le donne sono uccise dai loro partner in nome dell’amore. Ci sono molti testimoni di come l’ISIS o gruppi simili scelgono le “ragazze più carine” da vendere come schiave sessuali. In altre parole, in un mondo così brutto la bellezza che non è protetta né organizzata rischia l’uccisione o lo stupro. Questo è il motivo per cui dobbiamo vivere la bellezza collettivamente – e dobbiamo creare spazi affinché ciò accada. Solo affermando i nostri valori etici ed estetici in tutte le sfere della vita, incluse politica, economia e cultura, possiamo stabilire coscientemente standard di bellezza, vivere in modo bello e diventare fonti di bellezza.

In questo senso, si può rendere la vita più bella combattendo contro la bruttezza, l’ingiustizia e la malvagità intorno a noi. Specialmente in quanto donne noi dobbiamo essere consce della nostra responsabilità di abbellire la vita, perché siamo sempre state le maggiori vittime della bruttezza. Come espresso magnificamente dalla guerrigliera e compagna Bêrîtan (Gülnaz Karataş) dopo un’azione a Rubaruk in cui venne colpita in volto da un proiettile nemico: “Guarda quanto si può essere belle. Sono così bella ora.” La compagna Bêrîtan è una delle prime a comprendere che non abbiamo scelta se non quella di essere belle attraverso la lotta. Questo diventa anche più evidente quando consideriamo gli ultimi sviluppi, quali il sistematico aumento di violenza contro le donne. Non sto parlando soltanto di difenderci fisicamente con le armi. Le donne che democratizzano la politica, le donne che rischiano la vita per proteggere la comunità e le altre donne, le donne che educano loro stesse e quelle intorno a loro, le donne che vivono nella comunità, le donne che salvano l’equilibrio ecologico, le donne che combattono per crescere i loro figli in territori liberi, con le loro identità… e molte altre, sono tutte donne che si rendono belle combattendo. Nel mondo odierno pieno di bruttezza, ingiustizia e malvagità, non è l’estetica delle forme fisiche, aumentate, che costituisce la bellezza; solo le donne che difendono la vita con la lotta possono creare bellezza.

In questo senso, c’è qualcosa di più bello delle giovani donne che combattono il fascismo dell’ISIS?

Zozan Sîma, membro del Comitato di Jineolojî