Siria, i dirigenti curdi di Kobane: serve aiuto per ricostruzione

Kobane torna simbolo della lotta contro lo Stato islamico e obiettivo strategico per gli stessi jihadisti dopo il nuovo attacco dello Stato islamico per tentare di riprenderne il controllo e ribadire la propria forza, in Siria come in Iraq. Askanews ha intervistato a Roma Anwar Muslim, governatore di Kobane, e Saleh Muslim, copresidente del Partito democratico del Kurdistan. Kobane, 54.000 abitanti secondo il censimento del 2007, è ridotta in macerie e spopolata dopo il lungo assedio jihadista terminato lo scorso gennaio. I mesi di scontri sono costati la vita ad almeno 2.000 persone e ha costretto alla fuga centinaia di migliaia di abitanti della regione.

“Kobane – ha spiegato Anwar Muslim – è stata liberata il 27 gennaio 2015 dopo una resistenza eroica. Secondo un rapporto dell’Onu solo a Kobane 1.209 unità abitative sono state distrutte completamente e altre 1.169 in modo parziale. Purtroppo questo rapporto è rimasto lettera morta. Noi, con pochi mezzi, facciamo del nostro meglio per ricostruire quel che ha distrutto l’Isis. Qualche ong ci sostiene, ma dagli Stati ad oggi nessun aiuto. L’Italia ha offerto medicinali ed abbiamo ricevuto promesse di ulteriori aiuti per la ricostruzione e per il ritorno dei rifugiati”.

Ma mentre i jihadisti attaccano di nuovo Kobane, le unità di difesa dei curdi sono alle porte di Raqqa, la capitale del “califfato” del terrore. Saleh Muslim spiega la situazione sul campo: “La nostra è una legittima guerra di autodifesa. E’ vero che abbiamo vinto a Kobane e in altre zone, ma l’Isis non ritira i suoi artigli. Non combattiamo solo l’Isis, ma contro l’intera ideologia salafita jihadista che aggredisce la nostra gente. Perciò pensiamo che la guerra sarà lunga e non finirà presto”.

Ma ai curdi arrivano anche molte accuse: da parte turca, di pulizia etnica, dai media arabi, di essere amici del dittatore siriano Bashar al-Assad.

“Sono accuse palesemente false – afferma Saleh Muslim – quando scoppia una guerra è naturale che i civili si rifugino altrove. E quando finiscono le ostilità la gente torna alle proprie case. Noi non impediamo a nessun civile di rientrare. Anzi chiediamo che tornino. Il fatto è che tutti i villaggi e le città liberate sono minate. L’opera di bonifica richiede tempo. Chiediamo al mondo di aiutarci per rimuovere al più presto queste mine. Noi siamo i nemici di ogni sorta di pulizia etnica. Vogliamo il potere del popolo, la convivenza comune, la democrazia e l’uguaglianza. Per quanto riguarda Assad, eravamo in guerra con lui già dal 2004 e lo siamo ancora oggi: nessuna pace con il suo regime”.

I curdi sono un popolo senza Stato diviso tra Turchia, Siria, Iraq e Iran. Il sogno dello stato curdo, sì o no?

“Non lavoriamo per uno stato indipendente – dice Saleh – nessun partito curdo lo rivendica. Quello che vogliamo è una Siria indipendente, democratica e decentralizzata”.

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