Rivolta in Kordestan

Proteste dopo la morte di contrabbandieri nelle città curde dell’Iran. La guerriglia aumenta le attività contro Teheran-Quando le salme dei due contrabbandieri uccisi lunedì sono state portate nella città di Baneh, cittadini sconvolti hanno assaltato il municipio per chiedere la punizione dei soldati responsabili.

Da martedì i negozi nel bazar sono chiusi per protesta. I manifestanti si sono scontrati con la polizia, c’è stata una serie di arresti. Anche nelle città di Merivan, Sardasht e Piranshahr iniziative popolari promosse da attivisti hanno invitato alla protesta. L’esercito ha eretto sbarramenti intorno agli edifici governativi e ha fatto arrivare rinforzi in elicottero. In altre parti del Kordestan mercoledì era in vigore lo stato di emergenza.Nella provincia occidentale dell’Iran del Kordestan abitata in maggioranza da curdi dall’inizio della settimana sono in corso proteste contro la Repubblica Islamica.

Fattore scatenante è stata l’uccisione del 41enne Qadir Behrami e del suo figlio 21enne Heyder Fereci da parte delle forze iraniane impegnate nella zona di confine con l‘Iraq. I due uomini lavoravano come cosiddetti kolber – facchini attivi nel contrabbando. Il commercio transfrontaliero in questa regione povera è la fonte principale di guadagno. Ma da punto di vista delle autorità i kolber rappresentano un rischio per la sicurezza. Solo nello scorso anno secondo la documentazione di Kurdistan Human Rights Network (KHRN) con sede in Francia, 42 contrabbandieri sono stati uccisi dalle guardie di confine, anche quest’anno sono stati feriti a dozzine e ne è stato ucciso un numero ancora ignoto.

In vista del referendum indetto per il 25 settembre dal Presidente della Regione Autonoma del Kurdistan in Iraq, Massud Barzani, sull’indipendenza della zona, Teheran teme un incremento delle ambizioni di autonomia nel proprio Paese. In Iran vivono circa cinque milioni di curdi, che a differenza dell’orientamento prevalentemente sciita della Repubblica Islamica, sono in maggioranza sunniti.

Martedì l’unità di guerriglia per Partito per una Vita Libera in Kurdistan (PJAK) hanno attaccato una postazione militare nel villaggio di Savan. Secondo quanto riferito dall’agenzia stampa curda Firat sono stati uccisi due guardiani della rivoluzione. Si tratterebbe di un atto di rappresaglia per i due kolber uccisi, ha dichiarato la guerriglia considerata una propaggine curdo-iraniana del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Il PJAK, che aspira a un sistema di amministrazione autonoma secondo il modello della regione del Rojava nel nord della Siria, dal 2011 è impegnato in una tregua con Teheran, interrotta solo da scontri occasionali con le milizie, per non farsi usare come strumento di destabilizzazione dell’Iran dall’estero.

Invece il Partito Democratico del Kurdistan-Iran (DPK-I) lo scorso anno ha ufficialmente ripreso la lotta armata. Il DPK-I, fondato nel 1945 durante la breve esistenza della Repubblica di Mahabad con aiuto sovietico e oggi di orientamento socialdemocratico, sostiene il diritto all’autonomia dei curdi in Iran. Dopo l’assassinio del loro Presidente Abdul Rahman Ghassemlou da parte dei servizi segreti iraniani nel 1989 a Vienna, il DPK-I per oltre due decenni è stato attivo quasi esclusivamente nell’esilio nord-irakeno ed europeo.

Ma nel frattempo il DPK-I, i cui accampamenti, come quelli del PJAK e del PKK si trovano nelle montagne di Qandil nel nord dell’Iraq, hanno ripreso ad addestrare nuovi peshmerga che si scontrano regolarmente con l’esercito iraniano. Inoltre una formazione guerrigliera cittadina dal nome Aquile dello Zagros compie attentati contro guardiani della rivoluzione di alto rango. Secondo le autorità di Teheran l’improvviso slancio delle attività del DPK-I va ricondotto al sostegno logistico e finanziario da parte dell’Arabia Saudita che in questo modo vuole indebolire il Paese sciita concorrente per l’influenza nella regione. Questo non è improbabile. »Per noi è importante indebolire la Repubblica Islamica e noi crediamo che il sostegno dall’estero possa essere efficace a questo proposito. Vogliamo aiuti finanziari, militari, politici e di propaganda«, ha apertamente dichiarato il Presidente del DPK-I Mustafa Hijri nel settembre 2016 durate il programma persiano della BBC.

di Nick Brauns