Risposta a interrogazione su Turchia a HDP
PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Turchia per l’arresto di Selahattin Demirtas, uno dei leader del principale partito filo-curdo della Turchia, il Partito democratico popolare (Hdp). La Corte ha stabilito che la detenzione mira a «soffocare il pluralismo» nel Paese. Ha esortato quindi Ankara a liberare il leader filo-curdo, arrestato nel novembre 2016;
la sua detenzione costituisce una ingiustificata interferenza con la libera espressione del voto del popolo e il diritto del ricorrente a essere eletto e di esercitare il suo mandato parlamentare. Questo è quanto sostiene la Corte europea;
Selahattin Demirtas è ricorso alla Corte di Strasburgo nel febbraio del 2017 assieme ad altri membri del partito pro curdo HDP, tutti eletti in parlamento, arrestati e tenuti in detenzione preventiva;
si rammenta che oltre Demirtas si trovano in carcere anche la co-segretaria del partito Hdp, Figen Yuksekdag e altri 9 membri del medesimo partito;
nel suo ricorso il leader politico sosteneva che il suo arresto, avvenuto il 4 novembre 2016, e la sua detenzione in attesa di giudizio violavano i suoi diritti e il 20 novembre la Corte europea dei diritti umani gli ha dato ragione;
in particolare nella sentenza si evidenzia che, nell’estendere ripetutamente la detenzione di Demirtas, i giudici turchi non hanno mai condotto un’analisi approfondita delle ragioni che rendevano necessaria la sua carcerazione, limitandosi a fornire motivazioni generiche;
inoltre, secondo i giudici europei, da tutte le informazioni fornite alla Corte è difficile sostenere che il leader pro curdo, se rilasciato, avrebbe deciso di fuggire all’estero per sottrarsi alla giustizia;
la continuata detenzione di un leader dell’opposizione non ha messo a repentaglio solo i suoi diritti, ma il sistema democratico del Paese;
il presidente turco Erdogan ha respinto la sentenza della Corte europea dei diritti umani, sostenendo di non essere vincolato al suo rispetto;
a parere dell’interrogante gli arresti, i processi e le detenzioni che hanno colpito il partito Hdp sono illegali, e sono stati perpetrati con fini puramente politici, essendosi rivelate infondate tutte le accuse in cui è stato coinvolto Demirtas;
un Paese che rimane candidato all’ingresso nell’Unione europea non può non rispettare le sentenze della Corte europea, così come non può violare i più basilari diritti umani e del resto anche in passato non sono mancati casi di sentenze accettate e rese esecutive anche da parte della Turchia;
l’Alta rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri, Federica Mogherini, durante un viaggio ad Ankara ha auspicato che il rilascio di Demirtas avvenga in tempi brevi, così come il segretario generale del Consiglio d’Europa e la Presidente dell’assemblea parlamentare dell’organizzazione hanno dichiarato come le autorità turche dovrebbero comunque rilasciare Demirtas;
il Ministro degli esteri turco ha accusato il capo della diplomazia dell’Unione europea Federica Mogherini di aver oltrepassato il suo mandato chiedendo il rilascio del leader curdo Selahattin Demirtas;
quello che è accaduto in questi anni in Turchia contro l’opposizione democratica e parlamentare è inaccettabile e l’Italia, secondo l’interrogante, non si può permettere, da una parte, i «tappeti rossi» quando giungono nel nostro Paese rappresentanze del regime di Erdogan, e poi rimanere inerte e silente di fronte al continuo disprezzo e oltraggio dei valori democratici, dei diritti umani e del Parlamento di quel Paese;
il Governo italiano ha il dovere di rendersi protagonista nella battaglia per il rispetto dei diritti umani –:
se e quali iniziative di competenza, anche di tipo diplomatico, il Governo intenda intraprendere nei confronti del Governo turco a seguito della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo richiamata in premessa e, ad oggi, non osservata dalla Turchia.
(4-01749)
Risposta. — Con sentenza pubblicata il 20 novembre 2018, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) ha chiesto alla Turchia di adottare tutte le misure necessarie per porre fine alla custodia cautelare del leader del Partito democratico del popolo (HDP), Selahattin Demirtas, iniziata il 4 novembre 2016. La Corte ha inoltre condannato la Turchia a pagare 10.000 euro per danni morali e altri 15.000 euro per le spese legali e accessorie.
Nella sentenza è stata rilevata, tra l’altro, la violazione dell’articolo 18 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), in combinato con l’articolo 5.3; la Corte ha sottolineato, in particolare, che le ragioni della detenzione di Demirtas sono strettamente collegate alla sua attività politica quale leader di un partito di opposizione nella scena politica turca. Sulla violazione dell’articolo 18, la giudice Karakaş (turca), parte della giuria, ha depositato una memoria di dissenso.
La sentenza in parola non risulta ancora definitiva ai sensi dell’articolo 43 della CEDU, secondo il quale «entro un termine di tre mesi a decorrere dalla data della sentenza di una Camera, ogni parte alla controversia può/ …../ chiedere che il caso sia rinviato dinnanzi alla Grande Camera». In tal caso, un collegio di cinque giudici della Grande Camera è chiamato ad esaminare la domanda prima che la Grande Camera si pronunci con una propria sentenza.
Poiché quella del 20 novembre non è una sentenza definitiva, non è previsto al momento un dibattito formale in sede di Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa in formato Diritti umani (CM-DH), organo deputato a monitorare l’esecuzione delle sentenze della Corte EDU.
Il rilascio di Demirtas è stato invocato dalla Unione europea durante il dialogo politico di alto livello UE-Turchia del 22 novembre 2018 ad Ankara.
Il successivo 28 novembre la delegazione dell’Unione europea a Strasburgo (EUDEL) ha depositato una propria dichiarazione, che rimane agli atti della riunione del Comitato dei ministri di quel giorno. In tale documento l’Unione europea prende nota della sentenza della Corte EDU, secondo cui la continua detenzione di Selahattin Demirtas è in violazione dei suoi diritti ai sensi della CEDU; ribadisce inoltre la richiesta di rilascio di Demirtas a breve, in linea con gli obblighi della Turchia in qualità di membro del Consiglio d’Europa.
L’Italia è fortemente impegnata a livello internazionale per la promozione e il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, incluse la libertà di espressione e di opinione. Il nostro Paese sostiene altresì l’attività della Corte europea dei diritti dell’uomo, le cui sentenze sono obbligatorie.
L’Italia, in ambito UE, continuerà a monitorare la situazione venutasi a creare in Turchia a seguito della sentenza del 20 novembre della Corte EDU e a promuovere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, in linea con gli obblighi internazionali di ciascuno Stato.
Al contempo continuerà ad assicurare, anche nei fori UE dedicati all’allargamento ai Paesi candidati, adeguata attenzione all’esigenza di veicolare fermi e chiari messaggi sul rispetto dello stato di diritto da parte di Ankara.
A tal proposito, è opportuno ricordare che gli sviluppi intervenuti nel quadro politico turco a seguito del colpo di stato del luglio 2016 hanno indotto il Parlamento europeo a chiedere la sospensione dei negoziati di adesione fino alla normalizzazione della situazione interna e la Commissione ad escludere esplicitamente la prossima apertura di ulteriori capitoli negoziali.
L’impossibilità di prevedere l’apertura di nuovi capitoli negoziali è stata confermata da ultimo anche nel rapporto Paese Turchia, pubblicato il 17 aprile 2018, nel quadro del pacchetto allargamento 2018.
La Viceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Emanuela Claudia Del Re.