RIFLESSIONI SU “SANSUR”: CENSURA

di Mirca Garuti

“Un fruscio di vento faceva vibrare debolmente la candela che avevo acceso per rischiarare quell’angolo di mondo. Guardavo i miei libri, i fogli, i post-it sul muro, una foto stampata di Zeynep Kuray con la scritta “Libertà”. Volevo addormentarmi ma temevo che gli incubi dei mesi passati riemergessero dai meandri sinuosi del mio inconscio. Mentre scrutavo pensieroso le cime nere delle colline attraverso i vetri della finestra, capii che avrei trovato pace soltanto raccontando ad altri questa storia. Allora, per la prima volta dopo mesi, mi addormentai profondamente e sognai”.

Si chiude così l’ultimo libro di Marco Cesario “Sansur: Censura” (Bianca&Volta Edizioni).  Giornalista e fotoreporter, napoletano di nascita, vive a Parigi, dove collabora con l’Università Chalmers di Goteborg e con diverse riviste e quotidiani online, come Linkiesta e Mediapart. Vista la sua passione per le questioni che riguardano l’area medio orientale, coopera anche con alcuni siti specializzati, come MedArabNews e BabelMed.

Marco ha vissuto ad Istanbul e, come spesso succede, ne ha subito il fascino, ma anche le sue contraddizioni. Le descrizioni della città sono così articolate da trasmettere al lettore la sensazione di essere con lui, di vedere e sentire quello che lui stesso prova. Il colore del cielo che cambia, da rosso sangue all’alba, a rosa tenue fino ad arrivare ad un bellissimo azzurro limpido o un cielo cupo, grigio per l’avanzare lento dell’autunno con l’odore della pioggia a venire.  Le case colorate, ma spesso fatiscenti, il dedalo di numerosi vicoletti, strade che sembrano appese per la forte pendenza, venditori ambulanti, calzolai e lustrascarpe, il profumo delle spezie che si mescola con quello del mare, i battelli sul Bosforo. Tutto questo fa d’Istanbul una città misteriosa, dolce e romantica e, nello stesso tempo, cupa e crudele. Un enorme castello di menzogne su cui è costruito l’immagine dell’odierna Turchia. Un momento, che Marco ha saputo cogliere per documentare questa realtà.

E’ il 18 settembre 2011, il giorno dopo Marco, dopo aver trascorso vari mesi in Turchia, deve rientrare in Francia, ma il suo destino prende un’altra direzione. Quella mattina Marco ha un appuntamento in un caffé della città con una giornalista messicana, Francina Islas Villanueva, sua amica.  Francina chiede a Marco, guardandolo negli occhi, se aveva visto la manifestazione sull’Istiklals. Alla sua risposta negativa, Francina riavvolge il nastro della registrazione sulla sua telecamera. Marco guarda il video e vede: ”Un corteo che sfila nel centro della città. Striscioni bianchi con scritte in nero ed in rosso. Una di queste riportava il numero “200”. Era una manifestazione contro la repressione della libertà di stampa: quasi duemila persone chiedevano la liberazione di due giornalisti in particolare, Ahmet Sik e Nedim Sener, in prigione da duecento giorni insieme con altri otto giornalisti del sito web “Oda Tv” in merito all’inchiesta Ergenekon.

“Quel giorno, seduto ad un caffé nella parte europea della città, sentii solo l’urgenza di spingermi più in là della facciata, di gettare un po’ di luce nell’oscurità, attratto com’ero dalla generosità di quel paese, della sua gente, di quella cultura… Volevo andare più in fondo. Francina mi aveva detto che la sua amica Banu poteva mettermi in contatto con una giornalista della BBC che, a sua volta, avrebbe potuto fare da tramite con un collega di Ahmet”.

Francina trasmette a Marco alcuni numeri di telefono.  E’ arrivato il momento di decidere cosa fare: se Marco sceglie di non chiamare, il giorno dopo sarà di nuovo nella sua casa a Parigi, invece, se chiama, si apre una nuova strada senza sapere dove alla fine lo potrà portare. “Esitai un istante. Guardai di nuovo attorno a me la città caotica mentre potevo percepirne il senso d’unità che l’attraversava… Alla fine l’istinto mi disse di comporre il numero… Una nuova strada s’apriva, incerta, davanti ai miei passi”.

Così inizia il viaggio di Marco Cesario alla scoperta di una Turchia nascosta guidata da oltre dieci anni dal premier islamico nazionalista Recep Tayyip Erdogan.

Il libro Sansur è il risultato di questa ricerca. Marco riporta con resoconti molto dettagliati i principali casi che hanno coinvolto giornalisti, redattori, editori, uomini politici che hanno osato affermare la verità, denunciare i molteplici abusi di potere, che hanno affrontato il tema del genocidio degli armeni oppure la guerra contro la minoranza curda in Turchia. Una visione della Turchia sconosciuta alla maggioranza dell’Europa fino ad un mese fa quando, su tutte le televisioni e giornali, veniva trasmessa la violenza della polizia turca nei confronti dei manifestanti di Piazza Taksim in difesa del Gezi Park.
Per Marco non è stata una scelta facile. Il suo coinvolgimento è stato totale. Ha conosciuto la paura, l’ansia, l’inquietudine, specialmente durante le lunghe ore notturne, dove ogni singolo rumore o forma e la sensazione di essere osservato, pedinato, controllato, può assumere dimensioni esagerate, ma non impossibili.
La Turchia di Erdogan, specialmente dopo la “liberazione” dalle dittature ultra decennali di Libia, Tunisia ed Egitto ed il pericolo di una loro sostituzione con nuove forze religiose-politiche, ha sempre rappresentato “sulla carta” un modello d’islam moderato da prendere come esempio.

Nel terzo capitolo del libro “Bivio”, Marco ci presenta alcuni dati che riguardano la libertà d’espressione in Turchia, specchio della reale democrazia.
Alla fine del 2010, secondo l’Osservatorio dei Media, 43 giornalisti, di cui 10 redattori capo, si trovavano in prigione; 655 persone tra scrittori, editori, politici di cui 197 giornalisti, erano stati processati nel corso dei primi nove mesi del 2010 per reati d’opinione, dodici giornali sospesi e migliaia di siti Internet censurati. Nell’autunno 2011, secondo le stime di Reporters Sans Frontieres (RSF) e del Sindacato dei Giornalisti Turchi (TGS), il numero dei giornalisti in carcere era salito a 76 ed i processi in corso all’ordine di diecimila. Nel marzo 2012, 104 giornalisti si trovavano dietro le sbarre. Dagli ultimi dati che risalgono ad agosto 2012, riportati dal TGS e dalla Piattaforma per la Liberazione dei Giornalisti (GOP), risultano essere ancora in carcere 83 giornalisti. La situazione più grave è vissuta dall’etnia curda. I tre ex redattori dell’unico quotidiano curdo in Turchia, “Azadiya Welat” hanno sommato le loro pene a 325 anni e nove mesi di prigione. Non solo i giornalisti, i politici o i redattori subiscono questa limitazione di libertà, anche gli studenti non ne sono esonerati. L’Ordine degli Avvocati turchi (CHD), nell’autunno 2011, aveva lanciato l’allarme: oltre 500 studenti si trovavano in prigione, di cui la metà solo nella regione curda. La maggior parte aveva solo protestato contro il caro-prezzi universitario, partecipato alle manifestazioni del 1° maggio o dell’8 marzo, per aver espresso il desiderio di avere un insegnamento libero e gratuito o semplicemente per il solo fatto di essere curdi. Secondo le stime del partito d’opposizione BDP almeno 4.547 persone erano state arrestate e circa 2000 finite in prigione nel corso degli ultimi sette mesi del 2011, per l’inchiesta sul KCK (Unione delle Comunità curde del Kurdistan). Il KCK è considerato “l’ombrello organizzativo e politico” del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) fondato da Abdullah Ocalan nel 1978.

La situazione presentata da Marco Cesario è veramente terribile. Il suo libro dimostra che le motivazioni sostenute dal governo d’Ankara come giustificazione per l’elevatissimo numero di reclusioni nei confronti di giornalisti, politici e uomini comuni, non corrispondono a verità. Per Ankara, tutti sono accusati di complicità con organizzazioni terroristiche o golpiste. Marco, in merito a questo, espone in modo molto chiaro, qual è lo strumento utilizzato per mettere in pratica questo tipo di repressione. Si tratta della Legge 3713 sull’Antiterrorismo approvata nell’aprile 1991, concepita inizialmente per eliminare la ribellione curda nel sud-est della Turchia, usata poi per “stroncare sul nascere ogni forma di minaccia terrorista, ma la vaghezza delle definizioni giuridiche, l’aveva trasformata nello strumento principale per mettere a tacere la voce dei giornalisti”. Ulteriori emendamenti, come quello del 29 giugno 2006, sotto la guida di Erdogan, pur ammorbidendo in teoria la legge, in realtà intensificavano la lotta nei confronti dei media, aumentando il numero dei processi contro quotidiani, agenzie, televisioni. La Turchia, nel 2009, per questa Legge era stata condannata 12 volte per violazione della libertà d’espressione dalla Corte Europea di Diritti Umani (ECHR). Per non parlare poi dell’esistenza dei “Tribunali Speciali” che creavano altri ulteriori problemi e delle carceri di tipo F: “ E’ quasi un luogo extraterrestre, un non-luogo, fuori dal mondo, fuori da tutto..E’ impossibile essere felici fuori quando si è consci del fatto che esseri umani vivono in condizioni simili, in luoghi in cui gli uomini vengono letteralmente annientati e trasformati in esseri striscianti…In Turchia le libertà sono virtuali”. (Queste sono le parole espresse dall’ex deputato ed avvocato Mahmut Alinak dopo essere uscito dal carcere di massima sicurezza)
La diretta conseguenza di questo tipo di repressione non può far altro che accentuare un fenomeno, esistente per altro anche in Italia, molto grave che è quello dell’autocensura.

Marco Cesario, infine, attraverso le vicende personali di tanti giornalisti, scrittori, editorialisti, attivisti, descrive le molteplici collusioni tra stato, mafia ed organizzazioni eversive, cercando di far capire al lettore com’è nata e qual è il coinvolgimento della famosa inchiesta “Ergenekon” e della “Comunità di Fethullah Gulen”. Ad esempio, le storie più significative sono quelle che riguardano le vicende di Ahmet Sik, Ugur Mumcu, Dogan Ozguden, Zeynep kuray, Leyla Zana e Hrant Dink.

Ahmet Sik è un giornalista che da più di vent’anni ha sempre parlato del Derin Devlet (Stato profondo), della questione curda, dei diritti umani, delle torture, socialista, antimilitarista, non è mai stato un nazionalista e kemalista. Incarcerato per oltre un anno (6/03/2011- 12/03/2012) per aver scritto un libro “L’esercito dell’imam” confiscato prima della sua pubblicazione. Una settimana dopo il suo arresto, Ahmet invia una lettera dal carcere al portale di notizie turco”Bianet”, dove descrive la sua situazione in carcere, le ragioni del suo arresto che lo definisce “politico” e parla della confraternita di Fethullah Gulen. La lettera termina così: “Sono rinchiuso in prigione perché ho avuto il coraggio di dire tutto questo e perché ho voluto scrivere un libro su questo argomento…Non amo il potere. Il mio posto è dalla parte di coloro che sono sue vittime. So esattamente la ragione per la quale sono stato arrestato. Sono stato arrestato semplicemente perché sono giornalista e faccio giornalismo”.

Ugur Mumcu, editorialista per il periodico Yeni Ortam ed il quotidiano Cumhuriyet, è stato anche autore di decine di libri sulla storia e politica turca. Nel 1984 aveva pubblicato “Papa-Mafya-Agca”, un libro che ricostruisce i sottili legami tra le organizzazioni mafiose turche e l’estrema destra eversiva. L’8 gennaio 1993 pubblica un suo editoriale “ Qualcuno sta preparando una trappola sanguinosa per scatenare una faida tra il popolo turco ed il popolo curdo.” Mumcu stava facendo ricerche sui rapporti tra il servizio segreto turco (MIT) ed il PKK ed il tutto doveva poi confluire in un libro “Dossier Curdo”.  Ma la mattina del 24 gennaio, viene ucciso da una bomba nella sua auto.

Dogan Ozguden, sindacalista, membro del Partito Operaio Turco ed esponente di spicco della sinistra radicale turca, aveva iniziato a lavorare come giornalista nel 1952. Fu costretto nel 1973 a fuggire dalla Turchia per evitare diversi processi per delitto d’opinione. Trovò riparo in Belgio, dove insieme alla giornalista Inci Tugsavul, fondò l’agenzia di stampa Info-Turk. Dogan, per le sue battaglie in difesa delle minoranze curde, armene ed assire, fu condannato più volte in contumacia in Turchia. Nonostante siano trascorsi 40 anni dalla sua fuga, Dogan è ancora oggetto di minacce, tali da dover obbligare le autorità belghe a fornirgli una scorta per la sua incolumità.

Zeynep Kuray, corrispondente del giornale curdo “BirGun”, quando incontra Marco Cesario ad Istanbul ad un tavolino dell’Ada Cafè, gli riferisce, senza troppi giri di parole, la situazione drammatica in cui vive, da sempre, la popolazione curda in Turchia. “Il Kurdistan è pieno di fosse comuni. Ma queste cose qui, nel lato europeo d’Istanbul, nessuno le sapeva perché i giornalisti non avevano il diritto di scriverle, queste cose. Il popolo conosceva la versione dell’esercito.” La metà dei giornalisti della agenzia per la quale lavora Zeynep è costretta ad usare pseudonimi per paura di essere arrestati. Il 20 dicembre 2011 ci fu ad Istanbul, Diyarbakir, Van, Ankara, Adana e Smirne un’ennesima retata della polizia antiterrorista. Fu una delle più tremende contro la libertà d’espressione. Ci furono bliz e perquisizioni nelle agenzie di stampa, redazioni di quotidiani, riviste e tipografie. Il numero dei giornalisti in prigione risultava essere superiore al centinaio, tra questi c’era anche Zeynep Kuray che rischiava di perdere la libertà per 15 anni. Zeynep viene scarcerata nell’aprile di quest’anno, ma non può uscire dal suo paese perché il processo è ancora in corso.

Leyla Zana, attivista per i diritti umani e pasionaria del popolo curdo, fu la prima donna curda a sedere nel parlamento turco. Nel 1994 fu arrestata e processata, insieme con altri deputati curdi, con l’accusa di far parte del PKK. Fu condannata a 15 anni di prigione. Leyla, durante i 10 anni di reclusione scrisse il libro “Scritti dalla prigione”. Il Parlamento Europeo nel 1995 le conferì il premio Sakharov.

Hrant Dink, giornalista turco-armeno fu assassinato nel 2007 davanti alla redazione di Agos, settimanale bilingue turco-armeno da lui fondato nel 1996. Il suo assassinio , dopo cinque anni, attende ancora giustizia.

Il libro “Sansur: Censura” di Marco Cesario è importante per due motivi. Il primo, perché diventa la voce di tutti quei giornalisti, redattori, politici, attivisti e giovani che a rischio della loro stessa vita e libertà non cedono di fronte al vero valore delle parole “Verità e Giustizia”. Uomini e donne, per lo più sconosciuti al mondo normale, che diventano protagonisti della storia. Il secondo, perché racconta quello che succede veramente in Turchia, ne svela i suoi lati più oscuri, un paese che si dichiara democratico, al passo con i tempi ed in crescita, ma senza dire qual è il prezzo che deve pagare il suo popolo.

A volte il rovescio della medaglia, è il lato migliore!

31/07/2013
ALKEMIA