Rapporto della delegazione italiana in Kurdistan

Pubblichiamo i primi rapporti della delegazione Italiana in Kurdistan dal 10 ottobre.

Incontro con il partito BDP di Hewler (Erbil)

Incontriamo due dirigenti del Bdp di Hewler nella loro sede, una villetta defilata di Hewler, circondata da un muretto con giardino. Ci fanno accomodare all’aperto intorno ad un tavolo con una tazzina di immancabile cay.

Ci spiegano che sono presenti in questa citta’, capitale del Kurdistan iracheno, con un ufficio di rappresentanza, da due anni.

In una realta’ caratterizzata dal ruolo preponderante degli Usa e di Israele, dove prevale un diffuso nazionalismo, il ruolo del Bdp e’ quello di svolgere un’attivita’ diplomatica finalizzata all’obiettivo dell’unita’ di tutti i kurdi.

Ci dicono che, pur nella mala sorte, il ruolo che ha avuto l’ISIS e’ stato quello di creare i presupposti per l’unita’ di tutte le forze kurde.

Il Bdp ad Hewler sviluppa, comunque, una pluralita’ di iniziative: dai convegni, alla festa della donna, fino alla festa del Newroz; si occupa di assistere e tutelare anche i lavoratori emigrati dal Nord Kurdistan in questa zona.

Concludono dicendo che la vicenda del Rojava e, specificatamente, di Kobane, insieme alle manifestazioni che si susseguono in Turchia, con il sanguinoso strascico di morti – siamo arrivati a 36 – hanno contribuito a cambiare, anche nel Kurdistan iracheno, il clima politico.

Incontro con il partito Goran

Ci incontriamo con il presidente del gruppo parlamentare e con alcuni parlamentari di Goran, tra cui quattro donne.

Ci dicono che dal 1991 e’ in atto una rivoluzione che ha permesso loro di arrivare a controllare il 60% del Kurdistan iracheno.

E’ progressivamente nata una societa’ kurda basata sui valori di liberta’ e democrazia, di rispetto dei diritti delle minoranze, sulla valorizzazione della cultura e delle tradizioni di un popolo da sempre negato e perseguitato.

Dopo la caduta di Saddam Hussein, nel 2003, si e’ aperta una prospettiva del tutto nuova e, nel 2009, si sono tenute le prime elezioni parlamentari. La maggior parte dei militanti e dei dirigenti di Goran proviene dal partito Ypt di Talabani. “Adesso siamo Goran – ci dicono – prima e’ nata la lista, nel 2009, e poi il partito Goran”.

Oggi, nel parlamento del Kurdistan iracheno, ci sono 111 parlamentari, di cui 100 eletti dal popolo e il riconoscimento di una quota – 11 parlamentari – per le minoranze etniche e religiose.

Alle elezioni del 2013 sono stati conquistati, da parte di Goran, 24 parlamentari, di cui 4 ministri; Goran e’ diventato il secondo partito del Kurdistan iracheno. Alle prossime elezioni, l’obiettivo e’ quello di assumere un autentico ruolo di governo. Nella zona kurda, sono ufficiali due lingue: il kurdo e l’arabo e un po’ d’inglese.

Qual’e’ la situazione sul campo nella guerra contro l’ISIS?
C’e’ un problerma molto complicato, le cose cambiano ogni giorno. C’e’ una linea di difesa di mille chilometri. Su questa linea sono schierati 150 mila militari. L’obiettivo dei kurdi e’ quello di riprendere ad ISIS le citta’ perdute.

Concludono dicendo: “ISIS e’ un’organizzazione terroristica. Chi si batte contro ISIS e’ con noi. Occorre che l’Europa e gli Stati Uniti mettana il Pkk fuori dalla lista delle organizzazioni terroristiche. In Kurdistan e’ in atto un esperimento avanzato di democrazia paritaria: qui le donne rappresentano il 30 % e sono coinvolte con le donne degli altri partiti, kurdi e non, in iniziative e convegni unitari in tutto il Medio Oriente”.

**
L’intensa, seconda giornata di attivita’, e’ proseguita con la visita al campo profughi di Makhmur, a circa 40 km da Erbil. Questo campo, ospitante circa dodicimila profughi provenienti dal nord Kurdistan, o Kurdistan turco, e’ interessato dal 2012 da un progetto solidale dell’Associazione verso il Kurdistan di Alessandria,  per la realizzazione di una struttura sanitaria permanente.

Sono stati consegnati al sindaco del campo ventimila euro, provenienti da raccolte e donazioni. Diecimila vennero consegnati lo scorso anno, per cui ne mancheranno ancora circa trentamila per il raggiungimento dell’obiettivo. Aggiungiamo che arrivarono pure apparecchiature medicali dismesse, piu’ una cinquantina di letti forniti da donazioni di due enti ospedalieri emiliani.

Per arrivare alla municipalita’, percorriamo una strada in cemento, ai cui margini si diramano viottoli sterrati, dove sorgono casupole in mattoni di terra cruda e pietra.

La poverta’ ed il disagio sociale sono evidenti, ma vissuti con dignita’.

Al municipio discutiamo con il sindaco, la sua vice, il responsabile del campo, ed un medico responsabile sanitario.

Ci dicono subito che esistono due problemi primari per un funzionamento accettabile del campo, ovvero l’ultimazione del piccolo ospedale gia’ in progetto, assieme ad un’ ambulanza (anche usata) per trasportare all’ospedale di Erbil i casi gravi. Servono pure una decina di valigie di kit sanitario.

Necessitano pure di acqua potabile da una falda pulita, dato che ci hanno presentato una bottiglia con acqua della falda sottostante, con un inquietante colore ed odore… ovvero ricca di idrocarburi!

Una canalizzazione di circa dieci km, risolverebbe lo spinoso problema, dato che la comunita’ viene approvvigionata con autobotti. Occorrono pero’ circa trentacinquemila euro…I nostri interlocutori pero’ chiudono garbatamente la discussione, invitandoci per il pranzo, per riprenderla piu’ tardi.

Ci fanno accomodare su materassini a terra, stendono un telo di sottile plastica, ed in poco tempo questo spazio si riempie di una quantita’ di cibi ottimi, onorando la proverbiale ospitalita’ kurda.

Tanti bambini ci ammiccano con sorrisi ed il classico saluto a V con le dita. Incrociamo due ragazze vestite con la tradizionale tenuta guerrigliera.
Sono del PKK e tornano dal turno di guardia all’ingresso del campo. A cominciare dalle bandiere di questa formazione, quella di Apo Ocalan, e quella delle YPG del Rojava, poste all’ingresso del campo, si vedono ovunque i simboli del PKK.Sono qui perche’ due mesi fa sono arrivati i barbari criminali di ISIS…In quel periodo il campo era indifeso. Ci dicono che in poco piu’ di tre ore tutta la popolazione del campo e’ fuggita, ad eccezione di una minoranza, arretrata verso la montagna retrostante, per unirsi ai miliziani del PKK.

Questi affrontarono quei barbari, dopo una loro brevissima occupazione del campo, con un tributo di sette morti: sei peshmerga kurdo iracheni, una giornalista del campo, piu’ quattro miliziani del PKK feriti. In questa incursione, ISIS ha danneggiato alcune case, rubato vario genere di oggetti e merci.

Si temeva avessero distrutto o rubato i generi sanitari inviati da noi, ma per fortuna sono rimaste dove erano state conservate.

La popolazione di Makhmur e’ tornata da poco alle proprie case, dopo un breve “esilio” di neppure un mese a Ranja, vicino Suleimanya.

Anche in questa occasione, come stanno ampiamente dimostrando con l’eroica resistenza di Kobane, i kurdi sono una garanzia ed un esempio per tutti i popoli che aspirano alla Pace, alla Giustizia, alla Fratellanza.

Visita alla sede ONU di Hewler

Competente per il Sud Kurdistan e tutto il resto dell’Iraq. Abbiamo sollevato a Sokol Kondi, capo del Dipartimento UNAMI, alcune questioni sul tema dei profughi in Kurdistan, quasi 1,3 milioni di rifugiati, stipati in 26 campi in tutto, di cui 6 ancora senza alcuna forma di finanziamento, per un totale di 160000 rifugiati sprovvisti di qualsiasi aiuto. Abbiamo posto anche il problema del campo profughi di Mexmure, che potrebbe vedere risolta una picola, ma urgente, parte dei problemi con la dotazione di una autoambulanza, con la facilitazione dei permessi necessari per attraversare velocemente il check-point con li mezzi di soccorso, e con la costruzione di un pozzo d’acqua potabile e la condotta fino al campo con una spesa di soli 35000 euro, che li metterebbbe in condizione di non usare piu’ l’acqua torbida inquinata da idrocarburi che gli abbiamo mostrato in un contenitore.

Abbiamo discusso sul fatto che il governo autonomo del Kurdistan del Nord, che si occupa direttamente di alcuni rifugiati, e’ al collasso a causa del fatto che Bagdad non manda trasferimenti statali da febbraio.

Ci e’ riferito che fortunatamente alcuni paesi esteri sopperiscono all’esiguita’ delle risorse, finanziando la campagna ONU in Kurdistan. Ci riferisce, inoltre, di un caso particolare. L’Arabia Saudita ha finanziato l’ONU per 500 milioni di $ per progetti che riguardano ‘solo i rifugiati iracheni’, in sostanza i profughi messi in fuga dall’ISIS. Dalla nostra delegazione si muove il sospetto che questa politica non fa altro che favorire il processo di pulizia etnica delle minoranze costrette a fuggire dalla furia dell’ISIS. Cioe’ l’ evaquazione da taluni territori, in maniera da cristallizzzare un nuovo assetto, che sostanzialmente e’ funzionale ai disegni della petrolmonarchia (che fa sponda agli amici sunniti dell’ISIS): l’accoglienza di cittadini iracheni da un’altra parte, provenienti dall’altra a maggiornza sunnita controllata dall’ISIS, allontana il ‘problema del ritorno’. L’esponente dell’ONU non controbatte e se ne esce con un laconico: no comment!

Poi la delegazione ha posto la questione del flagello del Rojava (Kurdistan siriano). Ci ha risposto che il referente ONU di zona, De Mistura, ha posto come netta e precisa la necessità che la Turchia combatta effettivamente l’ISIS per evitarne la diffusione in Rojava, o aprire un corridoio che permetta che la zona non soffochi. Inoltre, pressato dalle domande della delegazione ammette che il ruolo del PKK da terra è stato determinante nell’arginare l’avanzata dell’ISIS. Alla fine riferisce che non si puo’ dire quanto durera’ ancora questa guerra, ma c’e’ di sicuro che la marginalizzazione dei sunniti, perpetrata attualmente in Iraq, ha determinato terreno fertile per l’avanzata dell’ISIS. Pertanto la guerra all’ISIS è da condurre non solo sul piano militare ma su quello della risoluzione delle tensioni politiche interne all’Iraq. Salva fatta la considerazione che i giocatori principali sullo scacchiere dell’area sono Turchia e Iran.

Visita al Parlamento del Governo kurdo 
La nostra delegazione e’ accolta dal vice presidente del Parlamento, sig. Jaffar Ibrahim Eminki.

I parlamentari – ci dice – sono 111. 100 eletti dal popolo, espressione di 9 partiti e 11 assegnati alle minoranze etniche e religiose, di cui 5 per i turcomanni, 5 per i cristiani, 1 per i cristiani armeni.

Nel Parlamento ci sono 34 donne e i partiti piu’ forti sono: Pdk (primo partito), Goran e Puk. Il vice-presidente ci dice che il momento e’ difficile. L’ISIS ha cercato di conquistare Erbil, ma i peshmerga, pur essendo dotati di armi leggere, hanno respinto l’offensiva, cosi’ come a Makhmur.

I peshmerga, circa 160 mila uomini, stanno ora difendendo un fronte di 1.050 chilometri e stanno difendendo anche il Rojava. “Siamo impegnati – ci dice – in combattimenti anche in altre citta’ del Kurdistan iracheno. Abbiamo creato anche un corridoio per evacuare profughi di Mosul e dintorni, mentre Mosul rimane ancora in mano all’ISIS.

Ultimamente sono arrivati armamenti dalla Germania e dall’Italia, mentre gli inglesi danno armi sia a noi che al governo di Baghdad. I nostri sforzi – continua il vice presidente – ci hanno portato al controllo di Kirkuk, citta’ per la quale avrebbe dovuto svolgersi un referendum per la sua assegnazione al Kurdistan iracheno, referendum mai fatto. Inoltre, e’ certo che l’ISIS dispone di armi chimiche: i nostri soldati feriti hanno segni evidenti di questo. Noi collaboriamo con Rojava, e, proprio oggi in Parlamento, ci sara’ una presa di posizione e di solidarieta’ con Rojava e Kobani”.

Il vice-governatore parla poi dei profughi arrivati: sono circa un millione e mezzo, siriani e kurdi. La situazione e’ difficile perche’ da nove mesi il governo centrale non manda soldi per gli aiuti; pero’ c’e’ la garanzia di tre pasti al giorno: inoltre, molte famiglie si sono fatte carico di una parte dei profughi.

A questo proposito, Antonio Olivieri, a nome della delegazione, fa presente la situazione del campo di Makhmur e chiede un intervento, soprattutto, per risolvere il problema dell’acqua potabile: mostra un campione d’acqua prelevato nel campo, campione di color nero per la presenza di idrocarburi.

Il vice-presidente ribadisce che, difronte ad un accordo con il governo centrale, che dovrebbe dare al Kurdistan iracheno il 17% dei proventi di petrolio, viene versato solo il 10%.

Alcuni esponenti della delegazione chiedono quali sono i rapporti con l’Iran e Israele. Con Israele – e’ la risposta – non ci sono relazioni ufficiali, anche se ci sono relazioni economiche tra imprenditori; con l’Iran, dopo la nascita dell’ISIS, i rapporti sono migliorati. Si chiede anche se il governo pensa ad una maggior autonomia all’interno dell’Iraq, o a una vera e propria indipendenza.

La risposta che ci da’ il vice presidente – che precisa trattasi di risposata a livello personale – e’ che sino a che c’era democrazia in Iraq, si poteva pensare ad una completa autonomia, oggi pero’, viste le condizioni dell’Iraq, molti pensano all’indipendenza.

Usciti dal Parlamento incontriamo un folto gruppo di kurdi che, da sette giorni e sette notti, manifestano con un presidio davanti al Parlamento, per chiedere aiuti o interventi per Kobane. Sono kurdi turchi, siriani, iraniani ed iracheni. Li salutiamo e loro ci accolgono con grande entusiasmo e riconoscenza.

Incontro con gli #yazidi

In Iraq, gli Yazidi (o Ezidi come amano farsi chiamare in lingua curda) prima dell’arrivo di ISIS erano circa 600 mila, di questi circa 400 mila vivevano tra i monti del Gebel Singiār, la zona a confine con la Siria, flagellata da ISIS, e dalla quale anche grazie al PKK è stato creato un corridoio di fuga verso le altre zone di stanza degli yazidi, quelle di Sexān (o Shaykhān) e Dohuk (nord-ovest del Paese, a 50 km da Mousul), dove, prima dell’arrivo dei profughi, vivevano, in circa 200 mila.

La nostra Delegazione e’ stata a Sexān (o Shaykhān), una città di circa 14000 abitanti dove vivono 6000 yazidi che finora fortunatamente non sono stati attaccati da ISIS, pertanto vi hanno trovato scampo altri 4000 yazidi in fuga da ISIS, che hanno camminato per 10 giorni a piedi. Gli yazidi sono una comunità molto chiusa, gli sono proscritti i matrimoni inter-religiosi, e sono coperti da un alone di segretezza, essendo vietato rivelare all’esterno le sacre scritture.

Questa alterità è stata causa di incomprensioni e quindi pregiudizi presi a pretesto per numerose persecuzioni, perpetrarte, in piu’ occasioni e da piu’ etnie diverse, in quanto gli yazidi sono stati ritenuti a torto “adoratori del diavolo”, per via della figura di demiurgo dell’Angelo Pavone (Tawisi Melek – il principale dei 7 angeli emanazioni del Dio primordiale), ritenuto dai musulmani un diavolo!

Sono di lingua curda, e ci tengono a precisare che si sentono una comunità autonoma. Festeggiano il capodanno il primo mercoledi’ di aprile. Il leader politico e’ l’Emiro (Amir), che nomina il capo spirituale, il “Maestro” (Shaykh). Pregano guardando il sole, e propiziando prima per il prossimo e poi per se’ stessi.

Non lontano da li’ c’e’ Baadre, di circa 12000 abitanti quasi tutti yazidi. Incontriamo una ragazza yazidi di 17 anni scappata dalla zona di Singiār, dove è restata per 2 mesi e 10 giorni in balia di ISIS. Richiede l’anonimato per paura di rappresaglie ai familiari ancora nelle mani di ISIS. Racconta che le donne venivano portate in giro per villaggi per essere vendute. Purtroppo il mercato delle donne e’ ancora molto fiorente. La ragazza dopo altri tentativi di fuga, repressi con la prigione, è riuscita a scappare raggiungendo una prima casa dove gli è stata rifiutata ospitalità e quindi una seconda casa che le ha garantito la fuga. Un ulteriore particolare macabro e’ che durante gli attacchi dell’ISIS, molti arabi, che fino a qualche ora prima erano amici o semplicemente vicini hanno sparato contro gli yazidi, trascinati dalla furia di ISIS.

In ultimo ci siamo recati a Lalis (Lalish). È il luogo della tomba dello sceicco Adi, figura preminente della fede yazidi. Almeno una volta nella vita gli yazidi sono tenuti a un pellegrinaggio di sei giorni per visitare la tomba dello sceicco Adi e altri luoghi sacri. Caratteristica del tempio sono le otri piene di olio di oliva che si usano per alimentare lampade votive di semplice fattura, e la presenza di drappi di 7 colori differenti, a rappresentare i 7 angeli di Dio.

In tutti questi i siti della zona sono arrivati profughi yazidi dal confine con la Siria, alcuni hanno trovato ospitalita’ nei siti religiosi, altri sono accampati in tenda.

Incontro con la stampa

La delegazione incontra, in conferenza stampa, il segretario generale del Sindacato dei Giornalisti del Kurdistan, Azad Shekh Younis, che riferisce che il Kurdistan è sconvolto dalla guerra di ISIS, inoltre è in grande difficoltà anche perché Bagdad ha tagliato i trasferimenti statali, quindi diventa difficile far fronte alle spese per organizzare al meglio la difesa e soprattutto l’accoglienza dei profughi (1,3 milioni su una popolazione residente di 5 milioni); inoltre il Kurdistan è da solo nel mondo a contrastare ISIS. Il governo centrale di Bagdad potrebbe fare molto di più, come pure il presidente del Parlamento curdo l’ha esortato a fare. Ci ricorda che oggi c’è un incontro tra le parti che rappresentano il Rojava (Kurdistan siriano) e il presidente del Sud Kurdistan (Iraq).

I giornalisti presenti in sala, invece, ci rivolgono domande per sapere chi siamo, anche individualmente, e conoscere le fonti di finanziamento. Alche’ la Delegazione ha chiarito che non e’ una organizzazione governativa, e non riceve finanziamenti dagli stati, pertanto i progetti solidali vengono finanziati con contributi volontari, attivita’ e donazioni.

Il sefreatrio, riferisce pure che nonostante la varietà delle fonti il giornalismo curdo deve fare molti passi in avanti in tema di “safety” attiva e passiva, pertanto scarseggiano i reporters da madare sul fronte.

Ma ne ha anche per la stampa occidentale: si fa un clamore esagerato per i bombardamenti aerei occidentali, quando poi alla fine il risultato può essere anche minimo!

Incontro con la Direttrice dell’UNCHR della sede ONU di Erbil.

La direttrice ci concede solo una decina di minuti dicendo di avere altri impegni. La Delegazione le ha rappresentato il problema del campo profughi di Mekhmure, che potrebbe vedere risolta una parte dei problemi con la dotazione di una autoambulanza, con la facilitazione dei permessi necessari per attraversare velocemente il check-point con i mezzi di soccorso, e con la costruzione di un pozzo d’acqua potabile e la condotta fino al campo con una spesa di soli 35000 euro.

Lei dice di conosce i problemi del campo relativamente a sicurezza, accesso, sanità, istruzione e acqua, ma purtroppo la limitatezza delle risorse non consente di provvedere al meglio (essendoci altre emergenze), ma riferisce che fortunatamente “l’autorganizzazione del campo e dei curdi di Mexmure” sopperisce in parte. Del resto i profughi in Kurdistan sono quasi 1,3 milioni di rifugiati, stipati in 26 campi in tutto, di cui 6 ancora senza alcuna forma di finanziamento, per un totale di 160000 rifugiati sprovvisti di qualsiasi aiuto.

Incontro con l’associazione degli scrittori.

Il rappresentante degi scrittori, ex peshmerga che ha riportato ferite in guerra, e analista di un giornale legato a Barzani, illusra l’attivita’ dell’associazione che consiste nel trattare temi letterari storici e geeopolitici. Illustra la situaizone attuale affermando che i curdi sono gli unici a comabttere con determinazione l’ISIS dal momento che l’esercito regolare di Bagdad ha ceduto quasi subito. Tutte le settimane, una delegazione dell’associazione si reca sulla linea del fronte per sostenere moralmente i peshmerga.

I curdi sono abituti da anni alla guerra, e quindi non hanno paura dell’ISIS, anche se questa e’ una guerra nuova dal momento che l’ISIS non ha un territorio da difendere. Al di la’ di questo dichiara che i bombardamenti degli americani sono stati molto utili, in cio’ in contraddizione con quanto ci ha detto nell’incontro precedente l’associazione della stampa. Il responsabile dell’associazione pensa che alla fine di questa guerra l’Iraq sara’ suddiviso in 3 parti: Kurdistan iracheno, uno stato centrale sunnita, uno stato sciita al sud. Per quel che riguarda il Kurdistan iracheno pensa che ci saranno 2 fasi: prima fase creazione di uno stato indipendente del Kurdistan iracheno; seconda fase creazione di una confederazione con tutti i curdi perche’ pensa che la Turchia e l’Iran, senza cedere territorio, daranno maggiore autonomia ai curdi. Il relatore chiude il suo intervento dicendo che nel Kurdistan iracheno c’e’ una grande liberta’ di stampa, anche superiore a quella italiana.

Incontro con la rappresentanza del PYD in Sud Kurdistan.

La sede di rappresentanza in Sud Kurdistan del PYD (Partito dell’Unità Democratica) del Rojava (Kurdistan siriano) è ad Al Sulaymaniyah (Silêmanî), poiché, purtroppo, i fratelli curdi della parte irachena, di fatto, non hanno consentito di aprirne una a Erbil. Ci ricevono, con la formula consolidata del tandem uomo/donna, i co-responsabili Diyar e Nujin. Quest’ultima è anche leader dell’Unione Star (Lega delle Donne).

All’atto della consueta presentazione reciproca, la delegazione chiede subito se il PYD nei fatti sia il “correlativo” siriano del PKK. Ma, comunemente, i curdi non amano le etichette, che non aiutano di certo l’unità, in generale, e quella transnazionale, in particolare. Ci rispondono che bisogna intendere Öcalan come il leader indiscusso dei curdi che lottano per la pace e la democrazia nel rispetto dell’equità sociale per tutto il grande Kurdistan, ovvero come ideologo di riferimento della questione curda. Pertanto, altre etichette sono superflue. Detto questo l PYD è, di diritto, autonomo!
Peraltro – a ben rifletterci – forse è proprio la declinazione di questa complessa, ma sottile, “alterità” che sgombra il campo da possibili accuse pretestuose di ingerenze extranazionali o dall’assimilazione pretestuosa di responsabilità tra gruppi curdi diversi, per la “proprietà transitiva”! Di fatti, questa alterità ha consentito anche agli USA l’ipocrisia di lanciare il dialogo con il PYD, nonostante non sia all’ordine del giorno la cancellazione del PKK dalla lista nera.

Si entra nel vivo dell’incontro, e i 2 dirigenti, alternandosi equamente, iniziano il racconto della loro esperienza, invitandoci ad andare in Rojava a toccare con mano ciò che dicono. Sono appena 4 ore d’auto da Sulaymaniyah, e tutto il confine con il Rojava è ormai sotto il controllo dell’YPG (per il lato del Rojava), e dei peshmerga (per il lato del Kurdistan iracheno).

E’ da oltre 2 anni che i curdi combattono i fondamentalisti, prima era Al Nusra, ora è ISIS. Il Rojava è una zona fuori dal controllo della Siria da molto tempo. Lì il popolo ha costruito un sistema di autogoverno battendo la “terza via”: né con il presidente siriano Assad, né con gli insurrezionalisti.

In effetti, la prima fase di protesta popolare per l’agibilità democratica è stata partecipata da tanti, compreso i curdi. Ma quando si è passato dalla fase di rivendicazione alla fase di organizzazione del sovvertimento dello stato, le cose sono cambiate. Sul movimento ha preso il sopravvento la parte militarizzata evidentemente “strumentale” ad altri fini geopolitici, supportata dalla Turchia per i suoi scopi, quando non direttamente di matrice fondamentalista (Al Nusra), e la parte legata alla strategia del terrore (gli spari sui manifestanti per sovraccaricare le colpe di Assad!). C’è stato addirittura chi nella rivoluzione siriana ha tentato di rappresentare la parte curda senza neanche conoscerne la lingua!

In questo clima di confusione i curdi si sono concentrati sull’obiettivo di liberare e difendere il Rojava da tutte le linee offensive, in alleanza con tutte le altre etnie, lì presenti, che volevano costruire la democrazia dal basso, ovvero un modello di democrazia partecipata come esempio di via d’uscita dalla crisi della democrazia per il Medio Oriente. Anche l’idea è nata dal basso, nessuno l’ha calata dall’alto o dall’esterno.

Purtroppo, la mancanza di democrazia e la repressione etnica in Siria ha reso impossibile la convivenza civile; pertanto, la rabbia, sull’onda delle rivolte anti-governative, è sfociata nella rivoluzione del Rojava del 19/7/2012 che ha determinato l’autodeterminazione: il distacco dal governo siriano, e la auto-organizzazione della difesa dalle spinte islamiste integraliste. I curdi hanno sempre rivendicato i propri diritti civili nell’ambito di una autonomia regionale per il Rojava, ma invece erano costantemente violati i loro diritti umani: vietati i colori della bandiera curda e parlare in curdo. Vieppiù, 300000 curdi – con arroganza amministrativa dispotica, quanto inspiegabile – sono sprovvisti di carta di identità, e quindi non possono esercitare le professioni, né hanno diritto di proprietà o di espatrio.

In Siria vivono circa 3,5 milioni di curdi, e nel Rojava vivono circa 2,5 milioni di abitanti. Kobanê ha circa 600 mila abitanti, e sta ospitando siriani in fuga da altre parti della Siria, per esempio molti dei cristiani che non sono scappati verso Damasco, e si sono uniti alla loro lotta.

Attualmente, da circa un anno – prima del 2º incontro tra tutte le forze anti-Assad (esclusi i Curdi!) del 26/2/2014 a Ginevra -, il Rojava è diviso in 3 cantoni (Cizire, Kobanê, Afrin), ciascuno con un’autonomia amministrativa, e con una costituzione diversa e una rappresentanza parlamentare etnica diversa a seconda della predominanza dei singoli gruppi etnici (curdi, arabi, cristiani, assiri, ecc). Ad esempio Kobanê è a quasi totalità curda, mentre Cizire è il cantone più variegato. Tra i cantoni non c’è sempre continuità geografica, ma è interposto territorio meramente siriano, ora sotto il controllo di ISIS. Per ogni carica c’è un co-responsabile uomo e uno donna. Le donne sono rappresentate nelle assemblee per il 40%. Ancora poco, se si considera il ruolo di primissimo piano che le donne hanno avuto nella guerra, ha chiosato la dirigente. Kobanê è il cantone con il sistema di governo più avanzato (inclusione di genere, rappresentanza, partecipazione ecc.).

Le lingue ufficiali sono 3: curdo, arabo/siriano e siriaco (aramaico)
I curdi si riuniscono in assemblee popolari, che servono per influenzare e dirigere le decisioni dei rappresentanti parlamentari. Ora anche le altre etnie stanno adottando questo strumento di democrazia partecipata.

Purtroppo in questo momento di guerra l’economia è a pezzi, e si fonda su aiuti umanitari e risorse agricole o sulla pastorizia. Attualmente, si versa all’autorità cantonale un contributo/tassa, e l’autorità gestisce il denaro pubblico mantenendo i servizi e contribuendo alla sussistenza di tutti: da ciascuno secondo le proprie capacità a ciascuno secondo i propri bisogni. In ogni caso il tutto si regge sulla base del contributo fattivo spontaneo: ogni sorta di stipendio non supera i 150 $.
Alla fine dello stato di guerra l’obiettivo è andare alle elezioni e mantenere la democrazia partecipativa e solidale.

E’ per queste forme avanzate di governo che il Rojava da 1 anno e mezzo preso di mia: è un esempio dirompente per chi come ISIS e soci più o meno occulti vuole che nulla cambi nel Medio Oriente. Denunciano che la Turchia ha sempre cercato di smantellare il Rojava, sostenendo materialmente l’ISIS. Gli aiuti umanitari internazionali non sono mai arrivati in Rojava. Mancano le medicine i vaccini. Durante gli inverni molto freddi hanno dovuto recuperare legna da ardere anche dagli alberi ornamentali in città. La Turchia ha sempre sbarrato la strada agli aiuti umanitari (mentre la teneva e tuttora la tiene aperta per gli spostamenti di ISIS) e pure il Kurdistan del Sud (iracheno) in passato aveva chiuso le strade di comunicazioni.

Ci dicono, inoltre, che dal 1960 è in atto un processo di colonizzazione araba del Rojava per spiazzare i curdi, che, da loro canto, invece, hanno accettati i nuovi arabi di buon grado. Ma c’è da dire che i coloni erano e sono ultra-nazionalisti quindi ISIS ha molta presa, usando sia la leva sunnita che quella panaraba.

I curdi sono molto attenti alla prassi della tolleranza. La stessa YPG – la milizia di difesa del Rojava – è Milizia di Difesa “Popolare”, non “Curda”! Qualora fosse necessario un intervento contro la parte cristiana se ne occupa il reparto “Sotoro”, che è appunto formato da cristiani, per non urtarne la suscettibilità. Purtroppo sono soli a combattere contro l’ISIS. La Turchia impedisce anche a i rovajani di attraversare il confine turco-siriano per ritornare in Rojava a combattere contro l’ISIS.
In Turchia c’è qualche campo profugo dove neanche l’ONU può entrare, a pena di essere aggredita: sono campi controllati da ISIS.L’Europa deve capire che l’ISIS è un problema anche per sé stessa: sono arrivati in Siria 5000 miliziani nelle file di ISIS, dopo la guerra torneranno in Europa

Delegazione Italiana in Kurdistan