Proteste di Kobane, si apre il processo (politico) all’Hdp

Turchia. Ieri prima udienza per i fatti del 2014: 29 capi d’accusa e 108 imputati. Benifei (Pd): «Era giusto essere presenti. Il giudice ha reso palesi i suoi preconcetti: ha già deciso per la condanna» Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag sono gli ex co-presidenti del Partito democratico del Popoli (Hdp) e sono in carcere dal novembre 2016. Cihan Erdal è uno studente alla Carleton University in Canada ed è in carcere dal settembre scorso.

In comune hanno l’accusa che pende sulle loro teste e su quelle di altri 106 membri e sostenitori dell’Hdp: aver incitato nel 2014 le cosiddette proteste di Kobane, esplose nel sud-est turco a maggioranza curda contro l’invasione da parte dell’Isis della città curdo-siriana e il sostegno peloso del governo di Ankara al progetto islamista. Ieri si è aperto il processo di massa.

DA ANNI, SU PRESSIONE di esponenti dell’esecutivo, procure amiche utilizzano quegli eventi per incarcerare migliaia di persone. Lo fanno tuttora e il caso di Erdal ne è l’esempio: 32 anni, dottorando in Canada e attivista per i diritti umani, è stato arrestato per «incitamento alla violenza». Aveva rilanciato un post di Demirtas su Facebook.

A gennaio è stato incriminato per aver incoraggiato le proteste di Kobane. Per lui si è mosso ieri anche il gruppo di lavoro dell’Onu sulle detenzioni arbitrarie. Il Palazzo di Vetro non è solo: l’attenzione internazionale intorno al processo è altissima, in aula erano presenti osservatori stranieri ed europarlamentari.

LA VICENDA È NOTA: tra ottobre e novembre del 2014, dopo l’occupazione islamista di Kobane migliaia di persone, per lo più curdi, scesero in piazza nel sud est della Turchia contro l’apatia del governo a difesa del cantone siriano, a cui fece da contraltare la solerzia nell’impedire che gli attivisti curdo-turchi portassero aiuti alla città sotto assedio.

Il confine venne sbarrato, mentre la gendarmeria apriva il fuoco: morirono – i numeri restano incerti – tra i 46 e i 53 manifestanti. L’inchiesta, aperta nel 2019, è stata battezzata «Operazione Pkk/Kck» (il Partito curdo dei Lavoratori e l’Unione delle Comunità del Kurdistan, la federazione-ombrello di cui fanno parte i vari movimenti curdi di Turchia, Siria, Iraq e Iran che si ispirano alla teorizzazione di Abdullah Ocalan) nell’idea che sia stato il Pkk a ispirare la protesta e a trarne vantaggio.

VEDE ALLA SBARRA ex deputati, ex e attuali membri del comitato esecutivo dell’Hdp, sindaci. E attivisti come Erdal. Tutti accusati di 29 crimini diversi, tra cui omicidio, attentato all’unità dello Stato, danneggiamento di 197 scuole e 296 edifici pubblici e saccheggio di 1.731 abitazioni, reati per cui rischiano l’ergastolo.

Ieri il procedimento si è aperto in un’atmosfera avvelenata: «Il processo oggi è iniziato mostrando da subito la sua natura politica – ci racconta al telefono da Ankara, dove ha seguito l’udienza, l’europarlamentare del Pd Brando Benifei – Non ci è stato permesso di filmare ma avevamo più di un interprete. Il giudice ha battibeccato con Demirtas, dicendogli di non aver paura di lui».

«Queste sono frasi rivelatorie – prosegue Benifei – dell’atteggiamento di preconcetto del giudice che sembra avere già chiaro di voler andare verso una condanna. Un’impressione che abbiamo avuto noi e gli avvocati. La scelta è stata quella di chiedere la ricusazione del giudice che non ha seguito la procedura corretta: ha proseguito. Gli avvocati sono andati via e hanno disertato l’udienza».

ANCHE L’HDP, accusato di essere l’incitatore delle violenze con obiettivi terroristici, parla di «processo politico», tassello di una più vasta campagna per sradicarlo dal parlamento e dalle strade: arresti, commissariamenti di centinaia di comuni, denunce per metterlo al bando.

«È chiaro – conclude Benifei – che sotto processo c’è la possibilità dell’Hdp di fare politica ed è condannata la solidarietà nei confronti dei curdi che si sono battuti contro l’Isis a Kobane. Per questo era giusto essere presenti, anche per rispondere a una chiamata di vicinanza che ci è stata lanciata dall’Hdp. Penso che sia nostro dovere come parlamentari europei non abbandonare i curdi che vivono questa situazione di forte contrasto al proprio diritto di esistere».