Ocalan: Lettera Aperta a ‘The Guardian’

Pubblichiamo la lettera aperta di Abdullah Ocalan, leader del popolo curdo, inviata al giornale inglese ‘The Guardian’ dal carcere di imrali, in seguito ad un articolo pubblicato il 5 dicembre 2013 in occasione della morte di Nelson Mandela:

‘ Giovedì 5 dicembre 2013 “The Guardian” ha pubblicato un editoriale in occasione della morte di Nelson Mandela. L’articolo conteneva un significativo (!) confronto tra Mandela e alcuni altri nomi come Jawaharlal Nehru, Aung Sang Suu Kyi, e me. Fino a quando affronteranno la questione con una mentalità egemonica, i potentati certamente continueranno a fare simili paragoni tra quelle figure che conquistano l’affetto dei loro popoli. Tuttavia ogni paragone ha i suoi problemi.

Il tempo delle lotte, diverse condizioni geografiche e politiche e persino le differenti caratteristiche delle figure renderanno problematici simili paragoni. Prima di tutto, per quanto mi riguarda essere ricordato insieme ad un leader per il quale tutto il mondo ha versato lacrime, mostra fino a che punto la linea della nostra lotta ha assunto dimensioni universali. Dimostra anche che la nostra lotta non può essere spiegata come una lotta rivolta solo contro un trattamento ingiusto.

Scrivere delle capacità di un leader con metodi di lotta e di negoziato esemplari appena dopo la sua morte, richiede una riflessione aggiuntiva sulla storia e la politica delle persone che non esitano a correre rischi, per poter meglio comprendere le condizioni di coloro che non hanno avuto paura di lottare in prima linea nel corso della storia.

Ci sono differenze nette tra chi lotta in prima linea e gli analisti che stanno dietro ad una scrivania. La differenza più grande è quella data dal fatto di assistere alla morte dei tuoi compagni e del tuo popolo, di vivere l’esperienza di minuto in minuto, e di fare bene e male. Limitare la stima e la dignità di un leader così importante con “il carcere” è un approccio problematico che disprezza la lotta politica autonoma di un popolo con una popolazione di oltre 40 milioni, che volontariamente approva questo leader come rappresentante della propria volontà. Quanto sarebbe oggettivo e giusto chiudere gli occhi di fronte all’identità nazionale che il popolo curdo ha acquisito dopo una lotta di liberazione che dura da 40 anni e davanti ai nostri sforzi per la pace e per una soluzione democratica della questione curda.

Paragonandomi a Nelson Mandela nel vostro articolo, vi siete riferiti a me come “temuto e venerato”. Qui non solo vedo più facilmente il desiderio dell’autore di essere cronista ufficiale di una storia che calpesta gli oppressi del mondo, ma scorgo i codici della scelta di inimicizia contro entrambe le figure oggetto del paragone, la cui sola risorsa per affrontare politiche di assoggettamento, massacro e negazione, è la fede in se stessi.

È troppo evidente per doverlo dimostrare, che una persona che ha passato 14 anni della sua vita su un’isola-carcere da sola e in condizioni di isolamento può essere “fonte di paura” solo per coloro che l’hanno messo in catene. Le catene parlano da sé …

In risposta a coloro che invece di analizzare la paura diffusa dai potenti, si prodigano a dare consigli e lezioni a coloro che contro questi potenti lottano, posso dire con grande umiltà che il caro Madiba ed io abbiamo più paralleli che contrasti.

Tutti sanno che le dure prove superate nell’affrontate il regime dell’Apartheid sono state un traguardo non solo per il popolo sudafricano, ma allo stesso tempo per il leader al quale esso aveva affidato il loro destino. Indipendentemente dai numeri, i molti commenti assurdi fatti sulla credibilità di Mandela vengono da aree che assumono un approccio distante e superficiale rispetto alla “lotta degli oppressi”, invece fare analisi approfondite e ragionevoli.

I processi di auto-organizzazione delle comunità soggette alla soppressione e alla discriminazione differiscono dalle pratiche comuni, specialmente quanto iniziano a fare una vera analisi della nozione di modernità capitalista. Tradizionalmente le opzioni organizzative “del libro” sono già note. Ma il tempo va avanti e le circostanze cambiano, insieme al determinismo storico. Condizioni mutevoli porteranno cambiamenti nei comportamenti e negli atteggiamenti degli individui e delle organizzazioni, che siano prigionieri o liberi. Per quanto riguarda il PKK, invece di portare progresso pragmatico, questi cambiamenti hanno portato al progresso politico ed etico per un movimento che ha trasformato se stesso sulla base della lotta per la modernità democratica e per lo sviluppo di esempi di democrazia diretta nel mondo.

Il colpo di stato fascista del 12 settembre 1980, seguito da molti golpe organizzati contro la nostra comunità, così come la cospirazione internazionale contro di me e contro il nostro movimento hanno una cosa in comune con le interferenze in altre lotte degli oppressi ed è il silenzio della comunità internazionale di fronte a questi interventi. Nonostante il progresso degli standard democratici a livello internazionale nel 21° secolo, per via della propaganda di stato caratteristica della cospirazione internazionale, la disumanizzazione dei leader in lotta e incarcerati prosegue sulla base di standard intellettuali mediocri.

Quanto è strano che un giornale credibile in Gran Bretagna non si sia accorto dei recenti progressi di democratizzazione che abbiamo fatto in Mesopotamia. Per quanto riguarda l’approccio, spero che sia solo “strano” e non di più. Guardando l’impostazione generale dell’articolo, quello che vedo non è solo la “stranezza”; piuttosto, ogni riga è un omaggio fine a se stesso ad un punto di vista gerarchico “dall’alto”.

Qui, coloro che si oppongono alla pace ci accusano di aver iniziato negoziati, stanno disumanizzando me agli occhi delle nuove generazioni e diffamano il nostro movimento che ha adottato la pace e l’accordo come proprio principio di fondo. Stanno portando avanti un’attività organizzata per infangare la rispettabilità dei nostri sforzi per la modernità democratica. Quanto è strano che nozioni razziste e vecchia retorica propagandistica che non hanno più seguito nemmeno in Turchia, vengano ancora ripetutamente usate nella stampa internazionale.

L’unico tema da discutere dopo la scomparsa di Mandela dovrebbe essere l’Apartheid, un regime che la storia ricorderà solo con vergogna. Nessuno manterrà la memoria dell’Apartheid e dei suoi leader; nessuno piangerà per loro; mentre Mandela è diventato una stella che splende per i popoli dell’Africa. La nostra missione storica è di garantire che questa stella splenda per i popoli del Medio Oriente. L’amicizia sviluppata sulla base dell’integrità politica e dei principi tra i movimenti dei popoli, ed in particolare il nostro movimento, dipende da dinamiche che cambiano e dalla natura orizzontale delle loro politiche. Il fatto che si creda che queste leggi di buona volontà e di amicizia siano state sviluppate in base alla paura, può essere spiegato solo dalla mancanza di conoscenza dei periodi di metamorfosi che il movimento politico curdo ha attraversato e dal non vedere le riflessioni democratiche interne di prospettiva pacifica e di negoziato di questo movimento.

Allo stesso modo, il negoziato e la lotta sono entrambi processi importanti nel determinare il futuro dei movimenti dei popoli e coloro che guidano questi processi sono figure che guadagnano la fiducia dei popoli e non sono “temuti”. Se non fosse così, non sarebbe possibile per questi movimenti essere rappresentati sia nel sistema parlamentare che nella politica locale, come non sarebbe stato possibile riuscire nella lotta armata durata per anni.

La mia raccomandazione ai componenti del consiglio di redazione di “The Guardian” è di fare più ricerca sul ruolo delle donne nel nostro movimento politico e sugli effetti di trasformazione che ne sono derivati. Allora sicuramente troveranno un’esperienza così infinita da far loro togliere il cappello colonialista, anche se vergognandosi.

Adullah Öcalan

Isola-carcere di Imrali